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(ACR) LAVELLO, TERRA DI STORIA E DI ITINERARI FORMATIVI

31 marzo 2008

© 2013 - bronzi.jpg

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(ACR) - Non è una novità che Lavello si scopra meta di importanti scavi archeologici, ma che si ponga anche come luogo di itinerari formativi non è sempre scontato e dimostra che la valorizzazione delle ricchezze generate dal passato, la ricchezza di una regione, possa essere non solo fonte di creatività, ma anche di sviluppo turistico. La creazione di una cultura dell'archeologia, la consapevolezza della presenza di testimonianze di assoluto rilievo possono essere il volano guida per le nuove generazioni e per l'intera economia regionale.

Procediamo con ordine. La storia narra che l'attuale cittadina di Lavello sorge sull'antico centro daunio di Forentum, conquistato, alla fine del IV secolo a.C., dai Sanniti e successivamente dai Romani. Già a partire dal VII secolo a.C., questo insediamento ha svolto un ruolo centrale nell'organizzazione territoriale della Daunia interna, grazie alla sua posizione strategica alla confluenza di due importanti vie di comunicazione: l'asse Ofanto-Sele e la valle del Bradano.

Sorto su di un ampio pianoro che controlla il fiume Ofanto, il sito è stato abitato a partire dall'età del Bronzo. Durante il VIII secolo a.C., il centro daunio si sviluppa per nuclei sparsi di capanne e di sepolture, secondo un modello comune agli insediamenti apuli.

La presenza di gruppi dominanti all'interno della comunità è testimoniata dal rinvenimento di tombe "principesche". Queste tombe contengono oggetti di pregio etruschi e greci (in primo luogo, vasi in bronzo) che testimoniano i frequenti contatti con gli Etruschi della Campania e con le colonie greche dello Ionio e del Tirreno.

I corredi indicano anche come le aristocrazie locali si siano uniformate agli usi e ai riti dei nobili greci. Alla maniera dei greci, tra l'altro, i capi dauni edificano abitazioni con fondamenta in muratura e tetto con tegole in terracotta che sostituiscono le tradizionali capanne.

Alla fine del V secolo a.C. i gruppi gentilizi costruiscono nelle contrade San Felice e Casino edifici monumentali, divisi in una parte residenziale e in una cerimoniale. La parte più alta della collina di Lavello ospita le tombe più ricche e importanti, un edificio sacro e il recinto di un templum augurale. Quest'ultimo era destinato all'osservazione del volo degli uccelli, al fine di conoscere la volontà degli dei per il rinnovo periodico delle magistrature.

Una cerimonia del tutto simile è documentata, oltre che a Roma, in molte zone del centro Italia. Questo ritrovamento conferma, dunque, l'occupazione dell'insediamento da parte dei Sanniti. La conquista romana del validum oppidum di Forentum (318-317 a.C. o 315-314 a.C.) causa la riduzione dell'insediamento che si concentra, nel III secolo a.C., intorno all'acropoli.

Una questione centrale, prima di vedere in dettaglio i ritrovamenti più importanti, è capire da dove deriva l'antico nome di Forentum, facilmente confondibile con quello dell'attuale Forenza.

Le recenti ricerche archeologiche hanno dimostrato che il centro dell'Alto Bradano, appunto Forenza, ha derivato solo il nome dall'antica Forentum, l'insediamento di origine àpula conquistato dai romani nel 317 a.C. e municipio al tempo di Augusto. Ma quella che è più che un'ipotesi non viene accettata da alcuni studiosi locali. Essi adducono, per avvalorare la testimonianza della loro posizione, gli scritti di Tito Livio.

L'attacco romano contro la sannita Forentum fu fatto proprio nei confronti di un centro posto in alto (validum oppidum). Di conseguenza, essendo Lavello posta su una valle, quella indicazione non può che riferirsi proprio a Forenza.

Nel computo delle posizioni, però, nel 1985, Mario Torelli, della scuola archeologica di Perugia, ha posto una serie di motivazioni a sostegno della tesi Lavello/antica Forentum. Innanzitutto, non è da sottovalutare, ha evidenziato il professore, che il sito della vicina Forenza, non corrisponde in realtà ad un centro antico.

Gli autori classici descrivendo Forentum citano un posto sito in una valle e non su di un'alta collina. Inoltre, la maggior parte della documentazione archeologica di Lavello cessa in coincidenza con la data della conquista romanda della zona e della deduzione coloniale di Venusia nel 291 a.C.

Al di là delle dispute sull'origine del nome di Lavello, quello che è certo è la ricchezza archeologica del sito che finora ha dato alla luce importanti testimonianze di una civiltà, i Dauni, che insieme ad altri popoli (Enotri, Peuceti, Chones, Peuketiantes, Lucani e Romani) hanno abitato l'antica Lucania.

Come si scriveva all'inizio, diversi sono stati i ritrovamenti delle antiche civiltà e che tuttora sono visibili nel museo archeologico di Melfi. A partire dalla necropoli di Casino-Casinetto, alla periferia del centro moderno di Lavello. Più specificatamente nella vasta località di Casino è stata ritrovata la cosiddetta tomba 955. In essa è stato rinvenuto lo scheletro di una donna in età avanzata, rannicchiata sul fianco sinistro, secondo la tradizione dauna.

Dal ricco corredo funebre (un complesso di vasi e oggetti in ceramica e metallo, ecc.) si deduce che l'anziana donna ricopriva un ruolo centrale nella comunità o quantomeno apparteneva all'élite dominante.

