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(RI) FONS BANDUSIAE: FONTE DI POESIA E MISTERI
22 giugno 2007
(ACR) - "Una volta, nei tempi lontani, bambino, uscito un giorno dalla casa della mia nutrice Pelia, là nel monte Vulture in Apulia, mi addormentai stancato dal gioco". Le colombe favolose mi coprirono insieme alle foglie novelle. Che meraviglia si sparse fino ad Acerenza, elevato nido di aquile, fino ai pascoli di Banzi e alle campagne vallive di Forenza, al sapere come io dormissi al sicuro dalle vipere nere e dagli orsi, col corpo ricoperto di mirti e lauri, fanciullo coraggioso, sotto la cura manifesta degli dei". Ricordi d'infanzia, ricordi di un tempo immemore, ricordi di uno dei più grandi poeti latini, nato a Venosa: Quinto Orazio Flacco. Prima di trasferirsi a Roma, il giovane poeta venosino che ebbe come maestro principalmente il padre per il quale serbò immensa gratitudine, afferrò nel suo fertile immaginario le cose delle quali poi scrisse: dall'opera dei vasellai, al Dauno povero di acque, alla campagna ubertosa e alla fresca vena delle fonti boscherecce. Un poeta che non dimenticò mai i suoi luoghi d'origine se è vero che, nelle parole di Paolo Fedeli, ordinario di letteratura latina all'Università di Bari: "Al termine di una lunga meditazione sul destino umano, che l'ha accompagnato in ogni momento della sua esperienza di poeta, Orazio prova… la necessità di fare ritorno al punto di partenza, che è quello delle origini e della terra natale. D'altra parte, qualsiasi meditazione sul senso della vita implica il ripercorrere la parabola della propria esistenza e comporta un cammino a ritroso che si traduce in un recupero delle proprie origini, alla conquista di quel punto ideale in cui la fine si ricollega al principio e la sorte singola s'unisce e si confonde con quella comune". Una nostalgia dei luoghi d'origine che il poeta sublimò in tanti percorsi di prosa pieni di quel fascino ancestrale che non smette di essere presente nella coscienza storica e letteraria e che spesso si rinnova e si dispiega in tutto il suo inestimabile valore. "O fonte di Bandusia, limpida come il cristallo, avrai una libagione di vino, una ghirlanda di fiori, il sangue d'un capretto d'un anno. Tu all'ombra scorri gelida e offri il rezzo ai bovi e ai greggi. Diventerai delle fonti nobili anche tu, poiché io canto le quercie che conservano la freschezza alle tue acque che scendono giù con un mormorio che sembra di parole". Inconfondibile Fons Bandusiae, nella mirabile traduzione che Giovanni Pascoli fece nel 1895, e che il poeta venosino dedicò ad una sorgente bantina. Un'ode, la tredicesima del Libro III, ricca di suggestioni, ma anche di sintomatico mistero. Sì, perché nei secoli successivi vari sono stati i tentativi di studiosi ed eruditi di rintracciare la fontana decantata da Orazio. C'è chi individua la sorgente al di fuori dell'area lucana. Secondo altri, il paesaggio descritto nel Fons Bandusiae ben corrisponderebbe a quello di contrada dei Monaci, a circa 2 chilometri da Banzi, e nella quale la Sovrintendenza archeologica di Basilicata rinvenne, in una campagna di scavi, testimonianze di offerte votive.
