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(RI) LIEVITA TRA I SASSI IL PANE DI MATERA, PREZIOSO VANTO DI TRADIZIONE E MODERNITÀ
15 giugno 2007
(ACR) -
Ci sono i "Filoni delle Marche e il "Casereccio" toscano. E mentre i piemontesi sfornando "Lingue di suocere" dilettano il palato beffandosela a un tempo delle lingue (notoriamente) biforcute delle madri delle proprie mogli, ad Altamura, nell'assolata provincia barese, i forni cuociono soltanto impasti prodotti a partire da farine locali e, soprattutto, selezionatissime. Mentre trova sempre nuovi sostenitori la proposta di introdurre nei ristoranti una carta del pane analoga a quella che distilla vini perfetti e singolari mescite.
Che sia condito (all'olio, al burro, al latte), oppure arricchito con profumate spezie come il finocchio, il sesamo, le olive o le noci. Che sia un filone, una baguette od una rosetta (perché in fin dei conti, insieme al palato, anche l'occhio rivendica sempre la sua parte) il pane, lo si sa, per gli italiani è sempre il pane: un alimento antico, il gusto stuzzicante della tradizione che sempre ritorna pur se sotto mentite spoglie per mano di abilissimi panettieri sperimentatori.
Evergreen e trasformista, moderno eppure vintage il pane un tempo snobbato come parente povero di cibi ben più appetibili è diventato da qualche tempo l'alimento principe delle nostre tavole, ambito per il suo gusto pronunciato e gradevole e per le sue straordinarie virtù di nutrizione e sostentamento. Protagonista assoluto di metafore e proverbi, passando pure per le parabole il pane è l'alimento per antonomasia, da sempre citato come nutrimento simbolo di valori preziosi. Persino il Padre Nostro, la più commossa preghiera della cristianità, lo invoca supplicando Dio affinché conceda a tutti gli uomini il pane quotidiano, come Gesù aveva insegnato quando dopo il discorso della Montagna per sfamare la turba festante che si era adunata per ascoltarlo aveva moltiplicato i dodici pani raccolti tra i pellegrini accalcati ai piedi della vetta. Sulla scorta dell'esempio biblico il pane è diventato così per i Cristiani il simbolo stesso della fatica della sopravvivenza, tanto che i più antichi proverbi raffigurano il pane come l'ambito trofeo della penosa lotta per il benessere, o addirittura l'immagine più lampante del lavoro e della coraggiosa resistenza ai mali del vivere.
Che la cucina sia bio, fusion oppure nouvelle da molto tempo ormai tutti rendono omaggio al pane, dai migliori cuochi del mondo intero fino ai più biechi intenditori nostrani. Una corte composita di guru chef mediatici (e soprattutto catodici) e critici esperti, o addirittura improbabili, si inchina di fronte a questo soft mix completamente naturale nel quale aromi, forme e colori si contaminano per emozionare anche i palati più esigenti.
Per chi ritiene politicamente scorretto professare la propria passione per il buon cibo, l'alibi questa volta è di ferro. Ma per chi, viceversa, mangia bene e con piacere, e non lo nasconde, è una gioia affondare i denti in un cibo che è un perfetto paradigma di straordinari pregi dietetici.
La sua introduzione e diffusione nell'area mediterranea risale assai indietro nei millenni. Cominciarono i Greci. Nella mitologia olimpica si narra che, in principio, nella mitica età dell'oro, gli uomini sedevano alle stesse mense degli dei sempiterni, sazi di nettare ed ubriachi d'ambrosia. Con il tempo però questa invidiabile condizione fu negata agli uomini ai quali non restò che sottoporsi alle dure fatiche agricole per procurarsi di cosa sfamarsi. I campi inondati dal sole e dissodati dall'aratro generarono spighe e bionde messi e i forni restituirono pani odorosi e fragranti. Da quel momento i cereali non avrebbero mai più lasciato sguarnite le tavole mediterranee. Dai padri greci il pane lo ereditarono i Romani che fecero grande l'Italia, "nutrice di messi". E tra le cui rovine sono emersi anche i resti degli avanzati forni, i pristina, nei quali si lavorava il grano concesso in tributo alla capitale del mondo dalla ricca provincia d'Africa. Lì si impastava l'enorme quantità di pane destinata a sfamare la plebe romana ritratta nella satira del poeta Giovenale mentre al grido di "panem et circenses" invoca giochi e distribuzioni gratuite di pane per soddisfare i meri bisogni materiali.
