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(RegioneInforma) "BARONI, BORGHESI E CONTADINI AD AVIGLIANO"
21 ottobre 2005
(ACR) - Il capitolo del libro "Popolo Plebe Giacobini", curato da Franco Sabia, dal titolo "Baroni, Borghesi e Contadini ad Avigliano" è incentrato sulla nascita di una nuova classe, la borghesia lucana e, in particolare, della nuova borghesia aviglianese. La nascente borghesia lucana, già nella seconda metà del 1700, aveva con la capitale del regno rapporti culturali molto intensi. I figli di questa giovane borghesia di provincia studiavano a Napoli. E, dopo essersi addottorati presso quell'università, quando tornavano nei luoghi di origine, portavano insieme con l'ardente e coraggioso spirito innovatore, proprio delle giovani generazioni, nuovi principi e nuove idee. Idee anti-feudali, soprattutto, diventando, così possibili riferimenti per quelle masse diseredate che, a più riprese, tentavano di ribellarsi ai soprusi dei baroni. "Emblematico – scrive l'autore – in questo senso fu il caso di Avigliano, dove un'intera popolazione guidata dai Corbo, dai Gagliardi, dai Vaccaro, dai Palomba, dagli Sponsa e da altri possidenti minori, tutti rappresentanti della locale borghesia agraria emergente, durante la Rivoluzione partenopea del 1799 si contrappose agli amministratori dei Doria-Pamphili, duchi di Avigliano e principi di Melfi e Lagopesole". I Doria possedevano uno dei più grandi feudi non solo della Basilicata, ma dell'intero Regno di Napoli. Fra i fattivoli dei Doria, alcuni possedevano aziende abbastanza grandi da potersi permettere il privilegio di far studiare i figli nella capitale del regno, e "gli interessi di questo nascente nuovo ceto iniziavano a divergere da quelli del principe". La storia agraria del principato di Lagopesole e del ducato di Avigliano, per tutto il XVIII secolo, è anch'essa emblematica. La popolazione di Avigliano, a partire dalla seconda metà del XVII secolo, crebbe straordinariamente, pur nella ristrettezza di spazi agricoli e, nonostante, che "li casamenti" non fossero troppo comodi e molti "coperti di tavole", stretti, perché poco era lo spazio disponibile per nuove costruzioni, "per essere acquoso il luogo" e "terreno tutto mobile e senza rimedio". Vi è la nascita di una nuova e intraprendente classe sociale, la borghesia agricola. "Questi nuovi possidenti vivevano con le industrie di masserie di campo e con l'allevamento d'animali vaccini e pecorini". La messa a coltura di nuove aree, soprattutto, nella seconda metà del XVIII secolo, coincise, anche, con la richiesta di nuovi terreni da parte di una moltitudine di piccoli contadini e di braccianti, alla ricerca di una quantità minima di cereali per soddisfare i più elementari bisogni alimentari. Alla fine del 1700, i due feudi di Avigliano e Lagopesole erano, dal punto di vista della geografia agricola, già uniti. Alla fine del secolo, Avigliano contava "circa 9.000 anime", quanto Potenza, e poco meno di Matera, capoluogo della Provincia di Basilicata. "Il lungo periodo di espansione economica del XVIII secolo aveva mobilitato l'agricoltura e aumentato il reddito, aveva anche sollecitato l'emergere di un vero e proprio nucleo di nuovi benestanti e di nuovi proprietari, di galantuomini, che tuttavia non avevano ancora intaccato il potere baronale". "La nuova borghesia agraria – continua l'autore - non si poneva in attitudine rivoluzionaria, i suoi interessi e i suoi e i suoi bisogni non si contrapponevano in modo netto al mondo feudale. Questa giovane classe sociale aveva messo in moto, piuttosto, un lento processo di erosione e quasi di sostituzione del vecchio mondo feudale, pur tentando di non omologarsi in modo piatto a quel modello". Nei feudi di Avigliano e Lagopesole la situazione non