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(ACR) IL MIELE, SINTESI DEL PAESAGGIO E DELLA CULTURA LUCANA
02 maggio 2008
(ACR) - Il volo d'amore di un'ape e la sua meta, il miele, possono essere la fotografia dell'immenso patrimonio floreale della Basilicata. Una ricchezza dovuta alla biodiversità di un territorio ancora immune dall'inquinamento e, quindi, ottimo campo di lavoro per un insetto-test quale l'ape.
I fiori sono degli organi sessuali impudicamente esibiti sotto il cielo. Il loro amore, così come la loro prolificazione, è un fenomeno che può avvenire solo tramite un ambasciatore privilegiato e indispensabile alla natura quanto all'uomo. Il polline, l'elemento maschile, deve spesso viaggiare da fiore a fiore, l'elemento femminile, tramite degli insetti appositamente definiti "pronubi", le api. Esse sono le più formidabili "postine d'amore" dei fiori. Li visitano per raccogliere nettare e polline e poi, ebbre di questa polvere d'oro, la propagano ovunque ci sia un "organo femminile" pronto a ricevere il "seme". Ma l'ape sopravvive e "lavora" solo in ambienti non contaminati da pesticidi o altre sostanze inquinanti e, da qui, la sua ulteriore funzione di "sensore viaggiante" dello stato ambientale. Valutandone la mortalità, la qualità e la quantità del miele prodotto è possibile rendersi conto dello stato di salute di un territorio prima che le sostanze inquinanti si manifestino in modo deleterio nell'ambiente. E' proprio la "buona salute" del nostro territorio a far produrre uno dei migliori mieli italiani. Infatti, già nel 1999 il miele dell'apicoltore Antonio Fabrizio di Trivigno (Pz) è stato dichiarato "miglior miele d'Italia" ed è stato segnalato da Slow Food nella guida sui migliori produttori di miele nazionali. C'è anche un paese lucano che può fregiarsi dell'onore di rientrare nell'Associazione nazionale città del miele, per la sua lunga tradizione di produttore di miele e per le sue caratteristiche ambientali, particolarmente idonee al prodotto. La nostra Città del Miele è Ripacandida, dove, in contemporanea nazionale, si svolge in maggio una manifestazione che coniuga l'alimentazione con la cultura dei piccoli comuni, e il cui protagonista, neanche a dirlo, è il miele.
Oltre alla qualità, il miele lucano può vantare anche una preziosa varietà (basti pensare che solo la zona del Vulture possiede 405 specie potenzialmente mellifere). Gli apicoltori lucani, infatti, sono produttori di mieli monoflora molto rari quali quello di colza, di edera, di marruca, di trigonella. Questa particolarità del miele lucano è la preziosa conseguenza di una qualità divenuta preziosa: la biodiversità, ovvero la somma di tutte le forme viventi e le loro molteplici relazioni che, se sommate, diventano la qualità dei nostri campi e la nostra più atavica identità.
La nostra ape si chiama Apis mellifica Ligustica (ape italiana) e il suo viaggio parte dal Potentino. Qui si posa sul rosmarino, arbusto dal profumo aromatico intenso, le cui foglie e rametti giovani sono usati da sempre per aromatizzare carni, minestre e fritture, oltre all'uso officinale per infusi contro l'asma, bronchiti, infiammazioni gengivali e alitosi. Da questa pianta alimentare spontanea in Basilicata, il nostro prezioso insetto ricava un miele color giallo spento e dal gusto dolce e fruttato, ad alto contenuto di vitamina C, con proprietà stimolanti sull'apparato gastrico e sul sistema nervoso. Nel territorio delle Dolomiti Lucane e delle foreste di Gallipoli e Cognato l'ape si posa su un fiore viola chiaro, chiamato erba Viperina. Una pianta erbacea annuale, ispida e con setole pungenti. I lucani ne lessano le foglie per condire risotti e pasta di casa o come ripieno di ravioli e frittate, mentre per le sue proprietà curative è usata per sedare il bruciore delle scottature, come depurativo del sangue e nella cura degli stati depressivi. Da questo fiore multiuso, l'alveare produce un miele rarissimo, dal colore bruno e sapore aspro, con proprietà depurative e diuretiche. Il viaggio dell'ape non termina ancora. Sorvola il Vulture, le valli del Marmo e del Melandro e qui trova un seducente fiore di asfodelo, i cui giovani fusti vengono lessati e utilizzati come verdura o impiegati per frittate, zuppe, frittelle e sughi. Il miele di liliacea è di colore giallo e dal sapore delicato e floreale, con proprietà astringenti, detergenti, curative degli eczemi o di piaghe e scottature. Il viaggio d'amore è ancora lungo. L'ape procura nel Metapontino e nella valle del Noce un profumato miele di biancospino. Poi nella bassa Val d'Agri, nella aree collinari del Materano e della fascia ionica preleva nettare per un ambrato miele d'eucalipto.
