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(RegioneInforma) IL REGIO TRATTURO IN LUCANIA

31 ottobre 2005

© 2013 - tratturo.jpg

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(ACR) - Il termine tratturo viene utilizzato in modo specifico a partire dal 1480 per indicare il percorso erboso seguito dagli animali durante la transumanza. Le costituziones di Melfi del 1231 emanate da Federico II contengono numerose norme in proposito, stabilendo che nelle terre dei conti e dei baroni non dovessero transitare o soggiornare più di quattro forestieri indicando il prezzo di affitto e gli indennizzi per i danni causati dagli animali. Lungo i tratturi sorgono le prime capanne dei pastori e successivamente villaggi e luoghi di culto. E. Bertaux ( Sur les Chemins des pèlerinas et des émigrants, in Revue des Deux Mondes, Paris, 1897) riferisce come "alla fine della primavera e dell'autunno i tratturi simili per tutto il resto dell'anno al letto secco in torrente, si riempivano di ondate viventi che rotolavano verso il mare o defluivano verso la montagna...Tra Venosa e Melfi fummo costretti a farci da parte per lasciar passare, con un rumore di marea e con un gran sbattere di campanacci, forse un migliaio di animali scortati da cavalieri dalla barbarica sagoma". Nel periodo aragonese con il termine tratturo si indica quella "via erbosa" larga 60 passi napoletani (111,11 metri circa considerando che un passo napoletano equivaleva a circa 7 palmi equivalenti ciascuno a 263,67 mm.); lungo i percorsi blocchi di pietra detti epitaffi incisi con le lettere T.R. (Regi Tratturi). In particolare il territorio lucano per la sua caratteristica di essere lo spazio di incontro tra l'arco ionico e la sella di Conza, si caratterizza per la presenza di un denso e minuto reticolo viario , monofunzionale ai servizi richiesti dalla pastorizia transumante . E' rilevabili che le vie di collegamento tra la Basilicata e la Puglia ripercorrevano le vie naturali segnate dagli alvei dei fiumi lucani che hanno origine dal Monte Carmine immediatamente a nord di Potenza. Le vie di passaggio che erano anche impiegate come vie tratturali percorrevano la via Popilia, da Capua a Reggio Calabria,(a sud del fiume Sele attraversando Sala Consilina e Lagonegro), la via Appia, che era anche conosciuta come tratturo tarantino, (scavalcava l'Ofanto toccando Venosa, i territori di Spinazzola , Gravina , Castellaneta fino a Taranto), la via Herculia, definita anche come"strada dei martiri o strada dei poteri centrali, (collegava Venosa e Rotonda passando per Spinazzola, Potenza, Brienza e lungo il fiume Sinni), la via Regio-Tarantum, che lambiva l'intero arco ionico e interessava la zona dalla foce del fiume Bradano fino ad Eraclea , l'attuale Policoro. L'intreccio tra le strade consolari e la rete tratturale si evince dalla Carta dei tratturi reintegrati e non reintegrati; infatti a nord del fiume Ofanto la rete tratturale lucana trova nei tratturi Foggia- Ofanto e Pescasseroli -Candela gli elementi di riferimento della transumanza legata al Tavoliere. Ad est, lungo la valle del Basentello, l'insieme dei tratturi lucani incontra nel tratturo Melfi - Castellaneta la direttrice aggregante delle "lunghe vie erbose", dipendenti o meno dalla Dogana di Foggia, e determina lo sbocco verso il Tavoliere e le sue locazioni. Il tratturo Melfi - Castellaneta era il tratturo principale per grandezza e per traffico ed interessava i territori di Melfi , Lavello, Montemilone, Venosa, Spinazzola, Gravina e Castellaneta. Su quest'asse portante, nord-sud, della rete tratturale s'incrociavano i tratturi da Montemilone a Venosa; da Spinazzola per Banzi fino a Potenza; la strada Venosa-Canosa-Barletta detta via del sale che già alla metà del XVII era carreggiabile e rappresentava un tronco alternativo rispetto al regio camino di Puglia. Le maggiori modifiche alla rete viaria furono operate dopo l'unità di Italia a seguito dell'intervento straordinario con la legge speciale sulla Basilicata che permise di passare da un estensione della rete viaria nel 1860 pari a 455km. per arrivare a 2000 km. poco prima della prima guerra mondiale. Questo processo di trasformazione contribuì a riscoprire vari tratturi e direttrici di collegamento migliorando anche l'andamento dei percorsi agropastorali; la rete stradale che ha servito la Basilicata fino all'immediato secondo dopoguerra rimase la stessa disegnata dagli spostamenti connessi alla transumanza di mandrie e greggi che trovavano sui monti dell'Appennino lucano i pingui e ombrosi pascoli estivi. Ma le strade, come avviene anche ai nostri tempi, erano il fulcro di ogni possibile commercio e quindi della tenuta dell'intera economia. Un sistema produttivo che nella Basificata del XIX° secolo si reggeva quasi esclusivamente sulla pastorizia e in parte sull'agricoltura. Gli occupati nel settore dell'allevamento erano la stragrande maggioranza. La camera di commercio e d'arti della Provincia di Basilicata conferma che verso la fine dell'800 i compensi, nel settore, variavano secondo i luoghi e la qualità delle aziende e si potevano condurre mediamente a L. 500 circa annue sotto forma di salari in contante, di grano, di sale, di olio e di compartecipazione alquanto risicata ai prodotti dell'allevamento. Per tutto il 1700 la grave oppressione fiscale non contribuiva a migliorare le condizioni di vita della popolazione lucana, la quale era tenuta a pagare i tributi non solo sui proventi di qualsiasi attività artigianale ma anche i dazi sul possesso dei macchinari necessari ad effettuarla. Infatti la Basilicata, che è la provincia più povera del regno di Napoli è tenuta a corrispondere per tributi diretti 1.771.718,46 ducati, pari al 71.6% della somma di 2.255.586,68 ducati gravanti sull'intera popolazione del regno di Napoli, che venivano calcolati sui proventi dell'agricoltura e della pastorizia che allora costituivano le uniche fonti di ricchezza di un paese ad economia arretrata e primitiva. Nella Lucania del 1824 il patrimoni ovino era costituito in tutta la regione da 503.166 capi, tale ammontare, a seguito di rigidi inverni e di varie malattie che colpirono le pecore, si andò a ridurre nel 1860 a 283.166 capi e nel 1861 a 220.000. Da tale armentario negli ultimi anni della dominazione borbonica la produzione annua di lana si aggirava sui 150 quintali. A seconda della qualità il prezzo della lana variava da un minimo di 18 grana ad un massimo di 8 carlini il rotolo. L'intera zona era attraversato dal tratturo Melfi-Castellaneta, detto "Regio camino di Puglia", che caratterizzava la zona vulture-ofantina sia come percorso della transumanza e sia come aziende coinvolte; infatti la maggior parte delle aziende agricole possedute dai Doria svolgevano, come attività principale, l'allevamento degli ovini. (R.B.)

Redazione Consiglio Informa

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