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(RI) UN MUSEO DI STORIA NATURALE DEL VULTURE A MONTICCHIO

14 febbraio 2007

© 2013 - monticchio_ultimo.jpg

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(ACR) - Un museo di storia naturale del Vulture nell'abbazia di San Michele a Monticchio. La realizzazione del contenitore culturale, i cui lavori sono già in corso, rientra nell'ambito del progetto Ape (Appennino Parco d'Europa) per la tutela, valorizzazione e fruizione dei beni naturalistici e storico-culturali che ricadono nelle riserve naturali regionali. L'abbazia, o come sarebbe più appropriato definire, il convento di S. Michele (il convento cappuccino ha, infatti, inglobato l'ipogeo con la chiesa in grotta esistente, ndr), per lungo tempo abbandonato, è stato oggetto di un notevole intervento di recupero nel decennio scorso, cui è seguito un lungo periodo di non utilizzazione che non ha certo giovato alla sua conservazione. Risale al 1930 il fitto carteggio fra l'allora Prefetto di Potenza e il ministro provinciale dei cappuccini padre Alfonso da Calitri per la riapertura del complesso monastico di Monticchio, cui seguirono sollecitazioni anche da parte del vescovo di Melfi, mons. Luigi Dell'Aversana Orabona e del suo successore mons. Domenico Petrone. Richieste destinate a restare disattese, nonostante le nobili intenzioni, per "il numero ridotto dei frati". Una giustificazione plausibile, a cui bisognerebbe aggiungerne un'altra, se a distanza di dieci anni lo stesso padre provinciale dei Cappuccini, dopo essersi recato insieme al vescovo in quei luoghi scriverà: "col vescovo ci portammo a Monticchio, ove giunti per sentieri impervii, l'impressione ricevuta fu così disastrosa, che mi è difficile dimenticarla. Non ci è anima viva, solo monti, alberi secolari, avvallamenti e solitudine sepolcrale. Lo sguardo altro non vede che boscaglie, sicché il soggiorno colà sarebbe senza scopo e del tutto insopportabile, eccetto se si pensasse di fare rivivere i lontani tempi degli anacoreti. Ognuno, incominciando da me, avrebbe paura di tenervi dimora". Quindi, a nulla servirono le sollecitazioni, né l'eventuale possibilità per i Cappuccini di cedere ogni diritto sul monastero di Monticchio ai frati minori. Solo nel 1960, dopo la rinuncia di due famiglie francescane, una terza famiglia, sempre francescana, quella dei frati minori conventuali che operava a Rionero, subentrerà nella rivitalizzazione della badia, dopo ripetuti incoraggiamenti del Vescovo Petrone a "non aver paura". Oggi la situazione è notevolmente migliorata, quei boschi non fanno più "paura", e l'abbazia rimasta ai frati minori conventuali della comunità di Melfi rappresenta, insieme all'intero territorio del Vulture un patrimonio dalle elevate potenzialità dal punto di vista sociale, culturale, ambientale, turistico ed economico. Attualmente, però, il complesso rappresenta una vera emergenza culturale, soprattutto a fronte dei lunghissimi periodi di non utilizzazione della struttura, di qui la volontà della Provincia, soggetto attuatore del programma Ape, di destinare almeno una porzione importante a museo di storia naturale del Vulture, in perfetta armonia e relazione con l'aspetto religioso, proprio del luogo, curato dai frati affidatari. Il museo sarà ospitato nei due piani inferiori dell'abbazia, e sarà organizzato in diverse sale. La prima area, quella più prossima all'ingresso del museo, sarà destinata a spazi espositivi temporanei e occasionali, subito dopo ci sarà l'area di storia naturale del Vulture, con, al suo interno, una sezione denominata "casa della Bramea" dedicata alla rarissima farfalla notturna presente nei boschi del Vulture, appartenente ad una specie ritenuta assente in Europa, scoperta nel 1963 dallo studioso Federico Harting. Negli ultimi ambienti del primo piano sarà allestita una sala multimediale per la valorizzazione e la fruizione delle risorse naturali e culturali. Un'altra sezione del museo sarà dedicata al territorio del Vulture con particolare riferimento alla storia del vulcano spento, alla geologia e alla mineralogia. Il progetto prevede anche la realizzazione di un percorso religioso dedicato alla storia dell'abbazia -le prime notizie sul cenobio di San Michele risalgono al 1059 - che partendo dall'ingresso del lato a valle si snoderà attraverso gli antichi ambienti, quelle stalle dove venivano riposte le cavalcature e dove sono ancora riconoscibili le grotte, per poi arrivare alla chiesa. Lungo il percorso religioso saranno esposti anche pannelli illustrativi che evidenzieranno alcune emergenze, come l'antico portale dipinto, nonché alcune tabelle esplicative e documentali sulla storia del complesso monastico. Eventi di vasta risonanza hanno interessato il cenobio di San Michele fin dalle sue origini, basti pensare al Concilio di Melfi del 1059 (1), quando il papa Nicolò II per esternare la sua benevolenza verso i Normanni e i benedettini, salì sul Vulture, con tutti i cardinali e i vescovi partecipanti, tra cui Baldovino vescovo di Melfi, per consacrare l'edicola del cenobio micaelico, inglobata insieme ad altre cavità e alla scala in un modesto insediamento e successivamente consacrerà la chiesa della Trinità di Venosa, futura tomba del Guiscardo (2). "A noi importa – ha scritto Giustino Fortunato – solo rammendar la data di quel concilio, perché è fama che appunto in occasione di esso, precisamente al 13 agosto, papa Nicola II, accompagnato da 5 cardinali, da sette arcivescovi, tra cui il primate di Bari, e da 15 vescovi, abbia onorato di sua presenza il cenobio di Monticchio, consacrandovi la grotta, ormai immune d'ogni lue basiliana. Che vi sia andato e vi abbia celebrati i divini ufficii, può darsi benissimo. Ma tutto il resto è una fandonia del Gatta, un "dolce suo sogno", come scrive il De Meo" (3). Il luogo consacrato dal papa è il piccolo oratorio nella grotta, caratterizzato dalla "Deesis" (la preghiera) affrescata sulla parete di fondo dell'edicola, probabilmente di ascendenza bizantina, con le figure di Cristo benedicente tra Maria e Giovanni Battista, con sei apostoli ai due lati. Lo schema rigorosamente gerarchico della rappresentazione vede al centro Cristo, di dimensioni maggiori di quelle della Madonna e di S. Giovanni. Una piccola e semplice edicola votiva, dalle straordinarie decorazioni, sulla quale i pareri degli esperti rispetto alla datazione oscillano fra la seconda metà dell'XI secolo e la prima del XII (4). (I.I.)

Bibliografia:

  • (1) C.Palestina, Monticchio, Il Cenobio, La Badia, Il Convento
  • (2) P.F.Kehr, Regesta Pontificorum Romanorum. Italia Pontificia, 1909
  • (3) G.Fortunato, La Badia di Monticchio, Trani 1904
  • (4) E.Bertaux, I monumenti medioevali nella Regione del Vulture, supplemento a Napoli Nobilissima, 1897
  • C.Carletti e G.Otranto, Culto e insediamneti micaelici nell'Italia meridionale fra Antichità e Medioevo, Bari 1994

Redazione Consiglio Informa

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