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(ACR) I POMI DELLA MEMORIA LUCANA

22 aprile 2009

© 2013 - mele_lucane.jpg

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(ACR) - La mela, da sempre simbolo di prosperità e vita, è anche l'incipit di tante epopee, dal giardino dell'Eden alla causa della guerra di Troia. L' origine di racconti e fantasie che si perdono nella notte dei tempi. E nella memoria si perde anche la cultura delle mele tipiche della Basilicata: la "limoncella", la "ghiaccio" e la "maggiatica" che contribuiscono ad arricchire il patrimonio ortofrutticolo lucano e sono, dunque, meritevoli di recupero e rivalorizzazione.

Curiosando tra i banchi dei mercati ortofrutticoli, si può notare una piccola mela, discreta per dimensioni e fama, che solo in pochi conoscono e che chiamano "limoncella". Giuseppe Pitta, originario di Vietri e con il banco al mercato rionale di Potenza in Viale Marconi, racconta che "chi conosce la limoncella la chiede sempre, ma a conoscerla sono solo le persone molto anziane"; d'altronde, lo stesso Pitta dice di non sapere nulla su questo tipo di innesto, che ha ricevuto in eredità dal padre e prima dal nonno. Un "qualcosa" di atavico che si tramanda da generazioni ma di cui poco si conosce. La stessa cosa accade per l'agricoltore Domenico Isoldi, anch'egli fruttivendolo in possesso di qualche pianta di limoncella avuta dai progenitori. Un frutto che pochi conoscono e posseggono, insomma, ma la cui storia rimane un giallo.

I protagonisti di questo piccolo "giallo" sono una "vittima", la nostra mela, e un "assassino", il "rimpiazzo culturale". Secondo Giovanni Figliuolo, ricercatore di genetica all'Università di Basilicata, infatti, l'erosione genetica di antiche varietà di mele è dovuta ai grandi circuiti commerciali, sviluppatisi negli anni '50-60, che hanno avvantaggiato varietà quali la golden e la red Stark Delicious a discapito di altre, tra cui la limoncella, causando la perdita della loro memoria storica. Ma come ogni buon giallo, anche questo prevede un "investigatore" che tenta di ricostruire l'identità della vittima e di restituirle giustizia. A vestire i panni del "giustiziere" in questo caso è una delle sette aziende dell'Alsia l'Azienda sperimentale dimostrativa di "Bosco Galdo" di Villa d'Agri, che dedica particolare attenzione alle problematiche e necessità dell'agricoltura locale e regionale.

L'Azienda di Bosco Galdo tenta di ripristinare l'antica coltura di genotipi ormai dimenticati e non solo della limoncella, ma anche di altre varietà di mele come la maggiatica e la ghiaccio. Ne ha ripristinato l'identità genetica e le schede pomologiche, così da restituir loro la vita e la conoscenza.
I nomi locali variano a seconda dell'areale: da "lamuncedda" a "rimuncedda" a "mela lamuni". L'albero delle limoncelle è a portamento assurgente e scarsamente vigoroso, mediamente sensibile alla ticchiolatura e resistente all'oidio. Nell'Alta Val d' Agri è moltiplicato da pollone da piede e raramente innestato su franco. L'epoca della fioritura è intermedia. Gli impollinatori restano sconosciuti. Il frutto è piccolo, di peso medio tra 80 e 90 grammi; ha una forma molto variabile, da oblunga tronco-conico a strozzata e asimmetrica a trasversale, con un peduncolo medio-corto (0,6 mm) di sottile spessore e a inserzione irregolare; ha una buccia sottile ma resistente alla masticazione, dal colore uniforme che va da giallo a giallo-verde chiaro a maturazione, il sovracolore è assente; la polpa è bianca o crema, traslucida, poco croccante, soda, mediamente succosa a tessitura grossolana, qualità medio-buona, sapore dolce, mediamente aromatica, torsolo piccolo, soggetta ad ammezzimento. Per quel che riguarda le alterazioni fisiologiche è soggetta a spaccatura con andamento climatico umido, ma con una media resistenza alle manipolazioni dovuta alla buona consistenza. La produttività è buona (25-30 Kg.), con un numero medio di semi per frutto di 3-4 in cinque logge. Si raccoglie nella prima decade di Ottobre. Il giudizio di insieme la ritiene interessante ai fini produttivi sia per la scarsa vigoria vegetativa sia per la sua conservabilità (si conserva in cantina fino a gennaio). E'una mela biologica per antonomasia. La limoncella ha anche una sottocategoria che è definita "limoncella rossa" o, per i nomi locali, "lamuncedda rossa" o "rimuncedda rossa", che si differenzia dalla classica per una buccia sottile dal colore verde intenso-verde chiaro ma con un sovra colore rosso vinoso al 70% uniforme e striato.

