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(RI) I PIZZINI DI CROCCO & CO.
11 maggio 2007
(ACR) - "Pizzino è una parola derivante dal termine siciliano pizzinu che indica un piccolo pezzo di carta o bigliettino. Tale termine è da anni entrato a far parte del lessico dell'italiano regionale di Sicilia e, ultimamente, anche della lingua italiana corrente con il significato di foglietto di carta con il quale boss mafiosi fanno pervenire agli affiliati ordini o comunicati in genere. I pizzini hanno avuto improvvisa notorietà in occasione dell'arresto di Bernardo Provenzano nel cui ultimo rifugio ne sono stati rinvenuti molti. Occorre evidenziare che questo sotterfugio è stato utilizzato per lungo tempo dai mafiosi con lo scopo di prevenire eventuali intercettazioni da parte delle forze dell'ordine, che si potrebbero avere con i mezzi di comunicazione tradizionali". La definizione è tratta dall'Enciclopedia libera, Wikipedia, che ricostruisce il significato di un termine ormai entrato a furor di media nel linguaggio quotidiano.
Non c'è da stupirsi se è diventato l'oggetto di gag appassionate, né che perfino la classe politica (l'occasione le fu data durante l'elezione dell'attuale presidente del Senato, Franco Marini) abbia sguazzato a piene mani in un vero e proprio tormentone linguistico. Ma la sua origine sembra andare molto più indietro nella storia e più precisamente proprio negli anni in cui nasceva lo Stato italiano e il brigantaggio gli sferrava il suo attacco più drammatico. Si sa, quello del brigantaggio è un complesso tema storiografico non condiviso. Così come, potrebbe suscitare non pochi dubbi l'apparente comunanza tra mafia e brigantaggio: ci sono notevoli differenze tra i due mondi che sono state ben evidenziate dagli studiosi (da ultimo un convegno svoltosi a Messina, novembre 2006, dal titolo "Mafia e brigantaggio nella storia del Brigantaggio"), dalla letteratura e dalla cinematografia.
I briganti non furono tutti eroi. Il loro fu un atteggiamento misto di idealismo, criminalità e anche patriottismo. Il brigantaggio, a parte quello mitico – quello degli agguati, delle città distrutte, delle fucilazioni, della gente uccisa e mandata al confine – ha anche un altro aspetto: quello della sua quotidianità. Il microsistema del brigantaggio, come è stato definito, che non si occupa dei grossi problemi sociali, economici o politici, ma che ci mostra il fenomeno così come vissuto nella vita di tutti i giorni: come le bande vivevano, come si organizzavamo, come trovavano gli approvvigionamenti necessari. E ancora: come curavano i feriti, quali rapporti avevano con gli abitanti dei paesi nei quali agivano. Tutti questi aspetti del fenomeno sono poco noti e conosciuti.
Su questa microstoria bisogna insistere maggiormente. Come le bande facevano ad approvvigionarsi di tutto ciò che a loro serviva? C'erano bande di 50/100 briganti o anche molto inferiori. Alcune di queste bande agivano in un spazio ben determinato, in genere vicino al luogo dove era nato il capobanda o erano nati la maggioranza dei componenti della banda.
Verso la fine del '60 i vertici militari non avevano preso in seria considerazione il fenomeno. Sembrava, quella dei briganti, una reazione passeggera. Proprio in quel momento i capi-banda avevano più facilità a rifornirsi: assalivano i paesi, razziavano le case dei ricchi proprietari, derubavano i viandanti. Nella primavera del '61 l'esercito si organizzò. Nel Sud arrivarono più soldati. Furono inoltre promulgate leggi particolari che vietavano ai cittadini di uscire dalle mura di città per andare in campagna a portare provviste di viveri. Divenne più difficile per le bande trovare rifornimenti.
Nel bosco della Frasca, vicino a Melfi, c'era il quartiere generale di Carmine Donatelli Crocco. Il brigante di Rionero in Vulture teneva una infermeria ben attrezzata. C'era una legge non scritta: quando i briganti combattevano e si scontravano, i feriti non li lasciavano mai sul terreno perché temevano che potessero rivelare i rifugi, oltre che tenevano alla loro sopravvivenza. Gli ospedaletti erano ben organizzati. Servivano anche cavalli freschi, al contrario di quelli dei soldati, spesso stanchi e malnutriti.