Come si è ampiamente scritto: "La donna indossava un ricca parure di gioielli, con una notevole quantità di fibule (spille di sicurezza) e di pendagli in argento che decoravano la sontuosa veste, trattenuta in vita da una preziosa cintura. Quest'ultima era costituita da due anelli in avorio e da due pendenti, configuranti a protome (elemento decorativo in forma di testa o busto umano o animale) equina e a testina femminile, in ambra, preziosa materia a cui si attribuivano particolari valenze nella sfera magica.

L'acconciatura prevedeva due ferma-trecce in oro sistemate ai lati del viso, come riscontrabile in numerose ricche sepolture femminili dell'area daunia. Infine, una collana in oro con vaghi modellati a grappoli d'uva e a ghianda ornava il petto della defunta. All'unzione del suo corpo erano destinati gli olii contenuti nelle due lékythoi (vasi dal corpo grosso e dal collo stretto e lungo per contenere unguenti); la pisside (vasetto per contenere piccoli oggetti) rinvenuta serviva alla toeletta".

Accanto alla parure, il complesso dei bronzi, il più cospicuo finora documentato in Daunia. Esso è formato da diversi "servizi" legati al rito del simposio e ai sacrifici (alaru, pinze, tirabrace, spiedi).

Gli oggetti in metallo includono una serie di contenitori di bronzo che servivano per il vino, due situle (tipo di vasi metallici) stamnoidi ed uno stamnos (vaso a due anse con bocca larga) per il vino puro, un boccale e un cucchiaio in argento che servivano per libagioni con il miele, considerato simbolo di immortalità.

Strumenti per il sacrificio e per la macellazione della carne sono associati a un complesso di ferri da fuoco (8 spiedi, una coppia di alari, un tirabrace, una pinza) utilizzati per arrostire le carni e a strumenti e vasi utilizzati per la bollitura delle stesse (bacili in bronzo, lebete con piedi di ferro, uncino – kreaga – per le carni).

Il candelabro etrusco con cimasa (tipo di modanatura ondulata a doppia curva) costituita da una statuetta di discoforo e la lucerna greca, simboleggiavano un convivio nell'aldilà.

I morsi equini in ferro attestano il possesso di cavalli aggiogati e rimandano alle pareti di una ricca tomba a camera di Arpi (maggiore centro della Daunia corrispondente all'odierna Foggia), in cui appare una figura femminile lussuosamente abbigliata su una quadriga.

Gli oggetti del corredo riportano alla sfera del sacrificio e alla pratica del banchetto, competenze di solito spettanti agli esponenti maschili delle élites indigene. Ciò fa pensare che la donna sepolta ricoprisse un ruolo molto importante nella comunità. Gli stessi riferimenti al dionisismo – il Satiro danzante e l'altro che suona l'aulos (flauto) sul cratere, i vaghi in forma di grappolo d'uva della collana d'oro – confermano l'ipotesi suddetta.

Per non parlare degli áskoi ovvero vasi contenitori che prendono a volte forme di figure di animali. Hanno uno o due beccucci laterali e decorazioni varie. Nel IV secolo a.C. l'áskos sostituisce nella tomba la tradizionale olla nel momento in cui diventa sempre più tangibile l'influenza culturale di Canosa.

Alcuni di essi sono stati rinvenuti nella tomba 1006, altri nella tomba 56. Su tutti l'áskos Catarinella, un reperto "unicum" poiché la decorazione riporta lo svolgimento di un rito funebre della popolazione lucana nella fase iniziale della romanizzazione (prima metà del III secolo a.C.) e prende il nome dal farmacista Catarinella che ne venne in possesso intorno al 1926.

E che l'archeologia a Lavello stia ricoprendo un ruolo importante lo dimostra il fatto che anche la programmazione delle attività di laboratorio scolastiche ne stanno facendo tesoro. Gli alunni delle classi prime e seconde della scuola media statale "F.C. Villareale", coordinati dai professori Di Luna, Colaianni, Lepore, Carretta, Serra e Bavuso, dal dirigente scolastico Antonella Ruggeri, hanno voluto inserire nei loro progetti programmatici attività laboratorio di carattere storico-ambientale, di lavorazione della ceramica e di pittura.

In sostanza, l'accurata visita al museo di Melfi, con l'osservazione di oggetti facenti parte del corredo funerario o abitativo e di esemplari decorativi, catalogati e studiati nello loro caratteristiche e significato, ha poi consentito la riproduzione in laboratorio.

Un itinerario formativo che ha visto la appassionata partecipazione di tanti alunni di scuola media inferiore e che testimonia di come la conoscenza del proprio passato, la scoperta delle radici possa essere non solo fonte di cultura, ma anche di creatività nel nome della storia. (M. C.)

Fonti:

  • Autori Vari, Lavello terra di Archeologia – Forentum, Lavello 2007.
  • L'Alto Bradano, il territorio, la storia, i paesi, le tradizioni, l'ate, la gastronomia, pubblicazione a cura della Comunità Montana Alto Bradano.
  • L'antica Lavello dagli scavi del Rendina agli ultimi ritrovamenti, di Giuseppe Catarinella, in Regione Notizie, anno 1996, 2 – 6.
  • www.archeobasi.it
  • Autori Vari, Forentum I, Venosa, 1989.
  • Autori Vari, Forentum II, Venosa, 1991.


Redazione Consiglio Informa

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