A tutt'oggi, se è certa l'appartenenza bantina – il suffisso toponomastico è ineccepibile – è dubbia la sua ubicazione, non solo per quanto attiene l'attuale territorio di Banzi, ma anche per quanto riguarda Palazzo San Gervasio. Il Comune limitrofo che all'epoca apparteneva in gran parte all'agro di Banzi e una sua contrada, Cervarezza – nella quale alcune ipotesi vogliono sia la stessa in cui era situato il Fons –, faceva parte delle proprietà della Badia di Santa Maria di Banzi. È dubbio che il Fons possa tuttora esistere così come, particolare non del tutto trascurabile, che sia davvero esistito se non nella creatività e nel sentimento di nostalgia del grande poeta venosino. Procediamo con ordine e riassumiamo le tesi che finora si sono avvicendate, tra pure deduzioni archeologiche e analisi letteraria. Antonio Racioppi (1807-1891) scrisse: "… Or questo fonte descritto e designato da Flacco trovasi tra Banzi e Venosa nell'attuale bosco comunale di Palazzo, e si chiama dai suoi cittadini in lingua vernacola: Frontiduso", adducendo, non solo come indizio determinante il riconoscimento nella fontana palazzese dei segni indicati da Orazio, ma anche e soprattutto l'evoluzione della lingua che farà scrivere all'archeologo Andrea Lombardi di trasformazioni lessicali e di "ingenua erudizione locale" che traduce e sincopa la parola fons(ban)dusa in Frontiduso. Ma non solo gli studiosi italiani si sono interessati al mistero del Fons: a più riprese, prima lo storico inglese C.T. Ramage (1828), poi N. Douglas (1907), eccentrico e raffinato narratore inglese, hanno cercato di svelare l'arcano facendo diverse ipotesi e individuando nelle attuali Fontana del Fico e/o Fontana Grotta o Rotta il possibile Fons oraziano. Ma c'è di più: ancor prima un altro storico lucano, Natale Maria Cimaglia, nel 1757 aveva ipotizzato che fosse la Fontana Grande, composta da 24 getti d'acqua, situata alle pendici del castello marchesale e nelle vicinanze della chiesa madre di Palazzo San Gervasio, il vero Fons Bandusiae. Cimaglia adduceva come testimonianza, indiretta, la redazione di un testo col quale la Badia di Banzi rientrava in possesso di alcune chiese usurpate dai normanni di Puglia. Questo documento fu redatto nel 1063 nella chiesa madre di Palazzo San Gervasio che allora si chiamava Sancti Gervasii, oggi è San Nicola, posta proprio nelle vicinanze – si legge nel documento – del "fontis bandusiae". Ipotesi, questa, che non fu acclarata da Domenico Panelli, segretario del cardinale di Sant'Eusebio, autore del "Manoscritto del monastero bantino", che nella sua storia del monastero di Banzi, afferma che anche se quella chiesa si chiamava San Gervasio non era la stessa in cui fu redatto quel testo, bensì un'altra situata tra Venosa e Palazzo. Ed è proprio da Panelli e dal suo manoscritto che discende, al contrario di quanto fin qui evidenziato, l'ipotesi dell'ubicazione bantina del Fons. Così come la citazione della bolla papale del 1103 che indica la chiesa dei santi Gervasio e Protasio "in Bandusino fonte apud Venusiam", in cui "fonte apud Venusiam", starebbe ad indicare, secondo alcuni studiosi, la prova inconfutabile dell'appartenenza banzese. Secondo altri, invece, tale espressione sarebbe più giustificabile se riferita al territorio palazzese in quanto distante 6 miglia da Venosa, rispetto alle 13 di Banzi. Concordano nell'individuare il Fons oraziano con l'antica Fontana Grande altri studiosi. L'abate Capmartin de Chaupy, grande ammiratore e studioso di Orazio, non nuovo a ricerche di questo tipo: cercò a lungo la casa di campagna del poeta latino e individuò quel luogo ameno, che s'accorda perfettamente con i versi di Orazio, nelle vicinanze di Tivoli e più precisamente presso Vicovaro (anticamente Varia o Vicus Varius), sulle sponde del ruscello Licenza (il "Digentia" di Orazio). L'abate scrisse nel 1767: "Il villaggio di S. Gervasio è la stazione che viene dopo Venosa e sta su un'altura, a soli 13 chilometri di distanza di lì. Qui una volta scorreva una fontana che fino al dodicesimo secolo era nota come Fons Bandusinus… chiesa e fontana ora sono