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(ACR) PRECARIATO DATACONTACT: ALLE NUOVE REGOLE SOLO UN ACCENNO?

03 giugno 2008

© 2013 - datacontact_entrata11.jpg

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(ACR) - A modulare il segnale d'una controtendenza, d'un'attenzione finalmente rivolta a certi lavoratori ed alla loro situazione, a quanto è fragile, delicata, provvisoria, instabile ci ha provato per la prima volta l'allora Ministro del Lavoro, Cesare Damiano, con una circolare ministeriale indirizzata ai servizi ispettivi che prevedeva regole nuove e certe per il mondo dei call center. Era il preludio d'un rovesciamento di prospettiva che avrebbe portato regole univoche e contributi garantiti ad una parte consistente degli operatori dei call center italiani. A distanza di svariati mesi da quella data e mentre, stipulati ormai i contratti individuali, le nuove norme si avviano a diventare operative, non scema, anzi, raddoppia di lena un annoso dibattito: saranno riuscite le nuove regole a produrre intorno a sé il mutamento auspicato? Ovvero, ma in termini più espliciti: quanto somigliano alla cornice normativa orchestrata dal Ministro i piani per la stabilizzazione messi a punto dalle aziende per arginare la selva di abusi contrattuali che avevano fatto dei call center l'icona del lavoro usa e getta? Da Palermo ad Aosta le azioni sono state innumerevoli, tutte combattutissime e tutte sfociate in questioni di così alto momento da travalicare la seppur rilevante vertenza specifica. Perché la posta in gioco non era tanto e non solo il destino contrattuale di migliaia di maestranze: dentro a ciascuna puoi vederci in filigrana, operanti come in un campo di forze, tutti gli stessi motivi che agitano le acque del mondo del lavoro anche a ben altre latitudini; dentro ogni vertenza ci trovi di tutto: tabù vecchi di decenni e nuovissimi toccasana, dal dibattito sul massimale orario alla possibilità di agganciare il salario alla produttività, vero spartiacque tra chi vuole modernizzare il mercato del lavoro e chi invece della rigidità ha fatto il proprio credo, una via, più vie.

Identico, nella sostanza, il dibattito che si è riproposto a margine della vertenza aperta in casa Datacontact, la più grande azienda di contact center in out - sourcing con il cuore e la testa in Basilicata, e più precisamente tra gli splendidi Sassi di Matera. Qui la lunga marcia verso contratti definitivi e l'inserimento in organico degli oltre mille cocoprò presi a bottega è sfociata in un finale tutt'altro che amichevole. La vertenza fattasi delicata sin dall'inizio, e, allo stesso modo proseguita, tra veti incrociati e reciproche diffidenze, è terminata con i sindacati confederali che, alzata bandiera bianca, hanno abbandonato il tavolo delle trattative. Di fronte, l'un contro l'altro armati, da una parte Cgil e Uil che stigmatizzano "il mantenimento di zone franche nelle quali i lavoratori sono trattati come vassalli", e dall'altra l'azienda che si fa vanto dell'insperata chance offerta ai propri lavoratori seguita dall'Ugl che, dal canto suo, così spiega, per bocca di Marco Pepe, l'apertura di credito nei confronti dell'azienda: "Le analisi e gli studi politico - sindacali da noi svolti alla vigilia della stipula dell'accordo ci convinsero della professionalità e della serietà della Datacontact. A distanza di svariati mesi da quella scelta i fatti ci hanno dato ragione: non solo essa figura tra le aziende che hanno assolto i propri obblighi rispetto alla circolare Damiano e alla legge finanziaria entro i tempi stabiliti, ma sta procedendo proprio in questi giorni ad ulteriori stabilizzazioni, tra l'altro già previste dal verbale d'accordo del 30 aprile scorso".