I briganti avevano tutto, non escluse le armi che giungevano nei porti pugliesi, ed erano molto più forniti dell'esercito. Avevano bisogno di armi, di viveri, di biancheria, di sigari, di cartucce, di orologi. Come potevano procurarseli? Prima dell'intervento dell'esercito, lo abbiamo già evidenziato, era più facile avvicinarsi ai paesi. Ora era molto pericoloso. C'era bisogno di qualcuno che portasse le richieste dei capi-banda ai ricchi proprietari, cioè a coloro che potevano soddisfare realmente i lori bisogni. I briganti si intrattenevano nelle vicinanze dei paesi, conoscevano abitudini e consistenza patrimoniale dei proprietari, sapevano quello che chiedevano. L'unico sistema per comunicare era mandare qualche messaggero, con tanto di bigliettino scritto. Oggi sembra un problema semplice da risolvere, ma in quel periodo in Italia l'analfabetismo era intorno al 74/75 per cento; in alcune zone del Mezzogiorno raggiungeva il 93 per cento: era una piaga drammatica. Come fare quindi per far capire ai proprietari ciò di cui si aveva bisogno? Bisognava scrivere dei bigliettini: sì, proprio qui bigliettini che solo in seguito, cambiando il cambiabile, si sarebbero chiamati pizzini.
C'era un altro problema, però: la maggioranza dei capi-banda non sapeva scrivere. Crocco rappresentava un'eccezione – era stato sergente dell'esercito borbonico – ma gli altri (Michele Caruso, Giuseppe Schiavone o Ninco Nanco, di Avigliano) avevano bisogno di qualcuno che sapesse di "penna". Non bastava però solo saper scrivere, bisognava anche saper interpretare quanto voluto dai briganti. Bisognava pur saper "porgere" la richiesta, bisogna pur saper suscitare in chi riceveva il biglietto un certo timor panico (la paura). Bisognava, insomma, "metterlo in angoscia".
Ogni banda aveva il suo scrivano. Spesso capitava che veniva catturato e ucciso e la banda si trovava ancor più in difficoltà. Per i briganti era una figura fondamentale. Quando se ne era sprovvisti, per una ragione o per l'altra, ci si rivolgeva ad altre bande limitrofe per farselo, per così dire, prestare. A volte si scrivevano molti biglietti, tutti in serie, per sopperire alla mancanza degli scrivani. Tra l'altro, quei biglietti non sono mai datati. Sono datati solo quei biglietti che i proprietari che li ricevevano avevano poi il coraggio di denunciarli all'autorità di polizia. Quelli sono datati col timbro.
Giuseppe Clemente, presidente del Crd, Centro di ricerca e di documentazione per la Storia di Capitanata, ha contestualizzato e ricostruito 32 biglietti di ricatto, oltre ad aver ricostruito un'anagrafe dei briganti in capitanata, di circa mille e 500 nominativi, ognuno dei quali era conosciuto, oltre che per nome e cognome, anche e soprattutto per soprannome. Uno di questi, Ciavarella, aveva un soprannome che indicava il suo status: lo chiamavano "troppo inchiostro", perché, evidentemente, a furia di scrivere i biglietti per le numerose bande non gli bastava mai l'inchiostro.
Il problema di scrivere il biglietto ne incontrava un ulteriore: chi doveva materialmente recapitarlo al destinatario. In genere il biglietto era ad personam, cioè mirato. Di solito capitava un pastore che pascolava col gregge. Lo minacciavano e il malcapitato era costretto a recapitare il biglietto. Molte volte, oltre a recapitare il biglietto, aveva il compito di trasportare quanto richiesto dai briganti. Oltre ai pastori, si incontravano contadini, donne che lavoravano in campagna. In un racconto si narra che una donna, mentre raccoglieva le fave, fu avvicinata dai briganti che le chiesero di portare un biglietto ad un notabile del paese. La donna eseguì l'ordine, ma fu anche violentata. E questo capitava purtroppo spesso.
"I biglietti che ho avuto modo di consultare – di misura più grande di quelli che oggi chiamiamo pizzini – ci lasciano presupporre che esiste un modello di impostazione che i vari briganti si trasmettevano tra loro. Il biglietto veniva strutturato in questo modo: c'era la prima parte, quella della richiesta, e poi una seconda, quella delle minacce (se non mandate questo, allora…)", ha affermato Clemente. Chi riceveva questi messaggi non certo era felice di leggerli.
Cosa chiedevano i briganti nei messaggi? Armi, giumente, pantaloni, caciocavallo, prosciutto, mantegne, salsiccia, barili di vino, rosolio e sambuca. Molto curate le richieste per il vestiario: gilet, camice di raso, vestiti, soprabiti, cappotti ecc., stivali con sperone, fazzoletti da naso, cappelli all'italiana. I briganti non avevano una divisa, vestivano o con le divise che sottraevano ai militari, quando li ammazzavano, o alla paesana come normali contadini o pastori. C'erano anche i briganti vanitosi – uno di questi era proprio Crocco che indossava una divisa bianca con tanto di cappello. I briganti avevano bisogno di munizioni e chiedevano: pistole, carabine, fucili, mazze di cartucce, palle da tre quarti o da un'oncia.
