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(ACR) PROGETTO LEONARDO: DALLA BASILICATA ALL'EUROPA E RITORNO

01 luglio 2009

© 2013 - siviglia_panorama.jpg

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(ACR) - "Aeroporti, alcuni vengono, altri se ne vanno, come Alice nel Paese delle Meraviglie senza città. Il coraggio per andarsene, la paura per tornare. Lasciarsi trasportare, suona fin troppo bene, giocare d'azzardo, non sapere mai dove puoi finire o iniziare … sogni di risvegliarti in un altro tempo e in un'altra città". Questi versi sono tratti da "Copenhague", canzone dei Vetusta Morla, e potrebbe tranquillamente diventare l'inno dei giovani che partono per progetti di studio o di lavoro internazionali, tornando dopo alcuni mesi. Si tratta di una condizione esistenziale unica e percepibile da quando l'Erasmus, il Leonardo da Vinci e progetti di questo tipo hanno conquistato i giovani europei.

Io sono una di loro. Se si vive l'esperienza si entra automaticamente in un gruppo numeroso all'interno del quale si conosce una persona anche senza conoscerla, semplicemente perché si condividono sensazioni ed esperienze simili. In fin dei conti, siamo tutti uguali noi Erasmus e leonardiani: facciamo cose diverse, studi diversi, conosciamo gente diversa, ma la verità è che siamo accomunati e ci riconosciamo senza conoscerci.

LA MIA ESPERIENZA

Ho partecipato al Leonardo da Vinci nel 2008 tramite l'attuale organizzazione del progetto in vigore dal 2007 al 2013. Il Leonardo è una specie di Erasmus, che, invece dello studio, prevede l'inserimento nel mondo del lavoro. La durata varia fra i 2 e i 12 mesi, in accordo alle decisioni prese dall'ente che pubblica il bando; la partecipazione è gratuita. Un ente regionale lucano, l'Ireforr, finanziato dai Comuni che avevano deciso di partecipare al progetto, mi ha permesso di partire. L'Ireforr è uno degli enti della Basilicata ad occuparsi di formazione e dell'organizzazione di questi concorsi, l'altro è Sistema Turismo. L'Ireforr aveva stabilito come mete Francia, Spagna, Portogallo e Regno Unito.

Studiando castigliano, decido di porre come preferenza nel modulo per la domanda proprio la Spagna. Dopo un colloquio mi comunicano che sono stata scelta; parto nel settembre del 2008. Poco prima di trasferirmi temporaneamente a Siviglia mi impongo di lavorare soltanto e di fare in modo di non legarmi a niente e a nessuno; percepisco l'esperienza come qualcosa di assolutamente professionale; la verità è che le cose non vanno esattamente in questo modo.

Nel momento esatto in cui l'aereo tocca terra straniera e la nuova vita inizia ufficialmente si diventa vittima di un sortilegio: la persona che è partita resta fondamentalmente se stessa ma converte tutti i suoi schemi mentali più rigidi in volontà di provare e di buttarsi a capofitto, anche correndo dei rischi. Ovviamente, equipaggiandosi di protezioni, il dolore causato dalla fine dell'esperienza risulta minore, perché, dopotutto, è con te stesso che devi fare i conti una volta rientrato in Italia; sarà lo specchio italiano a dirti se ne è valsa la pena provare; la sensazione è che finché vivi l'esperienza lo specchio in cui guardare il riflesso appare annebbiato, come ricoperto da una patina di vapore; rientrando alla vita di sempre si chiarifica tutto ed è il momento più difficile perché ne potrebbe conseguire depressione.

E quello che succede agli studenti Erasmus: mesi di euforia, scoperte, emozioni troppo forti che al ritorno fanno apparire l'esistenza sciatta e invivibile. Questo è il rischio maggiore: tornare con la voglia di spaccare il mondo e scoprire che non ne hai la possibilità se continui a vivere nel posto di sempre. Conta capire che in tre mesi sono diverse le possibilità che nel corso della routine non ci sarebbero tanto facilmente. La nostalgia al ritorno è quasi fisiologica, ma se si trova il coraggio di fare della malinconia la propria forza reagendo positivamente, si otterranno dei vantaggi nella grigia vita quotidiana. Nelle attività di tutti i giorni e nei rapporti interpersonali si potranno mostrare i nuovi tratti della persona che è stata via.

