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(ACR) TERAPIA DEL DOLORE, ATTIVITA' E PROGETTI IN BASILICATA
21 maggio 2009
(ACR) - Anche i numeri mentono. Accade nel caso dei centri di Terapia del dolore. Non è la Basilicata la pecora nera del Mezzogiorno, se si considera che sono almeno cinque - non uno come rilevato dall'indagine realizzata da Nopain Onlus (Associazione Italiana per la cura della Malattia del Dolore) - i centri che accolgono pazienti affetti da dolore cronico non oncologico. Certo, passi in avanti da muovere ce ne sono e la Basilicata non può risparmiarne, dovendo rispondere alle linee guida tracciate dalla Conferenza Stato - Regioni il 25 marzo 2009, secondo cui "occorre che anche le regioni che su questi temi sono avanzate con maggiore celerità ed efficacia, rileggano i termini del problema e tarino le loro azioni anche alla luce di quanto ormai consolidato nella cultura scientifica in Italia e nel mondo".
Il dolore cronico non oncologico è di per sé è malattia. Conseguenza di un trauma o una patologia, può diventare acuto, fino a protrarsi nel tempo, limitando il soggetto che ne soffre nel più semplice dei gesti quotidiani, alterandone le capacità fisiche, emotive, lavorative, accompagnandolo, a volte, in un viaggio che trova il capolinea, spesso, nell'ansia e nella depressione. Secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della Sanità, affligge l'1 per cento della popolazione mondiale, il venti di quella italiana. Le più frequenti patologie che lo generano sono quelle osteoarticolari degenerative, soprattutto a carico della colonna vertebrale, cui seguono le neuropatie, in cui ad essere coinvolte sono le strutture nervose. Altre volte si tratta di dolori post traumatici o conseguenza di infezioni come l'Herpes Zoster, o, ancora, ci sono pazienti in cui il dolore intenso dipende da ulcere agli arti inferiori, di natura ischemica o diabetica. Parallelamente alle patologie osteodegenerative sono diffuse le varie forme di lombosciatalgie o cervicobrachialgie dovute ad ernie del disco, e l'elenco potrebbe continuare ancora.
Nel Bel Paese, però, a differenza del resto dell'Unione Europea, l'attenzione rivolta al dolore cronico e alle sue conseguenze è ancora molto scarsa, e l'argomento continua ad essere sconosciuto e spesso sottovalutato. La Conferenza Stato - Regioni, a proposito, riconosce che "nonostante gli sforzi compiuti, sia a livello nazionale che da parte delle Regioni e delle Province, la risposta assistenziale del Paese sulle tematiche riguardanti il dolore, sia cronico sia riferito alla fase terminale della vita, soprattutto a livello pediatrico, è ancora scarsa, lacunosa e disomogenea soprattutto a livello territoriale".
La Basilicata non indossa la maglia "più nera". All'Unità di Terapia del dolore e Cure Palliative con Hospice, che ha sede presso l'Ospedale San Carlo di Potenza, seguono il Centro di Medicina del dolore all'interno del Crob di Rionero, l'Hospice di Stigliano e, ancora, gli ambulatori di Terapia Antalgica dell'Ospedale di Villa D'Agri e dell'Ospedale di Policoro, quest'ultimo operativo fino a marzo del 2008 ma "aperto ancora ai pazienti che ne abbiamo bisogno", assicura il dottor Nicola Maratea, che ne è stato coordinatore. Marcello Ricciuti, responsabile dell'Hospice potentino, chiarisce che "la terapia del dolore è rivolta anche a pazienti non oncologici, mentre le Cure palliative riguardano prevalentemente malati oncologici in fase avanzata o terminale di malattia". Due interventi differenti, dunque, "a volte associati, perché storicamente filiazione l'uno dell'altro", osserva lo specialista. In genere, spiega, "un paziente arriva da noi dietro consiglio del proprio medico curante o di specialisti di discipline specifiche, dopo aver seguito con loro una prima fase di terapia. Quando il dolore, però, diventa cronico e invalidante, e gli strumenti a disposizione di quei colleghi si esauriscono, subentriamo noi. In molti casi tardivamente". Ricciuti afferma, poi, che "non tutti i medici hanno la sensibilità di inviare presso i centri pazienti che potrebbero beneficiarne anche in tempi più precoci. È anche questo uno dei motivi per cui simili realtà devono essere divulgate e messe meglio in relazione con il territorio". Nonostante la struttura potentina sia conosciuta "spesso mi capita di parlare con persone che ammettono di averne sentito parlare per la prima volta".
