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(ACR) IL GIOCO DEI GRANDI E DEI PICCINI NEL MUSEO DI ALBANO

17 luglio 2008

“L’uomo è completamente uomo solo quando gioca” (F. Schiller)

© 2013 - cavallo_gioco.jpg

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(ACR) - Giocando si diventa grandi, ci si trasforma in uomini che "giocano" con la vita così come hanno imparato a farlo con i giocattoli. Per visualizzare l'importanza dei giochi, tra gli uomini e nel mondo, c'è ad Albano di Lucania un Museo del Gioco nato su iniziativa dell'associazione ArcaGio' (Attività di recupero costruzione e animazione di giochi e giocattoli della tradizione popolare). Un viaggio tra i giochi del passato e i soggetti ludici del presente che ha come unica guida l'arte o la fantasia.
L'idea originaria del Museo del gioco parte da uno studio socio-antropologico dei giochi tradizionali lucani del professor Donato Allegretti, responsabile scientifico del progetto Arca. Il soggetto principale del museo doveva essere il giocattolo povero in Basilicata, ma questa prima tematica si è dovuta necessariamente allargare ben al di là dei confini storici e spaziali della Lucania e ha inglobato in sé l'intero immaginario che ruota attorno alla pratica del gioco. Così lo stesso ideatore, il professor Allegretti, ha aperto le porte del Museo il 19 giugno del 2004 illustrandolo come una vera e grande rassegna di arte contemporanea sul tema Giochi e Giocattoli: cinque sale gremite di rappresentazioni artistiche sull'innato piacere ludico del bambino e dell'adulto. Numerosi artisti, nazionali e internazionali, hanno dato un contributo, interpretando ciascuno a modo proprio un mondo che appartiene a tutti, a qualunque latitudine ci si possa trovare.
Ad accogliere il visitatore è Il cavallo, una litografia di Floriano Bodini che apre uno spazio tutto dedicato a uno giochi più cari dell'infanzia: il cavallo a dondolo. Un balocco che dà la possibilità al bambino di poter interpretare il "cavaliere", simbolo mitico di coraggio e d'avventura, così come incarna l'immagine del Centauro a dondolo di Tommasi Ferroni. Segue Francesco Lucrezi con una simpatica e colorata scultura in legno e acrilico del Cavallo di Troia che, nel ventre, porta dipinti degli stilizzati omini pronti all'agguato. Sempre il Cavallino a dondolo è il protagonista di un olio su tela di Rosario Di Napoli, in cui è riprodotta l'intramontabile seduzione che questo gioco produce sul bambino che, mettendo da parte la riproduzione di un'automobile, sceglie l'antico e animato mezzo di locomozione. Ancora il cavallo padroneggia su un insieme di giocattoli confusi nell'olio di Grazia Lodeserto che, come in un sogno, fa rivivere la propria cameretta dei giochi in un'atmosfera onirica dai colori caldi.
Se il cavallo a dondolo è il soggetto infantile che più rimanda all'attività di mimesis compresa nel gioco, sicuramente i giochi che simbolicamente rappresentano l' abilità del giocatore sono la trottola e il castello (o campana/ mondo/ settimana). Cronache in disuso di Angelo Riondino sono due gigantesche trottole create con polistirolo e carta di vecchi quotidiani. E' la metafora ludica del quotidiano dell'adulto che, se ha imparato a giocare, continua a giocare con gli eventi dell'incomprensibile spirale della vita. Appartiene sempre al mistero e all'abilità umana nell'interpretarlo il gioco del castello, quasi una rappresentazione esoterica della "scalata" mortale verso l'immortalità dei cieli. E' questo lo spunto della scultura in legno, vetro, carta e corda di Teresa Mangiacapra che, non a caso, porta il titolo di Alchimia del gioco, dove i quattro elementi (i quattro materiali usati) confluiscono nel grande rombo che porta incisa la "torre" del gioco del castello. Seguendo ancora un percorso esoterico, Leonardo Petraroli ha scolpito in ceramica la Rivisitazione della "campana", in cui il mistico numero 7 è posto come casella dell'illuminazione e meta del buon giocatore.
La favola che meglio rappresenta il passaggio dall'inconsapevolezza infantile alla maturità dell'uomo è Pinocchio. Questa metamorfosi dal burattino combina guai al gioco responsabile dell'adulto è spesso richiamata nelle opere del Museo. Il Pinocchio in terracotta policroma e legno di Paola Di Giovanni coglie il momento esatto in cui dal burattino fuoriesce una mano umana nell'atto di sorreggere il vecchio capo legnoso. Ancora più simbolica è la scultura in ceramica di Antonio Masella, Odissea nello spazio: salviamo Pinocchio e i fischietti. Un grande fischietto a forma di astronave che ammonisce come il passaggio alla maturità non possa avvenire senza la conservazione del mondo fiabesco dell'infanzia. La fiaba dell'adulto è ripercorsa così anche negli oli di Franco Clary: L'infanzia perduta e L'isola dell'infanzia, dove dei grandi volti di donna custodiscono i giochi del passato che volano in paesaggi surreali e sonnambuli.