Stando all'estero si assorbe la nuova cultura: al ritorno dall'esperienza, all'aeroporto, non è tanto difficile capire chi sta tornando dalla "locura" spagnola e chi dal freddo dell'Irlanda del Nord. Al ritorno è facile sentirsi spaesati: non sai da dove sei arrivato, non sai dove stai andando e devi cominciare tutto daccapo. Il linguaggio non riesce a risintonizzarsi sulle frequenze italiane. Si torna con gli avvenimenti dei mesi trascorsi all'estero compatti e uniti in una scatola. Occorre estrarre tutti i file e risistemarli secondo un ordine. Affrontare l'esperienza è come partecipare a un rito di passaggio, come quegli artigiani che, raggiunta la maggiore età, partono vivendo come bohemien, fanno pratica lavorativa, ma soprattutto cercano il proprio posto nel mondo. Si tratta di un piccolo salto mortale.

Durante il primo mese seguo un corso di lingua basico. Ogni giorno si va a scuola per 4 ore sebbene l'insegnante aggiunga alle lezioni visite alla città, ai suoi monumenti e cerca di farci integrare nella società sivigliana. Durante le lezioni impariamo molti aspetti della cultura spagnola, anche se si tratta di un corso non organizzato tenendo conto delle disparità linguistiche del gruppo: qualcuno ha già studiato spagnolo, altri no. Terminato il corso, inizia il tirocinio, scelto dall'agenzia ospitante - che svolge un'attività complementare all'Ireforr - in base al profilo del partecipante: un profilo linguistico- culturale nel mio caso. Lavoro come guida turistica in un museo e nel tempo libero faccio volontariato. Il museo si chiama Palacio de Lebrija e si trova nel centro di Siviglia. Le mie mansioni sono: guidare i turisti a visitare questa casa palazzo di una nobile famiglia locale, fornire informazioni – se richieste - sulla città, sulle strade e sui monumenti. Dato che all'interno del palazzo si organizzano congressi, principalmente di tipo medico, capita che lavori anche di sera come hostess. La politica linguistica del museo prevede visite in spagnolo e in inglese, ma, a discrezione del tirocinante, si possono scegliere altri idiomi: seleziono, oltre all'italiano, il francese.

Malgrado una certa rigidità riguardo all'abbigliamento, la direzione e la guida turistica ufficiale - per inciso una ragazza di soli 29 anni che lavora già da tempo all'interno del museo - mi concedono fiducia da subito; mi danno la guida da studiare in varie lingue; già il primo giorno, dopo aver seguito per alcune visite la guida ufficiale, mi offrono la possibilità di guidare dei turisti. Noto immediatamente una certa propensione a fidarsi dei giovani; ad esempio il mio collega è un ragazzino inglese che quasi non conosce lo spagnolo, eppure non per questo è messo da parte, anzi, si cercano i suoi punti di forza.

Un altro aspetto emerso è l'informalità sul posto di lavoro; ci si dà del tu e i propri colleghi sono come una famiglia aggiunta. I portinai, il personale di servizio, la direttrice, la guida turistica ufficiale, i tirocinanti, i proprietari stessi sono tutti sullo stesso piano. Ovviamente esistono delle regole per conservare l'ordine, però non esiste una vera scala gerarchica ed è perfettamente normale che fra una visita e l'altra si vada a prendere un caffè insieme o ci si sieda nel patio a parlare e a confrontarsi.

Lavoro 4 ore al giorno per preservare la mia freschezza in quanto guida; si tratta, infatti, di un lavoro piuttosto logorante e a tratti alienante perché ci si ritrova a ripetere sempre gli stessi contenuti. Ho due trucchi: non imparare a memoria la guida - per esprimermi ogni volta in modo diverso - e stabilire una connessione umana con i turisti. Ho solo un problema: le mie prime visite durano almeno 10 minuti più del dovuto, così imparo a dire tanto in minor tempo. Sono impegnata per poche ore, anche se a volte lavoro per 8 ore al giorno e molti festivi per me non sono liberi. Prima di iniziare a lavorare al museo assisto a diverse visite guidate a Siviglia e mi accorgo che ci sono troppe guide annoiate e lontane anni luce dai turisti che hanno di fronte. Una volta invece mi capita di seguire una guida capace di porsi in maniera empatica nei confronti dei visitatori e cerco di ispirarmi a lei. E la scelta giusta: i turisti mi ascoltano quando parlo, gli consiglio cose da vedere, posti in cui mangiare o andare a divertirsi - differenziando in base al target - e molti tornano alla fine del soggiorno per salutarmi o ringraziarmi.

