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(RegioneInforma) SI DICE AGLIANICO E LA BASILICATA E' DA BERE
28 giugno 2006
(ACR) - "Degustare è come viaggiare senza muoversi" dice Ernst Knam, uno chef tedesco da anni a Milano, e davvero certi vini costituiscono un viaggio. Eppure, oltre il luogo comune si sta profilando da alcuni anni una tipologia emergente di viaggiatori: i globetrotters del XXI secolo che si spostano sui luoghi del vino. Su di loro il marketing turistico ha già versato fiumi d'inchiostro, mentre il regista Alexander Payne sul viaggio di due amici tra gli sterminati vigneti della California ha addirittura costruito un avvincente film. E' un settore sempre più consistente quello dell'eno – turismo che ogni anno porta nel Bel Paese, sulle strade di un'apprezzatissima vinificazione, circa 4 milioni di turisti del vino per un giro d'affari complessivo pari a 2,5 miliardi di euro. Una via del vino taglia anche la piccola Basilicata, un itinerario da percorrere senza fretta e senza tempo su strade che sembrano adagiate tra colline senesi, puntellate qua e là dal bianco della roccia calcarea tra i luoghi della produzione dell'Aglianico del Vulture, il prodotto simbolo di una terra che nella produzione di rossi ha trovato il cuore autentico della sua vocazione agricola. Tra gli incantevoli paesaggi verdi e boscosi dell'Appennino lucano in mezzo alla serenità di luoghi non deturpati e a una quiete quasi preindustriale, all'eno - turista che sale da Potenza e punta verso nord si svela un tour mozzafiato: quello della Basilicata del vino Aglianico che attraversa il paesaggio collinare della valle del Bradano, tocca il lago di San Giuliano, punta su Venosa, s'immerge nelle verdi valli del Vulture e finisce a Melfi.
Sessanta chilometri a nord del capoluogo di Regione, in quella che aspira a divenire presto la terza provincia della Basilicata, il paesaggio lucano si rivela in tutta la sua maestosità: una vegetazione grezza che ha il colore della macchia mediterranea maritata agli aromi degli arbusti spinosi e più in là i filari, che scandiscono lo spazio come quinte rendendolo più profondo. Immense e sconfinate le viti coprono un'area di circa seimila ettari di terra nel comprensorio di un antico vulcano spento, il Vulture, tra i 200 ed i 500 metri sul livello del mare. In un'epoca dominata dalla tecnologia è rassicurante che la qualità di questo vino sia ancora determinata dall'andamento naturale delle stagioni e dal lavoro dei contadini che, con una lunga e paziente fatica, hanno dissodato le terre e le hanno profumate di buon vino: un rosso dal carattere grintoso e reattivo dalle cui gocce continua a stillare ancora a distanza di millenni la storia più antica della regione. Quando in Basilicata si piantarono le prime viti si parlava ancora il greco, furono i Greci a portare sin qui questo nettare dal forte ascendente territoriale. Gli Enotri che da loro lo ricevettero, a quell'antico vitigno diedero perciò il nome di Ellenico corretto poi in "Aglianico" durante la dominazione aragonese del XV secolo per via della doppia "elle" pronunciata "gli" secondo l'uso fonetico degli spagnoli. Fu coltivato per diversi secoli nella terra del vino (Enotria non a caso fu detta la prima Lucania) quel vitigno che raccontava di una patria lontana, dove intorno al vino si consumava il rito del sodalizio tra i compagni dell'eteria nei momenti fortunati e nella sventura. Dove la gioia del bere accompagnava le stagioni della vita e dove la poesia stessa era piena di inviti a bere e a sentire il proprio corpo che gode del vino nell'inverno, al chiuso del convito allietato dal fuoco, e ad assaporarne la frescura nei campi assolati dell'estate. E dove, soprattutto, il vino era il rimedio alle buie riflessioni della mente: vano, dicevano, è crucciarsi per i mali che incombono senza rimedio, la cura migliore è riempire le tazze fino all'ebbrezza. Motivi e riflessioni ereditate poi dalla poesia di Orazio, il poeta di Venosa che nell'Aglianico della sua terra ritrovò un pezzo, il più autentico, di quella schietta gioia di vivere che fu propria della Grecia arcaica e che rappresenta la cifra più autentica di tanti suoi versi.
Lo chiamava Falernum e cantandone le lodi consiglia all'amico Varo di non piantare nessuna altro albero prima della sacra vite.