era diversa da quella più generale della provincia. Enorme era il numero dei braccianti nullatenenti che prestavano la loro opera giornaliera, oltre che al principe, ai piccoli e ai grandi proprietari aviglianesi. Man mano che i braccianti, soprattutto i contadini poveri e i pastori, tendevano a risiedere nelle aziende di campagna, Avigliano assomigliava sempre più a un centro commerciale e artigianale con una presenza consistente di grossi imprenditori agro-pastorali. Quel primo nucleo di borghesia, alla fine del '700 "non era cresciuta di numero, ma di qualità, a tal punto che alcuni di essi tenevano ormai avviati studi di avvocato nella stessa capitale del Regno, come i Corbo". Ogni famiglia aveva almeno un prete o un avvocato, segno distintivo di prestigio e di forza politica ed economica. La condizione della grande massa, invece, dei lavoratori della terra, che rientrava in paese solamente per l'inverno, per l'impraticabilità dei sentieri, per l'insalubrità di molti luoghi paludosi e malarici, per la presenza dei briganti, era talmente triste, "che non avevano neppure il tempo per immaginare una possibile alternativa". Nella seconda metà del XVIII secolo, anche nella borghesia aviglianese era maturata la consapevolezza che erano necessari dei mutamenti sociali, i giovani aviglianesi che studiavano a Napoli avevano la possibilità di recepire in modo diretto le nuove idee, partecipando in prima persona ai diversi tentativi di rinnovamento dei costumi e dei pensieri. Si respirava, quindi, un clima fervido di elaborazione culturale che diede vita alla prima congiura giacobina, ai cui Clubs avevano aderito anche alcuni studenti aviglianesi, tra i quali, Girolamo Gagliardi e Girolamo e Michelangelo Vaccaro, figli di due delle più ricche famiglie borghesi di Avigliano. Avigliano, divenne così, uno dei punti più avanzati e più democratici del movimento giacobino meridionale, "egemone del movimento repubblicano in Lucania". Ad Avigliano l'Albero della Libertà era stato eretto il 5 febbraio, prima che nella stessa Napoli. Alla manifestazione giacobina svoltasi per le strade di Avigliano il 19 gennaio, era seguita una seconda sul finire del mese, questa volta in un clima di minore clandestinità. Le poche ricche famiglie di Avigliano, tutte, chi con maggiore, chi con minore entusiasmo, si schierarono apertamente con la Repubblica. Quelle che emersero con più impeto e decisione, quelle che diressero e controllarono il movimento, però, furono, essenzialmente tre: i Corbo, i Gagliardi e i Vaccaro. Delle tre, i Corbo rappresentavano il ceppo più antico e più aristocratico. Il 10 dicembre 1806 la Basilicata fu nuovamente liberata dai Borboni per il nuovo intervento dell'esercito francese "che questa volta, galvanizzato Bonaparte, era intervenuto nel Regno di Napoli con ben altro peso militare e con ben altra determinata volontà". Al seguito di queste truppe, tornarono anche tutti quelli che ancora erano "fuoriusciti", partecipando così alla riforma agraria seguita all'eversione della feudalità. Questa riforma ripagò, anche economicamente, i sacrifici del 1799. Domenico Vaccaro, unico supersite di un'intera famiglia giacobina, "ottenne in enfiteusi vaste estensioni di terreno", così i Corbo, i Gagliardi, gli Sponsa e tutti gli altri. Infine, Luigi Fiach comunicò al neo-re di Napoli, Gioacchino Murat, l'elenco degli elettori e degli eleggibili di Basilicata al Seggio del Parlamento Nazionale. Le elezioni si svolsero dal 10 al 15 marzo 1811, nei locali della chiesa di San Francesco in Potenza, neo-capoluogo della Provincia di Basilicata. I Corbo ne furono protagonisti, mentre i Gagliardi e i Vaccaro disertarono quelle elezioni. A mostrare il senso reale dello Stato, ancora una volta, furono le forze moderate. (a.c.)