Nel 2003, ricorda il responsabile dell'Hospice, "una delibera regionale sugli 'ospedali senza dolore' prevedeva lo sviluppo di un centro di terapia in ogni nosocomio, ma ciò è accaduto a macchia di leopardo". E non solo in Basilicata. Così, preso atto che quel progetto, "al di fuori di poche realtà regionali, non è decollato concretamente, come si auspicava all'interno della Commissione ministeriale 'Programmazione' - si legge nel documento del 25 marzo 2009 - è attivo un sottogruppo di lavoro dedicato all'elaborazione di un modello assistenziale nazionale che possa fornire risposte certe a questo bisogno primario della popolazione". La quarta delle nove linee progettuali del documento, infatti, riguarda proprio la Terapia del dolore.
"Tutte le regioni – interviene Carla Di Lorenzo, responsabile ufficio Pianificazione del Dipartimento Salute della Regione Basilicata - sono chiamate a sperimentare un nuovo modello organizzativo, anche perché ci sono delle risorse finanziarie vincolate, che per la nostra regione ammontano ad oltre 991mila euro, per accedere alle quali dobbiamo preparare un progetto che realizzi una rete regionale". Nell'accordo, infatti, si sottolinea come "si intende sperimentare un nuovo modello organizzativo, integrato nel territorio, nel quale il livello assistenziale viene scomposto in tre nodi complementari: i centri di riferimento di terapia del dolore (hub), l'ambulatorio di terapia antalgica (spoke) e il presidio ambulatoriale territoriale con competenze di terapia antalgica (gestito da un team di medici di medicina generale) realizzando così le reti regionali contro il dolore acuto e cronico".
Chi vive questa esperienza, riprende Marcello Ricciuti, "soffre moltissimo, a volte anche quanto, se non di più, di quelli oncologici, perché si tratta di persone con aspettative di vita e che non hanno malattie che li porteranno alla morte in breve tempo. Tutt'altro". E' determinante considerare, quindi, che la malattia può durare per sempre e che andrebbe controllata per semplificare la vita di chi ne è affetto. "Con questi pazienti svolgiamo un'attività ambulatoriale di visita e di trattamento due volte a settimana – prosegue il responsabile dell'Hospice potentino – cui si aggiungono sedute di tipo operatorio, nel caso si tratti di soggetti che necessitino di interventi di terapia antalgica particolare".
I trattamenti possono essere di tipo farmacologico o invasivo. Dipende dall'esperienza dei pazienti, chiarisce Pasquale De Negri, primario di Anestesia, Rianimazione e Terapia del Dolore al Crob di Rionero, dove molti arrivano da zone del salernitano e foggiano, ma anche Irpinia, Calabria, e Basilicata, ovviamente. "Al primo cenno di dolore difficilmente chi ne è colpito verrà da me – riconosce De Negri - rivolgendosi al proprio medico che gli indicherà una terapia". Se, invece, "il soggetto chiede subito il nostro intervento, preferiamo cominciare con una cura farmacologica che dura dalle tre alle quattro settimane. Successivamente, si opta per quella di tipo invasivo". Con i farmaci di cui si dispone oggi "se non guarire, si può quanto meno condurre il dolore ad un livello normale di sopportabilità e minore influenza sulla qualità della vita", commenta Marcello Ricciuti.
Una porta d'accesso alla cura del dolore cronico, per quanto motivo di preoccupazione per i pazienti interessati, si rispecchia negli oppiacei considerati "i farmaci più naturali ed utilizzati in queste situazioni, i quali, impiegati in maniera congrua, personalizzata, con dosaggi crescenti, consentono di controllare la gran parte delle sindromi dolorose, anche quelle croniche non oncologiche". Lo stesso accordo dello scorso marzo auspica "la realizzazione di campagne informative sull'utilizzo di farmaci oppiacei per favorirne l'utilizzo". E se da una parte continua a dominare la convinzione per cui la relativa assunzione sia correlata esclusivamente ad un male incurabile, è anche vero, però, che "essi - conferma De Negri - possono essere paradossalmente più utili. Considerarli pericolosi – riflette - è segno di grossa ignoranza non solo del paziente ma anche della classe medica".
Quando queste soluzioni falliscono, o non sono sufficienti, si ricorre alle procedure invasive, le quali possono consistere «in banali infiltrazioni dei punti dolorosi – riprende Ricciuti – o più complesse a carico della colonna vertebrale, fino all'impianto di sistemi avanzati per il controllo del dolore, come pompe elettroniche che somministrano farmaci all'interno del canale vertebrale». Ma l'elenco degli interventi possibili potrebbe continuare.
