venerdì, 22 nov 2024 13:05

Vai all'archivio
Stampa Invia

(RegioneInforma) BIOMASSE: FRONTIERE E "CONFINI"

18 ottobre 2006

© 2013 - centrale_di_calvello.jpg

© 2013 - centrale_di_calvello.jpg

(ACR) - Quella della "questione energetica" è un'emergenza strategica con cui dobbiamo, prima o poi, fare i conti. Legata alla grande questione, nell'immediato futuro, è la scelta delle fonti di energia rinnovabile. Se l'eolico è sempre più oggetto di contrasto – vedi le recenti polemiche regionali – quella delle biomasse sembra essere una strada percorribile, ma irta di difficoltà. Analizziamo, punto per punto, la problematica. A partire dal panorama nazionale e regionale in cui le biomasse si inseriscono. Che a livello nazionale c'è interesse lo dimostra il ministro alle Politiche agricole, alimentari e forestali, con delega speciale sull'agro-energia, Paolo De Castro, che in un'intervista ha dichiarato: "La biomassa è una fonte alternativa, pulita, rinnovabile che potrà dare notevole slancio alle imprese agricole. Mille quintali di biomassa rendono fino a 2 mila euro a ettaro". La Regione Basilicata ha da tempo investito sulle biomasse. Ha aderito al Probio, Programma nazionale biocombustibili, avviato dal Ministero per le politiche agricole nel 1999. Da subito ha varato il progetto "Azioni locali per lo sviluppo delle filiere bioenergetiche in Basilicata". Nel 2001 è partito il progetto interregionale Ramses, Risorse agro-forestali-energetiche per il Mezzogiorno e lo Sviluppo economico sostenibile; iniziativa nata in collaborazione con la Calabria, la Campania e la Sardegna. Il partenariato con l'Università degli Studi della Basilicata e con l'Itabia, Italian Biomass Association, ha fatto in modo che si realizzasse la sperimentazione e l'analisi delle potenzialità offerte dalle colture agricole per la produzione di energia così come l'inventario della disponibilità di biomasse forestali a destinazione energetica. All'attività istituzionale e di ricerca è poi seguita la messa in opera di impianti dimostrativi per la produzione di calore da biomasse. A Calvello sono stati creati un impianto di teleriscaldamento alimentato a cippato di legno e una caldaia a pellet con annessa produzione, ad opera di un'apposita ditta, di biocombustibili solidi. Di non secondaria importanza l'istituzione del Ceb, Centro di eccellenza per la bioenergia, di Stigliano, punto di riferimento sulle biomasse. Stando ai dati dell'ultimo rapporto Enea sulle fonti rinnovabili, nel 2004 la produzione di energia elettrica da rinnovabili nella Regione è pari a 487,1 Gwh. È ottenuta da impianti idroelettrici (per il 64,2 per cento), da impianti eolici (32,2 per cento) e da impianti a biomasse (3,6 per cento). La Regione Basilicata ha già previsto, nell'ambito del Piano regionale energetico, lo sfruttamento delle risorse locali. Queste si caratterizzano, in buona sostanza, per essere definite fonti rinnovabili di energia. Tra queste fonti è catalogata anche la biomassa. Anche se il Piano energetico regionale prende in considerazione solo la biomassa forestale perché all'epoca in cui fu redatto non si guardava al di là di certe risorse disponibili. Tutto il tema delle biomasse è assoggettato ad una serie di normative in ambito nazionale e, per alcuni aspetti, regionale. Nello specifico, le installazioni di centrali sono assoggettate ad un'autorizzazione unica regionale. L'autorizzazione abilita il proponente alla costruzione e all'esercizio di una centrale di energia. Da un punto di vista generale le biomasse sono interessanti sia per il discorso della dipendenza energetica sia per quello ambientale, ma, soprattutto, rispetto a tutte le altre fonti rinnovabili, per le ricadute di tipo occupazionale e di governance del territorio stesso. Rispetto alle potenzialità, a livello nazionale, globalmente tutta l'energia primaria consumata dall'Italia è di circa 200 mega tep (tonnellate equivalenti di petrolio, un tep equivale a 11.700 chilowattora). Di tutta questa energia