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(RegioneInforma) I CASTELLI UMANI DI MELFI, SIMBOLISMO E ANTROPOLOGIA
28 giugno 2006
(ACR) - Affascinante per lo studioso è la cultura Lucana, esempio di mistura di popoli diversi, intreccio di tradizioni folkloriche e passioni religiose, accadimenti popolari e condizioni sociali. Tutto ciò si traduce nel simbolismo delle nostre tradizioni popolari, molte delle quali mai analizzate veramente nel loro significato storico, simbolico e antropologico. E così, noi studenti dell'umana condizione, ci troviamo davanti un campo vasto da affrontare con entusiasmo ed un pizzico di incoscienza, basi queste, di molti valenti studi. Un esempio è lo 'Scaricavascio' di Melfi, una torre umana lucana che si allestiva in occasione delle festività in onore di San Antonio, fino ad alcuni decenni or sono. Giovanni Bronzini lo descrive come un «(…) giuoco giovanile in voga un tempo» e, probabilmente, in base ad informazioni non complete afferma che lo scaricavascio «(…) si attuava il giorno di S. Antonio da Padova (…)», ovvero il 13 di Giugno. In realtà, questa piramide umana girava in tondo per le vie del paese già durante i tredici giorni antecedenti il 13 di Giugno, la cosiddetta Tredicina. Paolo De Grazia testimonia che "robusti uomini e giovani popolani, dieci sulle spalle dei dieci sottostanti, tenendosi tutti stretti per mano, ballottano in giro tondo per le vie della città di Melfi, nelle sere della tredicina di S. Antonio". Queste citazioni rendono evidente la natura popolana dello Scaricavascio: chi prendeva parte alla costruzione apparteneva alla classe sociale meno agiata e poteva parteciparvi alla sera dopo una giornata dedicata al lavoro dalla quale i contadini non potevano allontanarsi, pena la loro stessa sopravvivenza. Negli ultimi giorni di Maggio e nei primi del mese di Giugno l'avvenuta mietitura rappresentava l'autosufficienza alimentare e lo Scaricavascio era associato ad un altro valore, quello di festa. Difatti, all'interno di esso erano presenti i caratteri antropologici tipici dei riti festivi:a) la ripetizione costante delle parole e dei movimenti; b) la rottura dei normali schemi etici e sociali; c) il riciclaggio dei malumori popolari e la conseguente rigenerazione della cultura partecipante. Il punto "A" indica nello 'Scaricavascio' la ripetizione di azioni che il pubblico già conosceva; per esempio: la folla che assisteva alla costruzione partecipava attivamente ad essa cantando il ritornello della filastrocca che accompagnava questa piramide. Inoltre, vi era caratterizzazione moltitudinaria, ovvero il rapporto fra le piramidi stesse ed il pubblico che le guardava e che, oltre a vederle, vi partecipava cantando, nella grande maggioranza dei casi, o altri giovani si univano casualmente ai costruttori durante il percorso. Proprio questa ripetizione di azioni già conosciute dava un carattere rituale alla piramide Melfitana e ne rendeva quindi partecipi gli spettatori. Nel punto "B" ho parlato della rottura degli schemi etici e sociali che avveniva durante le attuazioni. Difatti, la filastrocca dello Scaricavascio di Melfi è una critica chiara, satirica, alcuni usano la parola avvertimento, verso la classe dirigente, sia essa borbonica o repubblicana, straniera o locale. La piramide assumeva molteplici funzioni: serviva da valvola di sfogo, la plebe poteva, per una volta, rivolgersi alle classi politiche e a quelle ricche dei commercianti e dei signori dell'epoca come gli avvocati, i latifondisti. Inoltre, non è da sottovalutare lo spirito ludico che accompagnava tali eventi. Tutti questi fattori, confluiscono inevitabilmente nel punto "C" ovvero nel ritorno illusorio ad una sorta di apparente e temporaneo egualitarismo: un annullamento, seppur ideale, delle differenze sociali, fattore rigenerante per coloro i quali partecipano allo Scaricavascio. L'informatore Giuseppe Tetta mi ha permesso di ricostruire la dimensione nella quale si attuava la