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(RI) IL JAZZ NELLA TERRA DEI LUCANI
02 aprile 2007
(ACR) - Non è un vino Doc, né un olio Docg: è la musica jazz Ijt. Sembra proprio uno scherzo, ma in realtà è qualcos'altro: ovvero il tentativo di dipingere il jazz con i colori e gli aromi lucani per farlo diventare un vero e proprio prodotto casalingo tipico. Così, non si avranno solo le etichette per la gastronomia di qualità e i prodotti dell'agricoltura, ma anche per la cultura. È già questo ha qualcosa di rivoluzionario. Dicono i manuali dei sommelier che l'Igt, l'indicazione geografica tipica, è la terza delle quattro classificazioni dei vini riconosciuti dal Governo italiano, e indica vini da tavola di qualità prodotti in aree generalmente ampie. I requisiti sono meno restrittivi di quelli richiesti per i vini Doc. Si legge ancora: "Questa categoria comprende i vini da tavola prodotti in determinate regioni o aree geografiche (autorizzate per legge), talvolta secondo un generico disciplinare di produzione; essi possono riportare sull'etichetta, oltre all'indicazione del colore, anche l'indicazione del o dei vitigni utilizzati e l'annata di raccolta delle uve". Bene, capito cosa significhi indicazione tipica, bisognerà spiegare, mutando il mutabile, come entra in tutto questo can can la musica jazz e la Basilicata. Per non far torto a nessuno leggiamo, sui manuali di "gastronomia musicale", questa volta, che: "Il jazz è una musica nata e cresciuta durante il secolo scorso negli Stati Uniti d'America. La sua invenzione appartiene esclusivamente al popolo afroamericano. Il jazz ha fatto grandi passi durante il suo cammino evolutivo: dalle bettole e dalle strade di New Orleans alla ventosa Chicago, dalla calda e cinematografica Los Angeles fino alla frenetica e cosmopolita New York. Poi ha attraversato gli oceani e ha invaso il mondo". Questa, in sintesi, una delle tante definizioni che si hanno sulla musica afroamericana per eccellenza. Nella descrizione si escludono dalla genesi altri Paesi e nazioni che non siano quelli del continente americano. Si sa, però, che tale forma musicale ha affascinato generazioni di musicisti anche al di fuori dei confini americani, creando rivoli di interpretazioni e di rielaborazioni non strettamente legate alla matrice storica. "A poco a poco però la situazione mutò. L'intensificarsi degli scambi culturali con gli Stati Uniti e, in particolare, la consuetudine di lavoro e di vita di molti jazzmen europei con i numerosi colleghi americani domiciliatisi nei loro Paesi, non soltanto hanno permesso ai migliori di loro di impadronirsi alla perfezione dell'idioma jazzistico, ma hanno fatto sì che si consolidasse una piattaforma culturale comune ai musicisti d'Europa e d'America". A scrivere queste parole fu Arrigo Polillo (1910-1984) nel suo monumentale "Jazz". Lo studioso, giornalista e critico, fra i più autorevoli al mondo, nutriva non pochi dubbi sulla globalizzazione che il jazz stava subendo agli inizi degli anni '60 e attribuiva la causa, da un lato alle maggiori case discografiche che avevano costretto la musica di origine afroamericana ad: "Assumere forme a essa non congeniali per renderla meglio vendibile al grosso pubblico: bianco naturalmente". Dall'altro, Polillo non nascondeva il pressapochismo con il quale si muovevano sedicenti studiosi nell'analisi delle trasformazioni di una cultura musicale. La sua però non era proprio una posizione intransigente e lo scriveva in modo netto e preciso: "D'altro canto non è neanche possibile parlare degli ultimi sviluppi del jazz restando entro i confini della cultura che lo ha originariamente espresso, e cioè, lo si ripete, quella degli afro-americani e di certi americani bianchi che ne hanno condiviso in parte la sorte o hanno solidarizzato in qualche misura con loro, magari soltando imitandoli". Era severo, Polillo, ma queste