Dopo una settimana di stage, però, mi rendo conto che voglio fare qualcos'altro durante le mattine o i pomeriggi liberi. Mi rivolgo all'agenzia ospitante che mi propone di fare volontariato presso la Uniòn Romanì, un'associazione che si occupa di favorire l'integrazione nella società spagnola di rumeni e rom. Dopo un colloquio con la direttrice, inizio a frequentare i posti che necessitano aiuto. Lavoro in una scuola di un quartiere rom: il pomeriggio in ludoteca con bambini gitani o in aula con le loro madri, impegnate nel processo di alfabetizzazione e di apprendimento dello spagnolo. Di mattina vado in scuole di quartieri considerati malfamati per intervenire in differenti attività extrascolastiche che permettano ai ragazzini di non sentirsi esclusi. Si lavora in stand organizzati in occasione di fiere sul volontariato o sull'emigrazione, ma anche in ospedali. Nell'ultimo periodo svolgo lavoro di ufficio nel settore dedicato ai giovani dell'associazione; il mio capo ha solo 25 anni e i miei colleghi sono altrettanto giovani. Trascrivo nel computer dati di un'inchiesta sui gitani effettuata in università andaluse e aiuto nel realizzare i risultati dei questionari. Si tengono regolarmente riunioni per monitorare l'andamento delle attività; il lavoro dei volontari è accuratamente organizzato permettendoci anche di conoscere la cultura del popolo cui diamo una mano; inoltre, siamo tutelati per lavorare meglio. La teoria è che non puoi essere volontario se non ti senti a tuo agio o se hai problemi che non ti consentano di portare a termine il tuo dovere. Dunque l'ambiente all'interno dell'associazione è particolarmente informale e fondato su una profonda umanità. In questa attività non ho avuto problemi, anzi, ho imparato a confrontarmi con una cultura differente - cultura frequentemente penalizzata da pregiudizi - e ad essere una lavoratrice tuttofare nel settore sociale- ambito che non conoscevo.

Ogni mese si tiene una riunione di valutazione all'interno dell'agenzia ospitante durante la quale è fornita anche una paghetta. Per quanto mi riguarda, la borsa di studio ha coperto la quasi totalità delle spese, circa l'ottanta per cento. La riunione di valutazione consiste nel compilare un questionario e nel dialogare con i propri tutor, che comunque si tengono aggiornati nel corso del mese comunicando sia con gli stagisti sia con i datori di lavoro.

Quando ti trovi in questa situazione sei lo straniero, sei la risorsa, sei affascinante, sei nuovo. L'altra faccia della medaglia ti mostra che sei anche sostituibile con il prossimo che verrà e che finirà per essere lui lo straniero affascinante e nuovo, sarà lui la risorsa. Però occorre dire che se lavori sodo e tessi dei rapporti lasci una porta aperta. Quando vai via muore una parte di te, il lutto dura a lungo e sai perfettamente che la guarigione non sarà mai completa, rimarrà sempre una ferita.

Soprattutto in Spagna, sei colpito dalla sindrome dell'italiano in Spagna; fra spagnoli ed italiani esiste una stima reciproca accompagnata da un certo senso di solidarietà, considerate le somiglianze culturali (si pensi all'itagnolo, idioma che prevede una mescolanza di italiano e spagnolo nel caso in cui conversino un italiano in italiano e uno spagnolo in spagnolo, ma ognuno dei due inserisce parole dell'altra lingua, anche se a volte inventate); un italiano che si ritrova in Spagna, soprattutto se giovane e dalla mentalità aperta, si sente al proprio posto e dopo un po'è colpito da questa sindrome che si insinua sotto pelle e che si presenta con violenza nel momento in cui la permanenza termina. Quando gli ultimi giorni senti i tuoi amici spagnoli usare il passato prossimo che in castigliano indica un'azione ancora in corso che tuttavia sta finendo, capisci che è quasi tempo di andar via. Il momento di andarsene arriva proprio quando ci si sente a proprio agio e si sta iniziando a costruire una vita nella città: esattamente quando si trova il proprio posto. Quando l'ultima mattina ci si ritrova all'aeroporto per partire e ci si sente sradicati, si sa perfettamente che anche tornando non sarà più come prima: non sei più un tirocinante, non ci sono più le stesse persone né le stesse condizioni.