le biomasse, potenzialmente, potrebbero coprire intorno ai 20/25 mega tep. Questo significa che possono avere un'influenza importante anche se, visibilmente, non possono essere la soluzione al problema energetico nazionale. Questa osservazione è valida per tutte le rinnovabili. Cioè, se da un lato rientrano, a pieno titolo, nella "questione energetica", dall'altro non possono del tutto risolvere il gap energetico italiano. Nel 2004, sempre secondo il rapporto Enea, le fonti rinnovabili di energia hanno contribuito complessivamente al consumo interno lordo italiano per una percentuale di poco superiore al 7 per cento. Il contributo complessivo da fonte eolica, solare, rifiuti, biocombustibili, biogas e legna (con esclusione di quella da ardere utilizzata per il riscaldamento ambientale), cresce sul totale delle rinnovabili da poco più del 14 per cento del 2000 al quasi 26 per cento del 2004. Per quanto riguarda le biomasse e rifiuti si evidenzia, a partire dal 2004, il buon incremento della produzione. "Attualmente ed effettivamente, dei 200 megatep, la percentuale di biomassa è coperta per la maggior parte da utilizzi termici. Ci sono circa 13 milioni di tonnellate di biomasse utilizzate per i termocamini", afferma Giacobbe Braccio dell'Enea, Centro ricerche della Trisaia di Rotondella. Nel centro, tra l'altro, sono in sperimentazione due processi di trasformazione di biomassa, la steam explosion e la gassificazione. Da un punto di vista strettamente tecnologico le biomasse possono essere utilizzate con tecnologie "mature" e con altre che richiedono uno sviluppo. Le tecnologie mature sono rappresentate, ad esempio, dalla combustione. Questa è abbastanza "matura" soprattutto per i grossi impianti. Per quanto riguarda le tecnologie meno mature, il discorso è diverso. Gli Enti di ricerca e le Università, sulla questione pongono maggiore attenzione. Gli impianti a biomassa che producono energia elettrica da caldaie hanno mediamente delle potenze che difficilmente superano i 5 megawatt. "L'ideale è fare degli impianti – afferma ancora Braccio – quanto più grossi possibili, perché dal punto di vista della gestione un impianto da 5 o da 10 è la stessa cosa, per cui i costi di gestione dell'impianto vengono spalmati su una produzione di energia elettrica maggiore. Solo che un impianto di biomasse da 5 mw abbisogna di 40 mila tonnellate di biomassa. Si tenga presente che un impianto a biomassa richiede 1,2/1,5 chili di materia prima per chilowattora elettrico". "Per avere un'idea più precisa – specifica meglio l'ingegnere dell'Enea – se si coltiva un ettaro di biomassa, mediamente e anche attraverso una short rotation, come si fa nei paesi nordici si arriva ad una produttività per ettaro che va dalle 10 alle 20 tonnellate di sostanza secca". Un quantitativo di materia prima non trascurabile, tenuto conto che tutta la potenzialità della biomassa in Basilicata non è elevata e deriva da residui di potatura e fossili. Gli impianti di dimensioni medio – grandi richiedono, poi, un bacino dedicato non trascurabile (cioè, uno spazio appositamente destinato all'attività, ndr). Non a caso per un impianto intorno ai 10 mw si considera massimo, da un punto di vista di sostenibilità, un raggio di azione di circa 50 chilometri. La comparazione con altre fonti è l'altro argomento di rilievo. Un'analisi economica comparativa tra un impianto a biomasse e un impianto eolico, ad esempio, dà questo risultato: un impianto eolico richiede costi di investimento più alti (il confronto va fatto non a parità di potenza, ma a parità di energia). L'eolico, inoltre, richiede molti più investimenti in conto capitale rispetto alle biomasse. "Il vantaggio è che l'eolico non ha costi di esercizio, ad eccezione di quelli relativi alla manutenzione dell'impianto. A conti fatti, in termini di ritorno, i tempi dell'eolico sono un po' più alti, ma superato il periodo dei certificati verdi la pendenza è positiva. Ciò significa che l'impresa continua ad avere utile