Il più blasonato rappresentante della viticoltura lucana a Denominazione di origine controllata già dal lontano 1971 si disvela con un caratteristico colore rosso rubino con riflessi violacei tendenti all'arancione e un sapore asciutto, tannico tendente al vellutato. Al naso che lo annusa rivela un profumo intenso e un bouquet fatto di sentori di frutta di bosco. A gradazione robusta e decisamente alta il "perfect wine" della produzione enologica "made in Basilicata" vanta una gradazione sostenuta ed oscilla tra gli 11,5 e i 14 gradi. Annoverato da anni tra i migliori vini rossi d'Italia è invecchiato in botti di rovere e in tavola va portato con rispetto per degustarlo in abbinamento con portate speciali e piatti forti come carni arrosto, selvaggina ed altri cibi dal sapore ricco, sebbene non disdegni le nozze con il Pecorino della circostante zona di Filiano, Ruoti e San Fele.
Qui, nel Vulture sospeso tra colline e vigneti, gli ospitali vignerons Lucani, cordiali d'una nobiltà d'altri tempi invitano viaggiatori, ospiti e turisti a degustare il loro vino: non un incontro frettoloso, ma una lunga bevuta tra nuovi amici. Nelle cantine di Rionero scavate direttamente nella roccia dei colli che circondano il paese si scopre così che l'Aglianico non è un vino nouveau, di quelli che per intendersi vanno bevuti già a partire dal terzo giovedì di novembre, ma un grande vecchio che si costruisce solo dopo un lungo periodo di affinamento. E difficilmente la lunga attesa delude i palati anche dei più esigenti. La degustazione in anteprima e il debutto sul mercato cadono non prima che siano trascorsi i due anni dall'imbottigliamento quando la perla enologica lucana, che ha una vita media di almeno otto anni, acquista la qualifica di "vecchio", l'etichetta di "riserva", invece, arriva solo dopo una stagionatura che si protrae per almeno un lustro.
La produzione vinicola della Basilicata è cambiata molto negli ultimi decenni, la filiera enologica che era fino a pochi anni fa un comparto marginale, oggi rappresenta una quota rilevante della produzione agricola vendibile prodotta in loco. Ma le sfide che il comparto ha davanti a sé sono temibili ed ambiziose. A dominare il settore spumeggiante di vino e mercato sono i grandi colossi americani e australiani che, sfruttando i vini di marca e la distribuzione all'ingrosso, parteggiano per una globalizzazione dell'industria vinicola. Non solo e non tanto sul versante delle quantità prodotte, il che comunque porta dritto dritto a una sensibile diminuzione dei prezzi. Ma è soprattutto il tentativo insulso di ridurre la vastissima gamma di vini prodotti nel mondo ai soli estratti a partire dalle uve internazionali (chardonnay, sauvignon, cabernet, merlot). Una lotta senza quartiere tra i vitigni internazionali che mostrano i muscoli e le varietà autoctone schiacciate dal macigno di prezzi non proprio concorrenziali .Nel duello iniquo contro la trasformazione in industria della produzione vitivinicola mondiale c'è per l'Aglianico lucano la chiave del successo che spetta a ciò che ha il sapore deciso della fatica e della passione: prendere le distanze dalla globalizzazione del gusto schierandosi dalla parte della qualità. E della tradizione.
Di fronte ai giganti d'oltreoceano, quello lucano resta un settore di nicchia che ha il suo core business nella tradizione. Grandissima. Ognuno è legato al proprio vigneto che fu del padre e, prima ancora, del nonno e del bisnonno. Persino un'ideologia romantica a guidare il lavoro dei piccoli produttori: quasi un rapporto di tipo religioso tra l'uomo, la vite, l'uva e l'immateriale di processi magici come la selezione dei vitigni o l'elaborazione delle più vantaggiose tecniche di vendemmia e vinificazione. La via maestra è dar sempre più voce a questo silente e prezioso vitigno per non disperdere le orme di un inestimabile patrimonio agrario, ma anche storico e culturale, indissolubilmente intrecciato al territorio. Magari trovando le giuste leve di marketing per attaccare con decisione nuovi mercati, come quello indiano dove la caduta del freno all'import degli ha creato una platea di circa 300 milioni di consumatori pronti a farsi catturare dal vino che ha racconta gli sconfinati cieli del Sud d'Italia. (R.P.)
Bibliografia:
- www.basilicatanet.it
- www.winenews.it
- Dipartimento Agricoltura Regione Basilicata
- "Settima indagine sul settore vitivinicolo" a cura dell'Ufficio Studi di Mediobanca Unioncamere Regione Campania su "Il Mattino" del 6 aprile
- "IV Rapporto Città del vino" a cura del Censis Servizi, 2006
- "Guida enogastronomica della Basilicata" a cura dell'Apt, Azienda di promozione turistica della Basilicata
- Gina Algranati, "Basilicata e Calabria", Utet Torino 1999
- Carmela Formicola, "Le vie dell'Aglianico del Vulture" ed. Dipartimento Agricoltura Regione Basilicata, Potenza 1999
- "Vini d'Italia 2006", a cura del settimanale "L'espresso", Mondatori Editore
- Mario Fregoni, "Religioni globalizzazione e culture del vino" edizioni Clueb Bologna