Nicola Matera sottolinea che si parla "di dolore - malattia anche perché in questi casi si manifestano le fibromialgie diffuse, patologie legate ad ansia e depressione, associate a dolori migranti in tutto il corpo". Concorda Iolanda Tres, responsabile dell'ambulatorio attivo presso l'Ospedale di Villa D'Agri, che aggiunge: "Oserei definire la fibromialgia un mal di vita. Ci sono soggetti – prosegue - che del dolore cronico ne fanno la vita stessa, a volte esso è irrisolvibile perché diventa psicologico e al primo disturbo avvertito dal paziente torna e si cronicizza, anche se non associabile alla patologia di cui soffre. In questi casi - sostiene Tres - è difficile comprendere se il paziente è arrivato al dolore perché depresso, oppure è il dolore che ha portato la depressione".
L'Organizzazione mondiale della Sanità definisce il dolore cronico "un'esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole, associata ad un danno potenziale o attuale dei tessuti o dell'organismo". Marcello Ricciuti condivide e sottolinea il carattere dell'emotività, perché le persone che convivono con questo dolore "hanno bisogno di un supporto che vada al di là di quello fisico, dal momento che ad essere coinvolte sono anche la sfera psichica e spirituale della persona".
È diffusa la convinzione per cui il dolore-malattia sia "un fenomeno abbandonato in medicina, nel senso che non è oggetto del dovuto interesse", afferma Nicola Maratea. "Si pensi alla fase post operatoria, la maggior parte dei pazienti è abbandonata, perché il chirurgo ritiene il dolore una risposta positiva all'intervento. Pochi medici considerano il dolore una malattia, descrivendolo piuttosto come qualcosa da trattare al bisogno, segno di una mentalità chiusa nei confronti di questo fenomeno, che invece dovrebbe essere controllato e alleviato in modo da migliorare le funzioni del corpo del soggetto interessato". Quel che manca, scandisce, "è una specializzazione nell'università italiana". L'eco rispetto a questa considerazione torna da Pasquale De Negri: "La popolazione non sa a chi rivolgersi, perché non esiste una specialità di Terapia del dolore, ormai acquisita dall'anestesista che non è sempre in grado di dedicarsi in maniera adeguata alla situazione". Questo "richiede un impegno da parte del medico e una comunicazione da parte degli organi preposti, tutto finalizzato ad indirizzare il paziente verso questi centri".
Il coinvolgimento di tutti gli attori del settore e la "definizione di un piano di formazione e di aggiornamento del personale" sono elencati anche nella quarta linea progettuale dell'accordo Stato - Regioni: "Dalle famiglie, ai medici di medicina generale, ai pediatri – recita il documento - dagli hospice agli ambulatori, fino all'ospedale. È essenziale, infatti, perché questo modello funzioni, che essi comunichino tra loro, coordinando le proprie azioni in modo da non sovrapporsi o, il che sarebbe peggio, lasciare dei vuoti nella continuità dell'assistenza". Un invito, quindi, alle regioni perché "presentino la ricognizione, in ambito regionale, della situazione esistente in rapporto ai bisogni della popolazione residente sia sulle cure palliative che sulla terapia del dolore, e la definizione della rete infrastrutturale e quantificazione delle infrastrutture da realizzare ex novo per coprire il fabbisogno di cure palliative e di terapia del dolore".
Il dolore cronico nelle sue diverse intensità e sensazioni, è «quel dolore acuto che non è passato e che continua a persistere, a rappresentare una patologia vera a propria dovuta ad alterazioni a livello nervoso tali da rappresentare, appunto, una malattia». Pasquale Negri prova a identificarlo prendendo ad esempio il cosiddetto "Fuoco di Sant'Antonio": "Il paziente va dal dermatologo che gli dà una cura, la segue e guarisce, la pelle torna normale, passano bolle e croste, ma comincia un dolore tremendo perché si è manifestata una patologia". Ecco che osserva: "Il concetto di Centri di Terapia del Dolore non è corretto, dovrebbero piuttosto chiamarsi Centri di Medicina del dolore in cui alla diagnosi segua una terapia. "Anche perché - è il commento di Marcello Ricciuti a riguardo - la diagnosi stessa va orientata a capire qual è la natura del dolore, non tanto della malattia che lo ha determinato". La causa per curare l'effetto, una soluzione per rivendicare quel diritto a non soffrire. Investire, la parola chiave per migliorare questo servizio, investire, in termini di risorse umane, tecnologiche, finanziare, per superare una diversità che non esiste, e che, per questo, è difficile da accettare. (A. P.)
Fonti:
- http://www.nopain.it/
- http://www.aisd.it/home.php
- http://www.federdolore.it/
- http://www.doloredoc.it/scientifico/home.html
- http://www.dolorenograzie.com/
- Conferenza Stato-Regioni del 25/03/2009. Testo dell'accordo ai sensi dell'art. 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sulle linee progettuali per l'utilizzo da parte delle Regioni delle risorse vincolate ai sensi dell'art.1, commi 34 e 34 bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 per la realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale per l'anno 2009