piramide umana di Melfi. Allora come oggi, dal 31 Maggio al 12 Giugno, vi era la tredicina in onore di San Antonio durante la quale ogni sera, intorno alle 17.30, si recitava il Rosario e, alle 18.00, vi era la Messa con le riflessioni sulla vita del Santo. Negli anni '20 il 13 di Giugno, dalle 7.00 del mattino, ogni ora, fino alle 12.00, vi era una messa. La statua di San Antonio usciva dall'omonima chiesa la sera, alle 16.00 o alle 17.00, per via della mietitura nei campi alla quale i contadini non potevano mancare. La processione finiva di notte, intorno alle 24.00 o la una. La statua era portata a spalla dai devoti che prima avevano offerto denaro al Santo. I ragazzi che costruivano le piramidi umane avevano generalmente un' età che andava dai 15 ai 30 anni. Essi "costruivano" alle fermate della processione la quale iniziava con la piramide al Largo San Antonio, in seguito si disponevano i preti, la statua del Santo, la banda musicale e la gente seguiva alla fine. Le piramidi umane erano la nota ludico-gioviale della processione, intorno ad esse i bambini saltellavano allegramente e la gente, tutta insieme, cantava i versi della canzone del 'Pizzicantò', mentre i baldi giovanotti le costruivano. Se "quelli di sotto" riuscivano a tenere "quelli di sopra" senza inciampare, percorsi alcuni metri si cambiavano e "quelli che stavano sopra passavano a mantenere quelli che prima erano sotto". I fautori di queste improvvisate costruzioni umane erano per la maggioranza contadini, operai e manovali. I benestanti dice l'informatore Giuseppe Tetta "non si ribassavano, allora i ricchi alla plebe ci stavano con le chiappe sulle spalle, quelli nemmeno la statua portavano". La processione andava per le vie ed i rioni maggiori della città secondo il seguente tragitto: Largo San Antonio - Vescovato – Castello - Via Vittorio Emanuele - Via dei Normanni - Via di San Lorenzo - Via San Nicola - Via Mercato Mancini - per finire ancora a Largo San Antonio. La gente di ciascun rione raccoglieva denaro e costruiva gli altari dove sostava il Santo. Ad ogni sosta si assisteva ai fuochi artificiali e laddove vi fosse spazio sufficiente si avviava la costruzione della piramide per onorare degnamente il Santo. Difatti la piramide si muoveva molto vicino all'altare dove era adagiata la statua. Alcune volte dalla folla qualcuno si decideva a partecipare all'allestimento delle torri umane improvvisandosi scalatore o veniva coinvolto di forza dai propri amici. Le piramidi di Melfi non erano di scarse dimensioni, Giovanni Di Laus (informatore di 80 anni) riferisce di aver assistito il 13 di Giugno del 1926 ad una costruzione di quattro piani in Piazza Duomo. Al primo vi erano dodici uomini forti e robusti, il secondo piano era formato da sette-otto uomini di stazza minore che erano in equilibrio con i piedi sulle spalle di quelli di sotto, ed il terzo si componeva di quattro uomini non corpulenti. Al quarto ed ultimo piano vi erano due magri ragazzini (dell'età di circa 15 anni) che si tenevano l'un l'altro con le braccia e concentratissimi si guardavano negli occhi per mantenere l'equilibrio. Durante la processione queste torri umane erano costruite quattro o cinque volte, lo spazio era sufficiente solo al Largo San Antonio, Piazza Duomo, Largo Castello e Largo Mercato. La processione terminava a notte inoltrata nel largo della chiesa dalla quale era partita con un concerto finale per salutare San Antonio. E così nello Scaricavascio di Melfi, ogni anno il sacro si univa al profano.(G.D.S.)
Bibliografia:
- Giovanni Bronzini, "Tradizioni popolari in Lucania", Matera, Montemurro, 1953
- Paolo Di Grazia, "Basilicata", Matera, Capuano Editore, Ristampa 1997
- Gabriele Di Stasio, "I Castelli Umani dalla Catalogna alla Basilicata – Analisi Antropologico Simbolica". Università degli Studi Della Basilicata. Potenza
- Interviste sul campo ai signori: Giovanni Di Laus, Giuseppe Tetta, Franco Cacciatore, Padre Angelo (convento di S. Antonio – Melfi)