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(ACR) PASOLINI E LA RICERCA DELL'AUTENTICITA' LUCANA

14 novembre 2008

© 2013 - vangelo.jpg

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(ACR) - Lande desolate in vista. Terre arse dal sole di agosto. Seminati su pendi scoscesi e impervi. Dalla bocca di una grotta si intravede un mondo in bilico tra ruralità e cemento, terreni incolti e case lustrate, periferia e centro. Poi ancora, abitazioni, grotte, sassi bucherellati come una groviera stagionata. Spunta una viale di campagna tra terre arate e steppe bruciate dai fuochi umani, uliveti che accolgono l'idea della sacralità. Si sbircia tra quel che rimane di un'altera villa di campagna, un muro lesionato che trattiene a stento una stanca porta, un atrio di romanità secolare. Sono immagini, foto, istantanee della Basilicata che fu luogo d'arte, scenario reale per Pier Paolo Pasolinie che rivive oggi negli scatti di Giovanna Gammarota in una mostra dal titolo "Sopraluoghi in Lucania. Sulle tracce del 'Vangelo secondo Matteo' di Pier Paolo Pasolini" che sarà ospitata fino al 28 novembre nella Sala Santa Rita di Roma.

Pasolini iniziò le riprese del film sulla Passione e Morte di Gesù Cristo alla fine dell'aprile del 1964. Ricostruì la Palestina di duemila anni prima in Basilicata, e la Galilea nelle regioni di Puglia, Calabria e Lazio. Dopo aver bocciato l'idea di ambientare la storia in Palestina, il regista/scrittore orientò le sue scelte di location in altro modo. E scelse proprio la Basilicata. "L'aver ambientato nelle zone economicamente più depresse d'Italia la sottoproletaria Palestina, colonizzata dai Romani, gli "imperialisti" di duemila anni fa, aveva una valenza politica che, in perfetta continuità con La ricotta, descriveva la millenaria condizione di subordinazione di quelle classi sociali che costituivano una sorta di Terzo Mondo nella loro patria...", scrive il critico cinematografico, Serafino Murri.

La fotografa Gammarota parte da questo presupposto, ma si spinge oltre, laddove la poetica dell'immagine dello scrittore e regista scomparso 33 anni fa voleva davvero cogliere nel segno: il linguaggio della realtà.

E alla fine è davvero singolare e alquanto originale che, dopo oltre 40 anni, si ritorni sui luoghi utilizzati per il set del film e si scattino fotografie degli stessi, come a far rivivere un'idea che il tempo non ha scalfito. "L'idea è nata – afferma Gammarota – dopo aver visto il film "Il Vangelo secondo Matteo" durante una rassegna dedicata al cinema di Pasolini in occasione del trentennale della sua scomparsa. Naturalmente, già da molto tempo conoscevo questo autore, in particolare per i suoi testi letterari, mentre non mi era mai capitato prima di poter approfondire l'aspetto cinematografico. Inoltre, la sensibilità verso le immagini dei film pasoliniani è subentrata dopo il mio passaggio artistico dal tentativo di esprimermi attraverso la scrittura a quello più concreto e definitivo della fotografia avvenuto nel 1994".

Pasolini scrittore o cineasta esercita ancora un fascino irresistibile per chi voglia in un modo o nell'altro avvicinarsi alla sua figura. Più in generale, ciò che colpisce dei suoi film, e soprattutto dal Vangelo, è, come afferma ancora Murri: "La rinuncia graduale all'uso drammatico della parola a favore della drammaticità di per sé dell'immagine". Quindi, è proprio dall'immagine che bisognerà partire per raffigurare l'inafferrabile attimo fuggente del presente: l'arte della fotografia è anche questo ovvero un archivio di attimi disparati, acciuffati da un flash per la coda della loro irripetibilità.

"Amo la figura di Pasolini dall'età di sedici anni", sottolinea Gammarota. "Lo leggo costantemente, tanto è vasta e sterminata la sua produzione: si tratta di un autore che non finisce mai di stupirmi per le sue acutissime e oserei quasi dire veggenti interpretazioni di numerosi aspetti della vita intellettuale, artistica e politica del suo tempo, ma non solo. In particolare le immagini che più ho amato sono quelle dei primi lavori realizzati appena trasferitosi a Roma negli anni Cinquanta: quella parte di scritti letterari che così bene hanno raccontato le borgate e i loro abitanti. Ma anche il mondo poetico friulano nel quale si ravvisa una innocenza ancora oggi disarmante. Ecco quello che mi pare di aver raccolto attraverso la visione delle sue immagini e la lettura dei suoi testi è proprio questo sguardo innocente ma al contempo ricco di attenzione verso l'umile e la semplicità, temi che nella nostra società iper-tecnologica stanno purtroppo perdendo sempre più valore".

L'umiltà e la semplicità di paesaggi lucani che a tratti sembrano inalterati nella loro conformazione temporale e architettonica. "Pietre lisce e bianche, strade acciottolate, vicoli stretti, donne sulla soglia di casa: questo è Acerenza. Un pezzo di antico che resiste alla barbarie del nuovo... Queste pietre, invece, parlano un linguaggio antico e solido, si ergono come bastioni a difesa della tradizione e ancora più grande è la sofferenza di fronte alla inarrestabile distruzione della loro dignità. Pietre grigie provenienti da altri antichi edifici, pietre incise con frammenti di scritte oppure ornate di leggeri bassorilievi. A Venosa la cattedrale alza le sue braccia al cielo ed esso la riempie, l'aria leggiadra può insinuarsi tra le sue colonne".