Le tappe di questo "passaggio a volo d'ape" sull'immensa varietà floristica lucana ci ha reso noti solo alcuni dei tipi di mieli monoflorale caratteristici della Basilicata e ha permesso un'escursione sulle tavole contadine della nostra tradizione culinaria, dovuta proprio alla presenza di una vegetazione così ricca e così multiuso. E se la panoramica culturale non fosse ancora abbastanza, possiamo andare ancora più indietro nel tempo e giungere al miele nella nostra archeologia.
In Basilicata emergono tantissime testimonianze autentiche dell'antico rapporto tra l'uomo e l'ape. Un primo esempio riguarda la rappresentazione in terracotta di un favo, rinvenuto a Montemurro in una tomba del IV-III sec. a. C. A quel tempo il miele veniva utilizzato anche per preparare sacrifici vegetali agli dei. Tra i dolci, riprodotti su terrecotte votive deposte nelle fattorie della chora metapontina, spicca il pyramis, a base di grano abbrustolito, miele e sesamo, che richiama alla fertilità, per la sua forma fallica, e riconducibile alla sfera ctonia.
Un altro esempio è la celebre corona aurea di Kritonios, un raro reperto di arte orafa lucana del IV sec. a.C. e rinvenuto ad Armento. Una raffigurazione di fiori e api in tutta la cangiante vitalità delle forme vegetali. La corona è oggi conservata al Museo Antikensammlungen di Monaco di Baviera.
L'ultima traccia dell'importanza del miele nella storia lucana è nella necropoli di Vaglio (VI-V sec.a.C.). Nell'ostentata ricchezza delle tombe dei basileis sono stati ritrovati vasi in bronzo, di produzione greca ed etrusco-campana, raffiguranti banchetti a base di carni arrostite, di vino e di miele con formaggio.
Il miele, dunque, questo nettare dorato degli dei, in Basilicata riesce lì dove gli alchimisti del passato hanno fallito. L'alveare, quasi come un athanor, trasforma l'amore dei fiori in un'ambrosia ricca di poteri, e questa sintesi della natura con la sapienza restituisce un nuovo valore all'oro filosofale dei lucani. (C.B.)
Bibliografia:
- Livia Persano Oddo e Maria Lucia Piana, "Miele e territorio", Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria, luglio 2001
- Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, "I mieli uniflorali italiani", luglio 2000
- Simonetta Fascetti e Renato Spicciarelli, "Api e Flora del Vulture", Dipartimento di Biologia, Difesa e Biotecnologie Agro-Forestali dell'Università degli Studi di Basilicata, maggio 2001
- Simonetta Fascetti e Renato Spicciarelli, "Mieli e pascoli della Basilicata", Dipartimento di Biologia, Difesa e Biotecnologie Agro-Forestali dell'Università degli Studi di Basilicata, agosto 2007
- G. Caneva, M.A. Pontrandolfi, S. Fascetti, "Le piante alimentari spontanee della Basilicata", Consiglio Regionale di Basilicata
- Roger A. Morse, "La produzione del miele in favo", Federazione apicoltori italiani, 1990
- Istituto Nazionale di Apicoltura, "Conoscere il miele-guida all'analisi sensoriale", edizioni Avenue Media, Bologna 1996