nella gestione dell'impianto. Un investimento certo, quello dell'eolico, non legato, al contrario delle biomasse, alla reperibilità del combustibile naturale", ha affermato Braccio. Per chi produce energia rinnovabile, bisogna poi considerare gli incentivi, rappresentati dai Certificati verdi. Inanzitutto, chiariamo il significato dei certificati verdi. La promozione di energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili è una delle strategie necessarie per raggiungere gli obiettivi delineati dal Protocollo di Kyoto ed onorare gli impegni che l'Italia si è prefissata per la salvaguardia dell'ambiente. A tal fine è stato introdotto dall'art.11 del decreto Bersani, aggiornato e rivisto dal Dm del 24 ottobre 2005, un sistema di incentivazione della produzione di energia "verde" che prevede un meccanismo di mercato competitivo basato sui Certificati verdi. I produttori ed importatori di energia elettrica da fonte tradizionale, la cui produzione supera la franchigia stabilita dall'Autorità, sono obbligati ad immettere nella rete una percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili (per il 2006 il 2,70 per cento). Il produttore o importatore di energia può scegliere di adempiere all'obbligo acquistando una quantità equivalente di Certificati verdi, assegnati ai produttori di energia da fonte rinnovabile in funzione della loro produzione. I Certificati verdi sono, di fatto, un titolo al portatore il cui valore finale risulta determinato dalla contrattazione bilaterale tra soggetti detentori (produttori di energia da fonte rinnovabile) e soggetti obbligati all'acquisto (produttori o importatori di energia elettrica prodotta con fonti fossili convenzionali). Un Certificato verde equi-vale alla produzione di 50 Mwh di energia verde. Grosso modo, nei primi otto anni ci saranno 11 centesimi a chilowattora di energia elettrica prodotta, più il valore dell'energia elettrica in misura di circa 5 centesimi. Legato agli incentivi c'è, indissolubile, il problema della sostenibilità finanziaria. Tutta la giostra si regge in funzione del costo del conferimento della biomassa. Perché, superato il valore del certificato verde, se la biomassa ha un costo superiore ai 5/6 centesimi è chiaro che l'introito dell'energia elettrica in pratica non copre le spese. È auspicabile, se c'è la sostenibilità, l'utilizzo delle biomasse locali. Anche se, attualmente, ci sono molte anomalie. Non tanto in Basilicata, quanto, ad esempio, nella vicina Calabria dove c'è un addensamento d'impianti di 30/40 mw riforniti da navi da 30/35 mila tonnellate di biomasse con tutta una serie di problemi legati, tra l'altro, all'impatto ambientale del trasporto e alla relativa convenienza economica. Quale potrebbe essere la soluzione? L'obiettivo è andare verso impianti molto più piccoli, ad alta efficienza, e distribuiti sul territorio. Quali sarebbero, quindi, le tecnologie da applicare? Una di queste potrà essere la gassificazione: utilizzando la biomassa per poi trasformarla in gas, alimentandosi con motori a combustione interna. Si stanno studiando delle tecnologie che porterebbero a un'efficienza molto alta, anche del 35/40 per cento, dicono gli studiosi. Un altro discorso è legato alla produzione di energia termica da biomasse. Attualmente si dà molta importanza a questa filiera perché in pratica la comparazione avviene con dei combustibili fiscalizzati. Che significa? Per avere un'idea: un chilo di gasolio equivale a circa 3 chili di pellet. Questo significa che se il gasolio costa circa 1,2 euro al chilogrammo, 3 chili di pellet danno un costo di equivalenza energetica molto conveniente. Il pellet costa molto meno e per questo c'è interesse anche per la sua produzione. C'è un'altra strada che non è solo quella della produzione elettrica. E c'è un forte interesse verso la filiera di conversione delle biomasse a produzione di combustibile per energia termica. "Bisogna studiare degli incentivi che permettano di rendere sostenibile finanziariamente