Una ricerca che si orienta, in particolar modo, verso la rappresentazione del paesaggio contemporaneo nelle sue vesti più semplici e prive di orpelli superflui per dare modo a chi le osserva di potersi riconciliare con esso in una sorta di ridefinizione del rapporto uomo/luogo/memoria.

Il paesaggio diventa perciò "personaggio", esso stesso di fondamentale importanza. Questa caratteristica colpisce molto perché traspare, in modo evidente, l'intenzione di Pasolini di elevare i luoghi a protagonisti tanto quanto i personaggi. Essi trasudano intensità: comunicano forza nella loro nuda semplicità, evidenziano una personalità che non ci è più concesso tanto spesso di incontrare.

"Ho deciso di recarmi nelle terre della Lucania dove sono state girate la maggior parte delle scene, proprio per verificare se questa forte "presenza" del paesaggio si esprime ancora in tutta la sua grandiosità e non rimango delusa: perché ciò che trovo sembra intatto rispetto ad allora. I paesi che ho toccato sono numerosi. Ricordo con particolare intensità Brienza, Craco, Acerenza, Venosa, Barile, Pietrapertosa, Albano Lucano, Tricarico, Lagopesole, oltre naturalmente a Matera. Molti degli scatti realizzati e oggi presenti nella mostra in corso a Roma, sono stati realizzati in questi paesi ove ho ritrovato le suggestioni del film nonostante alcuni di essi non siano stati utilizzati dal regista. Non ho cercato infatti di realizzare un lavoro didascalico: non mi è sembrato interessante, mentre mi sono fatta guidare dalla semplice osservazione del paesaggio cercando di ritrovare emozionalmente situazioni che potessero rappresentare la "bellezza morale" voluta da Pasolini, una bellezza assolutamente priva di estetismo ma ricca di profondità, storia e mistero. La concentrazione su questi aspetti del paesaggio ha fatto sì che trovassi ancora, sia a Barile che a Matera, molte affinità con i luoghi di allora".

"Ho anche notato, in particolare a Matera, una fatica a mantenere coerenza con l'importanza di un luogo storico così pregnante: la voglia di rientrare in una omologazione turistica è evidente in molti aspetti oltre all'abbandono di alcuni siti (in particolare nel Sasso Caveoso) che meriterebbero a mio avviso di essere maggiormente curati nell'aspetto non per renderli più turistici ma per preservarne la testimonianza come tempo storico".

Più o meno nello stesso periodo in cui si girava il Vangelo, un'altra regista, Lina Wertmuller, girava i "Basilischi". Siamo nel 1963 e il film viene ambientato tra un paese lucano, Palazzo San Gervasio, e un paio di paesi pugliesi (Spinazzola, Minervino Murge). La regista romana (di origini lucane, più specificatamente palazzesi) col suo realismo ironico non ne dava, della Basilicata e comunque del Sud, un'immagine molto positiva dal punto di vista sociale ed economico. Tutt'altro. E al contrario di Pasolini che ricerca l'autenticità dei luoghi e dei comportamenti, Wertmuller intingeva il coltello nella piaga dell'arretratezza di quei posti.

Gammarota, anche attraverso le immagini che ritrae e il senso che lasciano percepire, precisa il suo punto di vista: "Personalmente non vorrei che il paesaggio lucano, immagine a me molto cara, e la memoria che lo permea, venisse stravolto da strutture selvagge non necessariamente utili: ho la sensazione, per quel che ho potuto vedere e constatare attraverso il viaggio compiuto in automobile e utilizzando strutture agrituristiche eccellenti, che le infrastrutture e l'accoglienza siano già ineccepibili".

"Certamente, non saranno forse d'accordo coloro che intendono la qualità dei servizi come necessità di imprimere accelerazioni nella trasformazione, ad esempio della rete stradale, che vogliono andare incontro a esigenze di maggiore possibilità di spostamento: la Basilicata è una piccola regione con innumerevoli varietà di paesaggio, la mia esortazione è a non farne un coacervo di strade e strutture sovrabbondanti e forse inutili. Ciò che più mi ha colpita è proprio lo spazio incontaminato e vasto che ancora offre allo sguardo la possibilità di meditare seduti su una pietra. Oltre, ovviamente, alla monumentalità di una città come Matera che offre però ancora molti spunti di umiltà". (M.C.)

Fonti:

  • "Roma, alla Sala Santa Rita gli scatti di Giovanna Gammarota" http://www.adnkronos.com/IGN/Cultura/?id=3.0.2648581882
  • "Lucania, sulle tracce di Pasolini", in http://www.repubblica.it/2006/08/gallerie/spettacoliecultura/santa-rita/1.html
  • "Giovanna Gammarota, Sopraluoghi in Lucania", in
    http://www.pasolini.net/ggammarota_mostraMI01.htm
  • "Diario di viaggio", di Giovanna Gammarota
  • "Pier Paolo Pasolini", Serafino Murri, Il Castoro, Milano
  • "Il Vangelo secondo Matteo", scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini, 1964





















Redazione Consiglio Informa

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