Sotto i riflettori molti aspetti del piano targato Datacontact, dai turni agli orari di lavoro, fino ai livelli contrattuali spuntati dai lavoratori. All'indomani della sua approvazione, l'Ugl lo ha reso comunque operativo, moltissimi hanno discusso del piano, della sua natura e dei suoi contenuti, e in tanti ancora ne discettano. Dai sindacati che accusano l'azienda di averlo messo a segno aggirando ogni regola della contrattazione; agli analisti, i quali non si stancano di riflettere sulla labilità del confine tra flessibilità e precarietà; e chiaramente la stessa azienda che ribadisce quanto fondamentale sia la leva della flessibilità e dei bassi costi nel settore della terziarizzazione in out - sourcing. E su tutto, l'accusa d'irregolarità mossa proprio alle nuove regole ideate per "regolarizzare" un settore che della deregulation più spinta aveva fatto la propria forza. Abbiamo provato a ricostruire le tappe salienti di questa vertenza così contesa, tappa per tappa, scelta per scelta, attacco per attacco.

Tutto era cominciato nell'imminenza della scadenza dei termini concessi dal Ministro per la regolarizzazione. Approssimandosi il termine, un fitto lavorio del management aziendale aveva messo a punto una bozza di soluzione da sottoporre poi all'attenzione della controparte, i sindacati che presidiano il settore. I quali nel frattempo avevano affilato le armi della propria offensiva: tallonare l'azienda affinché non lesinasse mezzi e remunerasse i propri co.prò mettendo sul tavolo contratti individuali per tutti i lavoratori, a tempo indeterminato e ricalcati secondo le modalità del Ccnl Terziario – Distribuzione e Servizi – comprensivo del 4 livello per gli inbound e del 2 (la cosiddetta "appendice di vendita") per gli outbound. Alle richieste indicate dai sindacati il management aziendale ha risposto ponendo sul piatto la controfferta di un piano di regolarizzazione per tappe che includeva tutto e soprattutto i due cardini della strategia aziendale, la garanzia di un servizio impeccabile, e la flessibilità estrema degli orari e del costo della forza lavoro, intesa come possibilità per l'azienda di mutare retribuzioni e ritmi di produzione di volta in volta, a seconda delle mutate esigenze del mercato. Un piano, quello messo nero su bianco dall'azienda, pensato e studiato fin nei minimi dettagli per funzionare da garante possibile, come un nodo strategico, un vero punto d'equilibrio tra gli interessi non proprio sintonici di lavoratori ed azienda. Riproponiamo i punti salienti dell'annosa diatriba, mettendo a confronto le due visioni, quella pessimistica di Cgil e Uil e quella ottimistica dell'azienda.

UN CONTRATTO NUOVO DI ZECCA - Chi esce dagli schemi attuali (co.prò) e approda all'altra riva (quella degli stabilizzati) cos'è che si porta dietro? La tipologia contrattuale prevista è quella dell'"Operatore di vendita" di secondo livello, mutuata dal Contratto collettivo nazionale lavoro - Distribuzione e servizi. La pietra dello scandalo in questo braccio di ferro è tutta qui: riposto in soffitta il "Contratto nazionale per le telecomunicazioni", cornice normativa d'ordinanza per i dipendenti delle aziende che operano nel settore, fa la sua prima comparsa sulla scena dei contact center la figura dell'"Operatore di vendita", scelta apripista ripresa un po' dovunque in Italia. Ragioni e vantaggi della scelta li spiega Laura Tosto, vicepresidente marketing e comunicazioni di Datacontact: "la forma contrattuale proposta ha un costo complessivo per l'azienda superiore del 7 per cento a quello previsto nel contratto per le Telecomunicazioni, e garantisce ai lavoratori migliori condizioni economiche e la possibilità per le risorse di essere assunte a tempo pieno (e non con contratti part time su turni a rotazione)". E per l'azienda, continua, il vantaggio di "una maggiore flessibilità" a fronte "delle maggiori rigidità gestionali (imposte dal Contratto per le Telecomunicazioni n.d.r.) che poco si adattano alle richieste del mercato". Il piano aziendale prevede, dunque, che ai soli inbound sia estesa la forma contrattuale dell'operatore di vendita di secondo livello, lì dove, secondo i sindacati, sarebbe dovuto scattare il quarto. Nulla, invece, per gli outbound, esclusi da tutto. Rivendica invece la scelta di firmare l'accordo l'Ugl proprio in virtù della maggiore vantaggiosità degli orari spuntata dai lavoratori: "il contratto a 40 ore settimanali nella cornice del Contratto collettivo nazionale lavoro - Distribuzione e servizi pesa molto di più rispetto al part- time a 20 ore settimanali spuntato dai lavoratori stabilizzati e inquadrati con il contratto delle Tlc". Mentre Cgil e Uil rimbeccano: "Comprendiamo che il contratto per il commercio costa più delle Tlc, che applicano i call center concorrenti. Dunque avevamo accettato il contratto di operatori di vendita per gli outbound, ma chiedevamo che per tutti gli altri ci fosse comunque una stabilizzazione con successive assunzioni a tempo indeterminato. Ma questa era davvero la massima mediazione: perciò non abbiamo firmato quell'accordo poi siglato da altri".