il costo", sostiene infine Braccio. L'altra strada è quella dei biocombustibili liquidi. E a livello nazionale, in pratica, ci sono tre direttive. La prima è quella dell'energia rinnovabile per far fronte all'energia primaria. L'altra è quella che mette in rilievo più l'energia elettrica che quella rinnovabile. Mentre la terza è più incentrata sul biocombustibile. Le biomasse sono l'unica fonte rinnovabile in grado di produrre biocombustibili che a loro volta possono sostituire il gasolio e la benzina. Consumiamo circa 40 milioni di tonnellate tra gasolio (22) e benzina (15). Una direttiva comunitaria dice che, a breve, il 2 per cento di questi carburanti dovrebbe essere sostituito da biocarburanti (biodiesel e bioetanolo). Si dovrebbe partire dall'1 per cento per approdare al 5 per cento nel 2012. Ciò significa produrre circa 2 milioni di tonnellate di carburante da biomasse. Questo è l'aspetto fondamentale. Poi c'è quello legato all'utilizzo degli olii vegetali, non solo per produrre energia elettrica, ma anche per produrre energia meccanica. Gli enti preposti stanno lavorando per rimuovere gli ostacoli dal punto di vista tecnologico che non permettono di diffondere queste opportunità. L'utilizzo dei policombustibili potrebbe essere una soluzione. Certo, i Certificati verdi verranno dati sulle biomasse consumate. In sostanza, la produzione di energia elettrica, attraverso le biomasse, ha senso solo se incentivata. Quindi, occorrerà chiedersi quanto dureranno questi incentivi? L'elevato costo dell'energia ci accompagnerà per almeno dieci anni. Inoltre, c'è un'altra ragione da evidenziare: i consumi energetici si prevede che cresceranno. Le incentivazioni, per questa ragione, ci accompagneranno per i prossimi anni. Morale? Potremo contare sugli incentivi. La biomassa potrà avere incentivi maggiori? Attualmente, sono agli studi le possibilità di incentivare la biomassa più delle altre energie rinnovabili. C'è anche un altro problema legato all'incentivazione della biomassa in Italia. Se andassi a produrre della biomassa in India e portassi il prodotto in Italia, avrei un impatto ambientale, dovuto al trasporto, che va a detrimento del valore ambientale della produzione della biomassa. Ci sono studi, prospettive e incentivi per una biomassa prodotta in loco, e disincentivi per quella prodotta all'estero. Il vero problema è che non si riesce a trovare, in Basilicata, biomassa per produrre l'energia e far funzionare un impianto tutto l'anno. Allora, a cosa bisognerà ricorrere? La soluzione, dicono ancora gli studiosi, è nell'utilizzo di un combustibile tradizionale e di un altro generato da biomassa. Con la consapevolezza che solo quando è utilizzata la biomassa si guadagna con i Certificati verdi. Mentre non si otterranno incentivi, quando si utilizzano i combustibili, con tanti problemi legati all'impatto ambientale. Questa sembra essere l'unica strada per far funzionare l'impianto e ammortizzare il suo costo. Inoltre, con l'energia termica di 10 mw elettrici si riuscirebbe a riscaldare il paese che ospita l'impianto. Sulla disponibilità della materia prima, Agostino Ferrara dell'Università di Basilicata afferma: "È molto semplice valutare qual è il ritmo di accrescimento dei boschi e quindi, di conseguenza, tarare i livelli di utilizzazione del legname sulla base degli accrescimenti in modo tale da salvaguardare i boschi e utilizzare soltanto la produzione che annualmente viene richiesta da un impianto a biomasse". Nei piani di forestazione, oltre alla salvaguardia e funzione turistica dei boschi, c'è una parte per cui è previsto il prelievo (il 2 per cento, grosso modo, di produttività per esigenze di usi civici e di biomasse). Utilizzazione sostenibile, quindi, basta vedere le produzioni, le produttività, la distanza e il prezzo di conferimento. L'ultimo argomento, non per importanza, è quello relativo all'impatto ambientale e alla sostenibilità delle biomasse. Una definizione, accettata in sede Ocse, afferma che un'attività