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(ACR) COSTUMI LUCANI, IERI E OGGI
14 aprile 2008
(ACR) - "Con il termine globalizzazione si indica il fenomeno di crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale in diversi ambiti, il cui effetto primo è una decisa convergenza economica e culturale tra i Paesi del mondo. Il termine, di uso recente, è stato utilizzato dagli economisti, a partire dal 1981, per riferirsi prevalentemente agli aspetti economici delle relazioni fra popoli e grandi aziende. Il fenomeno invece va inquadrato anche nel contesto dei cambiamenti sociali, tecnologici e politici, e delle complesse interazioni su scala mondiale che, soprattutto a partire dagli anni ottanta, in questi ambiti hanno subito una sensibile accelerazione".
Questa è la definizione che del termine globalizzazione viene data da Wikipedia, un altro degli effetti e/o strumenti che consegue allo sviluppo tecnologico condiviso: internet. Globalizzazione, croce e delizia, quindi. E per di più in tutti i settori dell'economia, ma anche della cultura in senso lato. A tal punto che, se volessimo ragionare in termini di differenziazione di costumi o di singolarità etno-antropologica ci troveremmo, oggi, in grosse difficoltà. Tenendo bene a mente, in tutto il ragionamento sui pro e sui contro la globalizzazione, questo assunto: "Del resto, le problematiche legate ai localismi, hanno molto a che fare col rapporto delicato tra identità culturale e luogo, dove la prima dovrebbe stare al secondo in una relazione sinergica e malleabile; la cultura di un luogo è sacrosanta e non può sopperire ad opera della «meta-cultura» globalistica, ma la tutela passa, spesso, attraverso una gamma molecolare di «fasi semantiche» a difesa, a paura, a reazione, a chiusura", così come afferma il ricercatore sociologo Mimmo Pesare.
Sul contrasto o sulla dialettica tra "locale" e "globale" si può fare un esempio. Prendiamo i costumi di un paese o di una regione. Scopriremmo che il ragazzo di Picerno o di Avigliano, di Banzi o Palazzo San Gervasio non avrebbe delle sue peculiarità "local", ma vestirebbe casual, imiterebbe i suoi idoli rapper o all'ultimo grido. Vestirebbe abiti cuciti chissà dove: in Asia, nell'Europa dell'Est o semplicemente in un paesino toscano o del vicentino. E va pure bene, non c'è più da meravigliarsi. Viviamo lo stile dell'indifferenziato, tutto sembra uguale a tutto.
Così non dovremmo meravigliarci per quanto sta accadendo a velocità supersonica negli usi e nei costumi dei popoli; e non dovremmo, a maggior ragione nemmeno scandalizzarci e gridare allo scandalo – o ancora peggio a "chiusure reazionarie" – se la ricerca storica scavi nell'identità di costumi di una regione e ad ondate cicliche ci presenta i suoi risultati.
È opportuno precisare che per costume si intende la foggia del vestire tradizionale di un luogo, di cui portatore fondamentale era il popolo. Ed esso variava da zona a zona, in dipendenza, soprattutto delle origini storiche delle comunità che anticamente vi si insediarono e dagli eventi storici che ne seguirono. Ogni piccolo e sperduto centro vantava il suo costume nel quale la comunità si riconosceva ritrovando l'antico spirito delle genti lucane o il gusto raffinato e progredito della civiltà greca.
Tutto cominciò con Ferdinando IV che nel lontano febbraio del 1783 incaricò i suoi disegnatori D'Anna e Della Gatta, poi sostituiti da Berotti e Santucci, di ricostruire i costumi lucani e poi raccoglierli in apposite cartoline. Il suo ordine non era immediatamente atto a soddisfare un interesse culturale, ma specificatamente mercantilistico.
Ferdinando aveva deciso di far riprodurre tutti i costumi del regno per fornire le sue fabbriche di ceramiche di Capodimonte di un materiale illustrativo unico e molto richiesto dalla committenza europea che tramite i diversi viaggiatori aveva informazioni sulla particolarità del Regno di Napoli ed era fortemente interessata ad averne memoria stabile e cimeli di qualità. Global ieri, global oggi, si potrebbe comodamente dire.
Nel dispaccio di Ferdinando ai due disegnatori si legge: "Non è di essenziale precisione che scorrono ad uno ad uno tutti li paesi della provincia, basta solo che si trasportino in quelli ne' quali la differenza del vestito sia sensibile e che prendano ne' medesimi i lumi di quello che si costuma negli altri". Secondo alcuni storici, è questa la ragione perché ci sono pervenuti solo alcuni costumi della Basilicata. Poi, una serie di difficoltà legate all'età dei ricercatori, ma anche alla viabilità lucana non permise di ricostruire tutti i costumi, ma solo quelli relativi ai paesi di: Alianello, Aliano, Brienza, Carbone, Castronuovo Sant'Andrea, Colobraro, Craco, Episcopia, Ferrandina, Francavilla sul Sinni, Grumento, Lagonegro, Latronico, Moliterno, Montemurro, Noepoli, Pomarico, Rivello, Rotondella, San Chirico Raparo, San Costantino Albanese, San Giorgio Lucano, San Paolo Albanese, Sant'Arcangelo, Senise, Stigliano, Teana e Tursi. A questa serie sono stati aggiunti altri 4 costumi, riprodotti circa 50 anni più tardi, nel 1840, quelli di: Avigliano, Potenza, Tramutola e Viggiano.
La collezione, che consta di numerosi disegni su carta in formato 30 x 24 centimetri, è oggi custodita nel Museo degli Argenti e delle Porcellane-Palazzo Pitti di Firenze.