scomparse, ma il luogo su cui sorgeva la prima, dicono, è noto, e vicino ad esso una volta sgorgava una sorgente abbondante chiamata Fontana grande". "Quanto alla fontana – continua l'abate – ora ve ne sono due… e ambedue stanno alle pendici del colle su cui ora sorge il villaggio". L'eredità e il corso delle acque furono "acquisite", dopo una frana che distrusse la Fontana Grande, dalla Fontana Rotta o Grotta. Anche Cesare Malpica scrisse, dopo il suo viaggio a Palazzo San Gervasio, dell'esistenza di tre fonti, di cui una era la Bandusia. Ma proprio questa fu distrutta da un "vile censuario" che indispettito dalla continua presenza di visitatori pensò bene di colmarla, disperdendone le acque. Ciò si evince con più dovizia di particolari dalle memorie di Agostino d'Errico, ma anche dagli studi archeologici di Angelo Bozza e di Enrico Pani – Rossi. L'esatta indicazione del Fons non è solo questione di attribuzione territoriale tra due paesi lucani, ma anche tra gli stessi e Roma, città dove il poeta Orazio si trasferì, e più precisamente con la sorgente di villa Sabina. Alcuni primi commentatori furono inclini ad identificare nella sorgente romana il vero Fons oraziano, che qui sembra assumere le reali sembianze della malinconia e della lontananza dal luogo d'origine. In un recente convegno organizzato a Banzi, nell'ambito della ventunesima edizione del Certamen Horatianum, Paolo Fedeli, ha elencato una serie di ragioni che avrebbero portato il poeta venosino a scrivere questa ode, al di là delle ubicazioni e dei misteri tuttora irrisolti che l'avvolgono. L'interesse della cittadinanza era quello di sapere se il Fons fosse quello attualmente individuato in località "Fontana dei monaci" o cos'altro. "È davvero necessario – ha sentenziato lo studioso – pensare ad un fons reale?". Di sicuro si sa che Orazio scrisse l'ode nella sua villa romana, di sicuro pensando ai ricordi d'infanzia e a una situazione reale. Ma la poesia fa ben altro. È un carico di simboli e metafore che racchiudono i pensieri, le immagini, i ricordi, le sensazioni che scorrono come lampi nella memoria.
"È una rappresentazione metaforica della poesia", ha sostenuto Fedeli. "La trasparenza delle acque descritta da Orazio equivale alla purezza della poesia. E per esaltarne la sua eternità, il poeta ha collocato idealmente in un angolo del mondo a lui lontano quel "fons". Sempre idealmente ha ripercorso il cammino della propria esistenza, riannodando il presente al passato ormai lontano ma mai dimenticato, e prevedendo un futuro in cui le acque del fonte di Banzi continueranno a parlare perché il poeta le ha affidate ad un destino senza fine". (M.C.)
Fonti e bibliografia:
- Luca Iannelli, "Palazzo S. Gervasio - Microstoria tra fonti e documenti", Palazzo S. Gervasio, Pianeta Libro Editore, 1997
- Maria Grazia Festa, "Certamen Lucanum" nel "Balcone del Conte", venerdì 11 maggio 2007
Gianrocco Guerriero, "Banzi per la prima volta nel Certamen Oraziano", articolo tratto dal sito www.amicidiursone.it. - Paolo Fedeli, Immagini dell'Ofanto e della Daunia in Orazio, in XII Certamen Horatianum, Edizioni Osanna, Venosa, 1988
- Orazio, edizione classici, Latin Utet, Torino
- A.Lombardi – Saggio sulla topografia delle antiche città lucane – Cosenza – 1832
- D. Panelli – Memorie del monastero bantino – 1755 – Napoli – Biblioteca nazionale
- C.T. Ramage – The Nooks and by-ways of Italy-Wanderings in Search of its ancients remains and modern superstitions –London – 1828
- N.Douglas – Old Calabria – London – 1915
- M. Marotta – Contributo alla individuazione del sito della oraziana Fons Bandusiae in "Bollettino della biblioteca provinciale di Matera", 1981
- C. De Chaupy – Decouverte de la maison de campagne d'Horace – Rome – 1767
- F. Lenormant – A traverse l'Apulie et la Lucanie – Paris – Levy - 1883 Cesare Malpica – La Basilicata – Impressioni di Cesare Malpica – Napoli – 1832
- Archivio d'Errico Palazzo – A. d'Errico – Memorie della mia vita – 1853
- A. Bozza – Studi storici-archeologici – Rionero – Tipografia Ercolani – 1888
- E. Pani-Rossi – La Basilicata – G.Civelli – Verona – 1868