pagine le scriveva tra il 1971 e il 1975. Non avrebbe avuto il tempo per capire e analizzare a fondo tutta l'evoluzione della musica verso gli scenari di contaminazione che si sarebbero compiuti a partire dalla seconda metà degli anni '80, né che proprio l'Europa sarebbe diventata la seconda patria del jazz, salvandone speranze, creatività e anche le ambizioni di numerosi musicisti americani che spesso risiedevano nelle città del vecchio continente alla ricerca di nuove fonti di ispirazione, facendo germinare uno stuolo di musicisti europei che ben presto avrebbe raccolto l'eredità dei maggiori artisti dando al jazz un'altra chance di rinascita. "Gli europei, partiti con un ovvio timore reverenziale verso i maestri che allora imitavano, hanno cominciato a suonare con loro e ad accorgersi che non era poi così difficile. Il punto cruciale, nondimeno, è stata l'intuizione – in principio di pochi, e nemmeno generalizzata – che la strada giusta era quella di differenziarsi dagli americani, pur adottando il linguaggio inventato da loro. Per fare ciò, gli europei dovevano frugare nelle proprie radici: cosa che, si capisce, poteva loro riuscire soltanto se erano in possesso della statura artistica (e della cultura) necessarie e sufficienti". Nella parole di Franco Fayenz, un altro prestigioso giornalista e cultore di musica afroamericana, vi è l'attualizzazione del pensiero di Polillo, ma anche la compiuta analisi del complesso fenomeno del jazz letto nella sua evoluzione storica, di assimilazione e confronto con altri linguaggi e culture a tal punto da farlo diventare un patrimonio condiviso, se pur nelle specifiche differenziazioni. L'Europa, la Francia, la Svezia e poi l'Italia accolgono il "vecchio" jazz e lo rielaborano secondo tradizioni e cultura. La sensibilità e il patrimonio della musica colta e contemporanea dialogano e convergono verso strade di fusione artistica prima di allora inimmaginabili. Città, paesi, regioni vengono invasi da fan, cultori e semplici appassionati che impiegano poco a creare fan club e festival di respiro internationel. In poco tempo il jazz mette radici dovunque con proprie specificità locali. E la Basilicata? Non sta certo a guardare. Il Marajazz, il festival internazionale di musica jazz, per una quindicina d'anni è il punto di riferimento in Basilicata, e ospita gli artisti più interessanti della scena musicale mondiale, tra cui Chick Corea, Bill Frisell, Dee Dee Bridgewater, Ivano Fossati, John Scofield, Joe Zawinull, Peter Erskine, Pat Metheny. In questo contesto favorevole, non è più, quindi, un'eresia se un valente chitarrista materano, Dino Plasmati, incida un cd, "Viaggio nelle terre dei lucani", in cui, affiancato da prestigiosi musicisti nazionali e internazionali, si è proposto di musicare una terra, la Basilicata, con tutta una tradizione musicale, paesaggistica e culturale non di poco conto. Plasmati ha spaziato tra la gioiosa festosità di "Rione Paradiso", un quartiere di Ferrandina (con le colorate trovate timbriche che hanno nel baritono di Javier Girotto tutta la loro brillantezza); tra le delicate tessiture del "Giorno dell'Annunziata" in cui prendono forma i ricordi e le immagini della festa patronale di Aliano. Per non parlare delle asperità di "terre" scoscese su cui sono arrampicati interi e impossibili paesi lucani e con loro le speranze produttive d'intere comunità e che l'artista materano ha musicalmente rappresentato in un altro brano, "Terre". O ancora, il chitarrista potentino, Emanuele Basentini, vincitore del premio nazionale "Massimo Urbani" e del concorso nazionale "Baronissi Jazz". Oltre a far parte della band di Renzo Arbore, Basentini ha collaborato con uno dei più grandi pianisti viventi, Franco D'Andrea. Ha da poco pubblicato il suo secondo cd. Non sarà un caso che l'Onyx Jazz Club di Matera, al centro per lungo tempo degli interessi della stampa