Nel suo infinito viaggio nello spazio e nel tempo il pane si è poi riproposto ed imposto nell'epoca moderna finendo con il diventare esso stesso un piatto globalizzato: è stato declinato in tantissime versioni, adattandosi ai gusti di diversi paesi e adattandosi ai più disparati prodotti locali. Ed è oggi tra i cibi della tradizione meglio e più degni di essere traghettati nei millenni avvenire. Un ritorno al futuro in grande stile quello del pane che gli ultimi contrordini scientifici sembrano aver innalzato dalla polvere del veto di nutrizionisti agli altari dietetici. Accusato per decenni di esser fonte di pericolosi lipidi, il pane oggi ha smesso di essere un tabù conquistandosi una diffusione planetaria e un grandissimo consenso di pubblico, avendo arruolato tra le fila dei suoi sostenitori anche le insipide tavole a stelle e strisce, notoriamente non raffinatissime in fatto di gusto. Da Londra a Marsiglia, da New York ai più piccoli centri della Germania si moltiplicano i forni e le panetterie che preparano questa specialità in modo fedele alla tradizione o in altre mille innovative versioni, variandone la ricetta per avvicinarle ai nostri gusti o azzardando inediti abbinamenti creativi. In materia di acquisti di prodotti da panetteria e consumi pro – capite sono però le tavole italiane a battere ogni record: l'anno scorso solo in Italia sono stati consumati 1,2 milioni di tonnellate di pane, cracker, panetti, grissini e prodotti derivati a base di cereali per una spesa complessiva di 2,86 miliardi di euro (fonte: Assopanificatori). Né poteva essere diversamente nel Belpaese da sempre tutto pane, amore e fantasia, e dove in fatto di pane il primato più interessante è nella tipicità. Dalla Puglia al Trentino, dal Lazio all'Emilia – Romagna, dal Veneto alla Basilicata, sono ben dodici le regioni d'Italia che si sono battute perché ai loro pani fosse riconosciuta l'identità d'origine: dodici ricette tradizionali targate Italia per altrettanti impasti, delicati e fragranti, che coniugando la qualità con la fantasia delle forme preservano tradizioni antichissime. Dodici duri e puri che hanno consegnato all'Italia il primato della tipicità in materia di panificazione. Seduta in quello straordinario consesso spicca, tra tutte, anche la piccola Basilicata rappresentata da un vessillifero d'eccezione: il pane "made in Matera", lievitato ancora oggi, proprio come cent'anni fa, a forza di braccia vigorose e sapienti mani.
Sono circa 130 i panificatori della città che proseguono quest'arte, antica e nobilissima, certificata da blasonate testimonianze artistiche e letterarie e che autorevoli fonti storiche fanno addirittura risalire al secolo controverso della dominazione borbonica. Ogni giorno le sole panetterie cittadine ne sfornano circa 80 quintali (fonte: Federpanificatori); è un pane artigianale preparato con una tecnica rimasta inalterata nel tempo e che, nel 2004, si è vista immancabilmente riconosciuta l'etichetta dell'Indicazione Geografica protetta quale indispensabile ed autorevole garanzia di una produzione indissolubilmente intrecciata al territorio.
Lì, nei forni che profumano di tradizione, insieme con le farine lievita l'orgoglio lucano per un sapore prezioso, vanto di tradizione e modernità.
Il pane di Matera è noto per il colore giallo, la porosità fine e uniforme, il sapore e l'odore estremamente caratteristico. Ha un'assai tipica forma a cornetto, ed è generalmente posto in commercio nella pezzatura da un chilo; la crosta misura uno spessore di circa 3 millimetri e la mollica esibisce il tipico colore giallo paglierino.
Cotto nei forni a legna si mantiene come fresco per molto tempo. Un apposito disciplinare (che recepisce i requisiti imposti dal Regolamento Cee 2081/92) ne ha codificato i criteri e le modalità per la preparazione e la produzione (gli stessi dell'anno Mille). A cominciare dagli ingredienti: sia le farine sia il lievito sono scelti con rigorosità. I grani sono rigorosamente quelli di cento anni fa: il pane Materano è prodotto esclusivamente con farina di semola di grano duro, nella varietà Cappelli, una vecchia varietà di frumento insuperabile per la panificazione e che va perfettamente a nozze con le specificità pedologiche e climatiche dell'argilloso terreno delle colline materane. D'origine rigorosamente naturale e non certo biotech è anche il lievito che rinforza la farina. I panificatori lo ottengono proseguendo una vecchia ricetta che mescola farina e polpa di frutta matura tenuta a macerare nell'acqua e che aggiunge al prodotto finito originali sensazioni di gusto. (R.P.)
Fonti:
- "Pane, amore e fantasia" di Marco Angelici nei I viaggi di Repubblica, numero 359 del 31 marzo 2005
- "Pane e marketing", scritto da Carlo Meo ed edito da Agra
- "Se finisce l'epoca del panino a tempo", di Carlo Petrini, ne "La Repubblica del 28 aprile 2006
- "Basta precotto: gli italiani preferiscono il forno", di Marina Cavallieri, ne "La Repubblica del 28 aprile 2006
- "Alimentazione e patologia Alimentare darwiniana", di Giovanni Ballerini ed. Mattioli, recensito in "D" del 20 maggio 2006
- "Pane all'esame della deregulation", di Massimo Agostani in Agrisole, del 15 settembre 2006
- www.panedimatera.com
- "Il Disciplinare di Produzione del pane di Matera, Indicazione geografica protetta"
- http://www.aptbasilicata.it/Consorzio del pane.658.0.html
- http://www.aptbasilicata.it/La pasta-e-il-pane.674.0.html