Ma il gioco "da grande" non rimane confinato nel regno della nostalgia e del ricordo, prende vita anche nelle strade e nei bar. La propensione ludica perdura fino alla morte dell'individuo, anzi, più si invecchia e più cresce l'eccitabilità del rischio che nasce dal gioco. Giocatori di tre sette di Enzo Falcone è un olio da cui fuoriesce la tensione del gioco, la concentrazione posta nella libera scelta di rischiare e il desiderio di poter vincere. Rischio ed ebbrezza che trapelano anche dalle due coppie di mani che, se da un lato stringono le carte, dall'altro son subito pronte a prendere la bottiglia di vino che le separa nella tela di Alfonso Frasnedi, Confezione: gioco di Paul.
Giochi come testimoni di altre realtà sociali ed economiche è l'opera di Alì Al Jabiri che, con il suo Pallone da calcio in carta di giornale e spago, rappresenta l'ingegno procacciato dalla povertà e dalla guerra dei "giocatori" iracheni. Un tocco di leggerezza e di sole è, invece, la policroma tela di Mamdouh Kachlan: Ragazzi in piazza di Damasco, dove l'oriente conserva tutte le caratteristiche esotiche e immaginifiche da "Mille e una fiaba".
Dopo una lunga esposizione del gioco nell'espressività artistica del presente, non bisogna dimenticare l'origine di tale immaginario, il passato e i suoi giochi. Il visitatore si ritrova catapultato, così, nell'antico mondo dei bambini lucani degli anni '30 fino ai '70.
Su un grande tavolo sono ammucchiati, così come è solito accatastare il bambino, balocchi costruiti dalla manualità e dalla creatività infantile, utilizzando i più svariati materiali di una società contadina povera di mezzi ma ricca di fantasia.
Da un rocchetto di filo il bambino ricavava una ruota dentata da cui far emettere il suono delle Tròcch(e)le (raganelle). Altro modo per produrre della musica era l'uso di u revetale masculine (la rosa canina), con la cui corteccia tubulare si otteneva un flauto traverso. U strùmbele (la trottola) non era altro che un cono di legno con punta metallica, fornito di funicella per farlo girare. U sckubbettuule (lo schioppettuolo) era fatto da un pezzo di sambuco legnoso e una bacchetta di olmo, i quali servivano per sparare pallottole di stoppa o di carta per effetto di aria compressa. Poi c'era l'imitazione di animali trovati nei campi, come u ridde o a rana, ossia il saltamartino: tagliato un pezzo di canna grande quanto un'unghia, ovale da una parte e tronca dall'altra, vi si avvolgeva dello spago verso un'estremità e lo si attorceva con uno stecchino che veniva fermato con della pece all'altra estremità. Posto a terra, l'aggeggio balzava in alto appena lo stecchino si staccava dalla pece per la tensione generata dallo spago ritorto. Indovinate cosa era lo iò-iò dei nostri nonni? Duìe buttune (due bottoni) grandi e cuciti assieme con le parti convesse a contatto così da formare una ruota fortemente scanalata, intorno alla quale ci si avvolgeva un filo. Una cosa davvero simpatica erano i capidde ra Madonne (la stipa pennata): un mazzetto d'erba filiforme dalla peluria giallognola, stretto alla base in una pezzuola con cenere bagnata che, se lanciato in aria, ripiombava ritto in su. Un altro gioco per sfidare la gravità era u sanderunate (il misirizzi), detto così con riferimento al "moto di S. Donato". Era un pupazzetto di legno con la base emisferica di piombo che, comunque messo a terra, si stabilizzava ritto in su.
Tra passato e presente, in un mondo di giochi e di arte, il Museo di Albano insegna al visitatore moderno come il "giocatore" di ieri è diventato l' "artista della vita" di oggi e funge da ponte della memoria in un presente che, spesso, dimentica che la vita è pur sempre un gioco. (C.B.)

Bibliografia:

  • D. Allegretti, "Tradizioni popolari in Brindisi di Montagna", edizione a cura del Comune di brindisi di Montagna, 1997
  • J. Huizinga, "Homo ludens", Torino, Einaudi, 1973
  • R. Caillois, "I giochi e gli uomini", Milano, tascabili Bompiani, 2007






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