PER UN PUGNO DI EURO - Quasi si dicesse: la coperta è troppo corta e lascia scoperti i piedi un po' a tutti. Agli inbound ai quali il contratto nuovo di zecca assicura un salario decurtato del 20 per cento per il primo anno, il secondo del 10, e variabile nella percentuale del 15. Il management rassicura: "La riduzione è ridistribuita, nella misura massima del 15 per cento, sotto forma di premi sulla qualità dimostrata e non è in alcuna misura trattenuta dall'azienda". Sì, ma a chi? E secondo quali criteri? Cgil e Uil denunciano che, così facendo, "il rischio d'impresa viene caricato sul lavoro".

FINO A OTTO ORE IN CUFFIA - Il monte orario sarà iper - flessibile con 24 settimane a 48 ore ed altrettante a 32, a seconda delle necessità dell'azienda. Che assicura: "il limite è mutuato totalmente dalla piattaforma generale del Contratto nazionale Commercio e Servizi". Mentre Marcella Conese, segretaria per la provincia di Matera della Nidil, l'organizzazione che per la Cgil presidia le nuove sempre più diffuse forme di lavoro anomalo, si preoccupa di quanto "dannoso" sia "per la salute degli operatori rimanere anche otto ore attaccati ad una cuffia e a un videoterminale".

SONO TRECENTO I GIOVANI E FORTI - In trecento ce l'hanno fatta. Troppo pochi, dicono Cgil e Uil, per sognare una rivoluzione. Ma l'azienda rasserena: "Potrebbero essere cinquecento, se verrà rinnovata la commessa Tim". Ed in quel caso si precisa in Datacontact i soprannumerari saranno scelti e formati tra gli outbound. Ma intanto in mille mancano all'appello. Resteranno outbound, cioè a progetto, e poco importa se poi nei fatti svolgono mansioni che hanno tutte le caratteristiche del lavoro dipendente. Col dubbio che si eluda proprio la ratio che ha ispirato sia la circolare del ministro Damiano, vale a dire l'estensione del contratto di lavoro di natura dipendente proprio al grumo confuso e indistinto dell'outbound.

OCCUPAZIONI A OROLOGERIA - Il contratto è a tempo sì, ma determinatissimo, dal momento che durerà quanto dura la commessa Tim. Oggi lavori, domani chissà.
E si torna al più classico dei dilemmi, ovvero che cosa sia davvero meglio se lavoratori forti con la controparte e quindi meglio retribuiti e con più stabilità, oppure lavoratori meno retribuiti, meno garantiti, più flessibili insomma, ma nel quadro di una maggiore occupazione? (R.P.)

Fonti:

  • Cgil Matera, Uil Matera
  • "Matera, il call center alle elezioni", di Antonio Sciotto, in "Manifesto", numero 13 maggio 2007
  • La replica di Datacontact, a cura di Laura Tosto, pubblicato sul Manifesto del 16 maggio 2007
  • http://www.notizie-online.it
  • http://www.datachecisiamo.blogspot.com
  • http://www.cgilmatera.it/news.htm
  • http://www.ilmanifesto.itQuotidiano-archivio/13-maggio-2007/art34.html
  • http://www.ilmanifesto.itQuotidiano-archivio/16-maggio-2007/art76.html




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