Un'altra vittima a cui fare giustizia è la mela ghiaccio. Il suo albero è a portamento assurgente - fastigato e mediamente vigoroso, sensibile alla ticchiolatura resistente all' oidio. Nell'Alta Val d' Agri è generalmente innestata su franco o franco di piede. Il frutto è medio, dal peso di 160 grammi; ha una forma molto variabile da appiattita a ellissoidale, molto asimmetrica con un peduncolo medio - grosso e corto; la sua buccia è sottile dal colore uniforme da verde a verde chiaro a maturazione e un sovracolore rosso vinoso al 30 per cento, con un epidermide liscia e cerosa, priva di screpolature; la sua polpa è bianco - verdastra, traslucida, croccante, molto compatta, mediamente succosa a tessitura grossolana, dalla qualità medio - buona e dal sapore mediamente dolce e aromatica. E' una mela soggetta a vitrescenza, dall'elevata resistenza alle manipolazioni grazie alla consistenza. Ha una buona produttività (20-25 Kg.), con un numero medio di semi per frutto di 4 su cinque logge carpellari. Si raccoglie nella prima – seconda decade di ottobre. La mela ghiaccio è ritenuta interessante ai fini produttivi, per la elevata resistenza alla manipolazione e adatta alla lunga conservazione.

L'ultima "riscoperta" è la mela maggiatica che localmente è chiamata "masciatica". E' un frutto piccolo dal peso medio di 60-70 grammi. Ha una forma appiattita e leggermente asimmetrica, dal peduncolo medio-corto di grosso spessore. La sua buccia è sottile dal colore uniforme giallo intenso a maturazione fisiologica; la polpa è gialla, traslucida, croccante, mediamente compatta, mediamente succosa a tessitura media, di qualità buona e dal sapore mediamente dolce e aromatica. Si raccoglie nella terza decade di giugno. Ritenuta scadente ai fini produttivi ma interessante per la scarsa vigoria, la elevata precocità e rusticità.

La millenaria attitudine dei lucani nella coltivazione del melo è attestata soprattutto dai ritrovamenti archeologici. Da Eraclea proviene un busto femminile, datato alla fine del V sec. a. C., con una pantera e probabilmente un frutto nelle mani (Policoro, Museo Arch. Naz. della Siritide). Esemplari fittili sono documentati frequentemente in contesti sacri e funerari, come i due frutti, uno di mela e l'altro di mela cotogna, del santuario rurale di Timmari, vicino Matera (Museo archeologico nazionale "Ridola"). Tra le testimonianze di frutti votivi, ci sono quelli del santuario extraurbano di San Biagio della Vinella, nel metapontino, e di Chiaromonte – S. Pasquale, dove è attestato un santuario attivo dal IV sec. a.C. all'età repubblicana, dedicato ad una divinità femminile; una mela cotogna, infine, proviene da Rossano di Vaglio. O ancora, l'importanza di questo frutto per il viaggio dell'anima nel regno dei morti, come il corredo di una tomba, databile all'ultimo quarto del V sec. a.C., rinvenuta a Metaponto (località Crucinia, proprietà Giacovelli), che ha restituito una mela fittile, deposta come coperchio di una "hjdria" protoapula a figure rosse, della fine del VI sec. a.C. (Metaponto, Museo Arch. Naz., Tomba 391). Un altro frutto fittile proviene da una sepoltura di Chiaromonte, databile alla seconda metà del IV a.C. (Contrada Battifarano). Da ultimo, nell'ambito dell'oreficeria, si segnala un anello d'oro proveniente da Metaponto (località Pizzica, Tomba 30) e riferibile al V sec.a.C. Il castone, di calcedonio, è inciso con la raffigurazione della fatica di Eracle nel giardino delle Esperidi: l'eroe tenta di cogliere i pomi d'oro, resi sommariamente e difesi dal serpente, avvoltolato sull'albero (Atti Taranto XL).

Per quel che riguarda la distribuzione sul territorio, la specie non compare nella letteratura storica, tuttavia è stata ritrovata in alcune zone dell'area potentina in prossimità della Puglia, e nelle aree di alta collina vicino al massiccio del Pollino. Evidentemente gli esemplari ritrovati sono derivati dalla specie coltivata che si è inselvatichita. La specie Malus domestica Borkh è coltivata in tutta la regione, negli orti.

Ora che il "giallo" è stato risolto, e le mele lucane sono state identificate e riportate in vita, potrebbero dare origine a una nuova "epopea ortofrutticola" e raccontare le peripezie degli eroi di questa terra così come Omero raccontò i suoi facendo rotolare una mela d'oro con su scritto "alla più bella". (C. B.)

Fonti:

  • "Antica flora lucana-Dizionario archeologico". Maria Luisa Nava, Massimo Osanna e Cecilia De Faveri, Edizione Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata, 2007
  • Dott. Mario Campana, Alsia - Azienda Bosco Galdo (Villa d'Agri)

Redazione Consiglio Informa

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