per essere definita sostenibile deve possedere simultaneamente tre diversi requisiti: "Deve garantire la conservazione degli equilibri ambientali in modo da consentire una produttività per un periodo di tempo indefinito, ossia non deve condurre al consumo di materiali ed energie non rinnovabili, e questo requisito (la sostenibilità delle risorse) è quello universalmente più noto, spesso confuso con lo stesso concetto di sostenibilità; deve garantire sicurezza agli operatori e condizioni igienico-sanitarie di assoluta tranquillità per i consumatori (sostenibilità della salute): un principio talora dimenticato, o per lo meno non associato con il concetto di sostenibilità; deve garantire produzioni economicamente con-venienti, ossia un reddito agli operatori (sostenibilità economica). Quest'ultimo requisito è quello più frequentemente dimenticato o talora aggirato, mediante sostegni economici agli operatori o, peggio, frodi nei confronti dei consumatori". L'uso energetico delle biomasse vegetali è considerato uno dei più efficienti sistemi per ridurre le emissioni di gas serra (come previsto dagli accordi di Kyoto del 1998), in quanto la Co2 (anidride carbonica) emessa durante la produzione di energia dalle biomasse è pari a quella assorbita durante la crescita delle piante, mentre i combustibili fossili utilizzati emettono Co2 che si accumula nell'ambiente. Attualmente, gran parte dell'energia fornita dalle biomasse deriva dalla legna da ardere. Vi sono alcuni paesi del Terzo Mondo, soprattutto africani, dove più del 70 per cento del fabbisogno energetico è coperto dalla combustione della legna, una risorsa che, a causa dell'eccessivo sfruttamento, in certe zone non può essere considerata rinnovabile. Inoltre, la coltivazione intensiva di alcune piante, finalizzata alla successiva produzione di energia (le cosiddette colture energetiche), oltre a necessitare di ampie porzioni di territorio per ottenere quantità di combustibili significative (terreni che sono sottratti all'attività agricola per produzione alimentare), può comportare l'utilizzo di fertilizzanti ed altre sostanze inquinanti del suolo e delle acque. L'uso delle biomasse come combustibili porta però anche alcuni vantaggi. L'utilizzo di biomasse quali residui forestali, agricoli e delle lavorazioni del legno, contribuisce a tenere puliti boschi e terreni e crea nuovi posti di lavoro. Ha quindi un positivo riflesso sull'occupazione che, soprattutto nelle zone rurali, si somma a una minore "dipendenza energetica" dai paesi produttori di combustibili fossili. Altri vantaggi consistono nella sua abbondanza, nella facilità di estrazione energetica, nel basso tenore di zolfo con la conseguenza di non contribuire alle piogge acide, nel fatto che il suo fine ciclo costituisce un potenziale fertilizzante. Detto questo, restano ancora forti perplessità sull'utilizzo delle biomasse. La vicenda della centrale del Mercure ne è un esempio lampante e ripropone in pieno la tematica della corretta valutazione dell'impatto ambientale e della sostenibilità. (M.C.)

Bibliografia:

  • AA. VV. "Nuove prospettive del protocollo di Kyoto: meccanismi attuativi e impatto sulla collettività" in Ambiente e Sviluppo n. 2/2002
  • Angelini P. "Più biomasse, meno gas serra" in Verde Ambiente n. 2/1999
  • Bartolelli V. "Energia rinnovabile da biomasse: opportunità di sviluppo e nuova occupazione" CNEA, 1998
  • ITABIA "Le coltivazioni da biomassa per una energia alternativa" in Agricoltura n. 293/1999
  • ITABIA "La posizione di ITABIA sullo sviluppo della bioenergia in Italia", 1998
  • ITABIA "Elettrificazione agricola e utilizzazione dell'energia", 2002
  • Le Fonti Rinnovabili 2005 - Lo sviluppo delle rinnovabili in Italia tra necessità e opportunità, A cura di Carlo Manna, novembre 2005
Siti d'interesse:www.biomasse.basilicata.it; www. trisaia.enea.it;www.enea.it

Redazione Consiglio Informa

argomenti di interesse

Per visionare il contenuto è necessario installare Adobe Flash Player