Ecco alcuni dei "biglietti" che lo storico Clemente ha analizzato. In un biglietto, Michele Caruso, in un linguaggio misto tra dialetto e italiano, chiede ad un certo Iamele: "Caro Vincenzo facetemi un favore di mandarmi una realia (un regalo) perché siamo 100 persone e di più mandatemi due selle e 10 mazzi di cartucce e sono il vostro amico Michele Caruso". In un altro caso: "Caro don Vincenzo sull'istante dovete mandare una bone (buono) spesa con 5 mantegne di vino e 10 paccotti (pacchi) di sigaro, 10 bottiglie di rosolio e sabbucella (Sambuca) e formaggio bastante esatte subito senza pigliar tempo, se no ci bruceremo ciò che lei possiede. Sono il comandante della compagnia Michele Caruso…"
Poi ci sono i "pizzini" di Crocco ("probabilmente – sostiene ancora Clemente – i biglietti che portano la sua firma sono scritti proprio dallo stesso in quanto, tra i tanti briganti, era quello che sapeva scrivere"). Scrive il brigante ad un proprietario di Cerignola: "Signor don Francisco da un anno vi ho chiesto una somma, ma avete tergiversato e state attento perché io ho bruciato città e fatto danni. Quindi consegnatemi la somma di 900 ducati…".
Ancora: "Signore vi compiacereto regalarmi uno dui colpo (un fucile doppietta) e la somma di docati due cento cinquanta. Se il tutto mi sieno pronti io vi sarò grato, in caso di conserveremi, nell'opportuna occasione. Tanto ossequi sono Carmine Donatelli Crocco." In sostanza, in un italiano smunto, chiede un fucile e una somma di 250 ducati.
In un'altra richiesta Crocco scrive: "Gentilissimo signore in vista del Presente Vi Benignati mandarmi la somma di ducati due mila ed un buono due botte ella poi non deva denugiare mentre da estata molte anni bene rispettata, perciò, mi credo essere con tutta la delicatezza servito, e mi terrai i saluti ed attendo il di lui cangiarro (un fucile) aspetto vi saluto con stima e sono Carmine Donatelli Crocco, generale comandante".
Non si possono né si devono stabilire paralleli tra il brigante e il mafioso, anche se l'evoluzione della letteratura sul tema ha più volte costruito similitudini che si sono spinte fino al paragone con i terroristi delle Brigate rosse. Pur nonostante, il sistema di comunicazione, per molti aspetti clandestino e simbolico, permette di realizzare una comunanza che va oltre le differenze e il tempo della storia dell'umanità.
"Quei pizzini trovati nella masseria dove abbiamo arrestato Provenzano sono una vera e propria miniera per le nostre indagini. Oltre a quelli "personali", da e per la famiglia, ne abbiamo trovati anche "professionali", i suoi contatti con il mondo esterno, il mondo degli affari delle famiglie di Cosa nostra. E su questi ultimi abbiamo trovato nomi nuovi in codice di uomini d'onore e di imprenditori che chiedono protezione e raccomandazioni, e che ci consentiranno di ricostruire una mappa aggiornata della mafia", avrebbero detto gli inquirenti all'indomani della cattura del capo dei capi. Proprio in uno dei messaggi, Provenzano chiedeva: "Mi fate avere un po' di pasta al forno?". Oggi come ieri. (M.C.)
Fonti:
- Giuseppe Clemente, Il brigantaggio in Capitanata, Fonti documentarie e Anagrafe (1861 - 1964), Istituto per la Storia del Risorgimento italiano
- http://www.repubblica.it/2006/04/sezioni/cronaca/provenzano/nostro-amico/nostro-amico.html
- Marco Brando, Briganti, "Gli sgrammaticati ricatti di Carmine Crocco & C", Microstorie su http://www.mondimedievali.net/Microstorie/crocco.htm
- http://it.wikipedia.org/wiki/Pizzino
- Saverio di Bella, Mafia e Brigantaggio nella storia del Mezzogiorno, conferenza 20/23 novembre 2006, Messina su http://www.ristretti.it/convegni/mafia_di_bella.pdf
- Francesco Rosi, Salvatore Giuliano, 1961
- Raffaele Nigro, Giustiziateli sul campo – Letteratura e banditismo da Robin Hood ai nostri giorni, Rizzoli, novembre 2006