specializzata italiana, abbia festeggiato i suoi venti anni di attività, anche nel campo dell'autoproduzione di cd, e si sia fatto promotore di tante iniziative mirate a promuovere i musicisti jazz lucani ("Il jazz nostrum", ad esempio, con Giovanni Tamborrino, Enzo Melasi, Felice Lionetti, Leo Morano, Pasquale Mega, Luigi Esposito, Serafino Paternoster, Marco Sinno, Eustachio Rondinone, Dino Plasmati, Gianni Bruno, Gianni Loparco, Franco Fossanova, Pippo Bianco, Nicola Pisani, Mario Andriulli, Agostino Sacco). La stessa regione Basilicata, istituzionalmente e con non poca sensibilità musicale, si è fatta promotrice dell'iniziativa "Basilicata per New Orleans", rassegna organizzata in collaborazione con l'Apt per raccogliere fondi a favore della comunità jazzistica di New Orleans, dopo che l'uragano Katrina aveva devastato la città in cui il jazz nacque.Mancava qualcos'altro per suggellare questo percorso di interesse lucano per il jazz. E questo elemento di novità, alla fine, ha preso le sembianze del marchio di qualità "Ijt" che d'ora in poi rivestirà il jazz lucano. Le associazioni "Prometeo", "I Suoni delle Dolomiti", "Associazione 900", "Argo Jazz" e "Onyx Jazz Club" hanno promosso un bando pubblico per la presentazione di candidature al riconoscimento del bollino "Ijt", indicazione jazzistica tipica, nell'ambito della prima edizione del Festival Ijt. Il bando è riservato a gruppi jazzistici i cui componenti siano nativi e/o residenti in Basilicata per almeno 2/3 dei componenti (sono ammessi gruppi a partire da 2 componenti fino alle formazioni orchestrali).Un'apposita commissione, composta da giornalisti ed esperti di jazz, selezionerà per il 2007 le quattro migliori proposte a cui verrà consegnato il bollino Ijt nell'ambito delle rassegne. Scadenza del bando, 20 aprile 2007. Le migliori band si esibiranno nei festival Jazz Castello, Argo Jazz, Policoro Jazz Fest, festival delle Dolomiti e Gezziamoci in programma da giugno a dicembre 2007. Nella valutazione della commissione, sarà data particolare rilevanza alla rielaborazione in chiave jazzistica di musiche tradizionali lucane e /o musiche originali. Il presidente dell'Onyx Jazz club, Gigi Esposito, ha affermato: "Questo protocollo ci consente di lavorare ad un progetto che ha un occhio particolare verso i jazzisti di casa nostra. Il progetto è nato dall'esperienza di Basilicata per New Orleans. Ho scoperto, in quell'occasione, tutte le piccole realtà in cui c'è un particolare fermento". Non diverse le dichiarazioni degli altri esponenti delle associazioni che hanno sottoscritto l'accordo. Pierangelo Colangelo, presidente dell'associazione "Prometeo" che organizza il "JazzCastello" di Castelagopesole, ha sottolineato: "Per quanto ci riguarda cerchiamo comunque di far conoscere musicisti che spesso vivono in piccole realtà e ai quali occasioni come questa possono offrire una reale opportunità". Per Fernando Panetta dell' "Associazione 900", organizzatrice del "Policoro Jazz Fest": "Iniziative come queste ci consentono di trovare musicisti di qualità e di promuoverli nell'ambito delle nostre rassegne per un progetto come l'Ijt che dà maggiore qualità alla musica".
Pino Melfi del "Festival delle Dolomiti" di Pietrapertosa ha aggiunto: "Il progetto dà importanza ai musicisti lucani come conferma anche l'attività della nostra associazione". Per Teresa Colucci, presidente dell'associazione "I suoni delle Dolomiti": "Dal 1998 la nostra associazione promuove una serie di iniziative inserite nella rassegna che confermano l'importanza di iniziative come l'Ijt". Il jazz ha trovato una nuova casa nella terra dei lucani. (M.C.)
Bibliografia:
- Flavio Caprera, Jazz Music, Piccola biblioteca Oscar Mondadori, 2007
- Arrigo Polillo, Jazz, Oscar Mondadori, 1997
- http://www.basilicatanet.it/news/article.asp?id=549377
- http://www.onyxjazzclub.it/
- http://www.suonidelledolomiti.it/