Ma non è finita di certo con quella ricerca, perché nel corso del tempo, attraversarono la Basilicata molti storici, studiosi e scrittori con l'intento di ricostruire i costumi lucani. Tra questi: lo scozzese Tait Ramage (1828), pittore e poeta insieme con Lord John Proby; il medico amburghese Karl Wilhelm Schnars che nel 1859 pubblicò "la terra incognita", dove sono descritti i "bruttissimi" costumi di Avigliano e Francois Lenormant (1866), famoso archeologo e scrittore.
Da ultimo, ma non per questo di minore importanza, il recente lavoro di ricostruzione iconografica di Maurizio Restivo. Lo studioso parte da un presupposto: l'interesse che questa attenzione può avere in Basilicata per ricostruire, per riproporre, reinventare rinvenire, e riproporre ex novo un'immagine della nostra cultura.
Sul punto ci sono molte considerazioni da fare. E ormai chiaro, e la ricerca etno-antropologica lo ha più volte dimostrato, che nel passato il "popolo" esisteva non in quanto portatore di una cultura, ma in quanto oggetto pittoresco: sono tuttora esistenti immagini risalenti alla fine del 600 e per tutto il 700, in cui vi è raffigurato il "contadinotto", poco più che infantile, che suona la zampogna, mentre dietro di lui è stesa la contadinella sullo sfondo di un ovile nelle vicinanze di un acquedotto romano.
Era il pittoresco che dava la stura, la spinta a proporre la cultura popolare come luogo in cui si trasmetteva passivamente l'immagine del "primitivo nostrano". Il pittoresco veniva utilizzato a beneficio dell'aristocrazia. In queste ricostruzioni si tenta di restituire l'immagine del lucano che sia aderente sia allo stereotipo che si è sempre pensato a proposito del costume, ma anche alla riproposta di un tentativo di ripercorrere e rielaborare un'immagine in cui potersi riconoscere.
Lavoro non facile e pericoloso anche perché i costumi vengono bloccati attraverso l'occhio dell'artista e lo studioso dà conto e darà conto di come un intellettuale ha riproposto un rapporto con l'immagine di una identità, quella lucana.
Peraltro, val la pena di annotare che non ci sono studi sul costume popolare contemporaneo. La ragione è da ricercare nel fatto che non c'è più la civiltà contadina mitizzata, quella degli anni '60 in poi. Ci troviamo di fronte, come scritto anzitempo, ad una cultura che ingloba tutte le varie componenti della scibile umano tout court.
Le culture devono avere il loro lato economico, ma spesso la riproposizione della cultura popolare manca di un approccio scientifico ed estetico elaborato con una metodologia specifica per cui si ripropongono i costumi popolari sulla falsariga di quanto si vede intorno. Basta osservare le cartoline illustrate: quindi non si sfugge ad una omogeneizzazione.
La cultura popolare è qualcosa di realmente viva. Lasciamo perdere la contrapposizione cultura popolare/cultura ufficiale e guardiamo alla prima come la vera nostra cultura. Avere un riferimento ideale significa allontanarsi dal modello e di rielaborarlo. La cultura popolare non deve essere un'immagine ad uso e consumo della sceneggiata, insomma.
Da un'analisi dell'abbigliamento vengono in luce le caratteristiche tipiche del vestiario etnico aduso per essere impiegato tutti i giorni a lavoro o per i giorni festivi, per le occasioni solenni, per le evenienze che richiamano in qualche modo ad una sorta di ritualità del vivere sociale, determinati momenti dello stare insieme. Bene, da questa analisi ricaviamo che gli abiti che appartengono alla tradizione lucana sono per la maggior parte spezzati in vita con le gonne a volte strette a volte larghe, voluminose con la camicia, il grembiule, le calze, le scarpe. È rara la sottogonna, mentre più frequente c'è il corpino allacciato sul davanti.
L'abito tradizionale lucano si completa con uno scialle o con una manta da portare al collo per coprirsi la testa, forse retaggio questo della colonizzazione greca o forse retaggio delle intrusioni che ci sono state in questa terra da parte dei bizantini e degli arabi.
Costumi d'ieri e di oggi. La rassegna Basilicata Moda, organizzata anche con il contributo dell'Assessorato regionale al turismo, può dirsi definitivamente inserita tra gli appuntamenti importanti della moda italiana. Presenta modelli sartoriali realizzati da maestri sartori lucani e di altre regioni. Particolare risalto ha dato la partecipazione dell'Accademia nazionale dei sartori, un organismo di vecchia data (1975) che porta con se un particolare lustro per i grandi nomi che adesso si accompagnano e per la professionalità che richiede ai suoi aderenti. Il bando per partecipare scade il 30 aprile. Alla fine di maggio 2008 verrà data comunicazione dei giovani ammessi al nuovo concorso. A settembre gli abiti verranno presentati al pubblico in quel di Policoro e verrà decretato il vincitore. La creatività lucana al servizio dell'arte. (M.C.)
Bibliografia:
- Enzo Spera, "Sudditi più belli per il re: Costumi popolari lucani del XVIII secolo nella raccolta fiorentina" (Napoli, 1991)
- Mimmo Pesare, "Globalizzazione e localismi tra antropologia e sociologia"
- Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], anno 5 (2003)
- http://mondodomani.org/dialegesthai/
- http://www.consiglio.basilicata.it/pubblicazioni/mode_e_modi_dei_lucani/Mode_Cap_2.htm
- Giuseppe Padula, Costumi folklorici lucani del XVIII secolo in http://www.basilicatanet.it/basilicata/folklore/folklore_ita.asp
- Giacomo Racioppi, "Storia dei Popoli della Lucania e della Basilicata"
- www.basilicatamoda.it
- Maurizio Restivo, "Antichi costumi femminili di tutti i paesi della Basilicata", La Bautta, Matera, 2008