Il consiglio che do ai futuri partecipanti è di costruire una rete umana e professionale nella città in cui si è vissuto; non garantisco che la troveranno precisamente intatta in caso di ritorno. L'illusione che si ha durante l'ultima alba è che il tempo si fermi nella città che si lascia: un'illusione curativa per il dolore, ma la realtà mostra evidentemente che la città che lasciamo cambia nella stessa misura in cui cambiamo noi. In ogni caso, se il percorso fatto in tre mesi è stato soddisfacente e si è entrati a far parte della città, sarà relativamente più semplice tornarci. Consiglio di frequentare il più possibile la gente del posto e gli altri stranieri; comprensibile il desiderio di stare con gli italiani, perlomeno all'inizio, ma occorre staccare il cordone dall'Italia se davvero si vuole crescere. Purtroppo devo ammettere che il fatto di essermi ritrovata in casa con due italiane, all'inizio, ha penalizzato la mia maturazione individuale; sicuramente il confronto con due corregionali tanto simili e tanto diverse da me mi ha permesso di imparare, ma avrei appreso ancora di più in un contesto maggiormente multiculturale nell'appartamento.

Consiglio di provare tutto, di viaggiare, di essere curiosi, di non sprecare nemmeno un attimo, di osservare. Riprendendo la mia esperienza da tirocinante leonardiana, al rientro, osservandomi allo specchio, ho scoperto una persona più sicura di sé. Ho imparato dal punto di vista professionale, ho appreso una nuova lingua, ho imparato a relazionarmi in modo migliore con gli altri. In Italia mi sono laureata e ho trovato nuove possibilità. Nel frattempo ho deciso di tornare per un po'di tempo in Spagna, in Erasmus, per completare il mio percorso, d'altronde ho già gli anticorpi per vivere un'altra esperienza del genere. Più si vive intensamente più è struggente andarsene, ma, questo posso garantirlo, quando ci si guarderà nello specchio italiano non annebbiato dal vapore dell'ignoto, si scopriranno i tratti diversi di una persona più ricca e più evoluta che ha assorbito conoscenze e che potrà proseguire il proprio cammino arricchendo le persone e la terra che la circondano.

PROGETTO LEONARDO DA VINCI: IL GRUPPO DEI PARTECIPANTI

Molte più persone, rispetto al passato, partecipano a questo progetto per ottenere una formazione tramite tirocinio. Secondo stime della Ue ogni anno ci sono circa 80.000 beneficiari, più del doppio rispetto al vecchio programma. A volte si parte da soli, ma normalmente si mandano gruppi. L'Ireforr, ad esempio, concedendo la borsa di studio a 100 persone per ogni bando pubblicato, pianifica tre flussi di partenze in un anno. Il mio gruppo era formato da 16 persone, di formazione piuttosto eterogenea: diplomati, laureati, studenti, lavoratori; questo è interessante poiché persone che non avevano proseguito i propri studi hanno deciso di riprendere ad acculturarsi, considerato che alcuni dei miei compagni avevano già superato i 30 anni. Tutti provenienti da ambiti differenti: scienze, discipline umanistiche, artigianato, economia...

Dopo aver superato un colloquio che teneva conto del curriculum e della motivazione a partire, vennero scelti 100 di noi, divisi, su decisione dell'Ireforr, fra Spagna e Gran Bretagna, grazie al partenariato che l'ente intrattiene con istituzioni affini in questi paesi. Il mio gruppo partì nel settembre del 2008 e tornò a dicembre. Fra l'altro Spagna e Gran Bretagna erano anche le mete più ambite; il paese di Zapatero per la crescita economica, per l'avanguardia dal punto di vista legislativo e per la qualità della vita che fa della nazione iberica una meta molto gettonata anche dagli studenti Erasmus; le regioni scelte, Andalucìa e Murcia, sono caratterizzate non solo da una costante crescita economica, ma anche da uno stile di vita "callejero" (solare ed energico) tendente a livelli di stress molto bassi.

Le motivazioni che hanno invece spinto i partecipanti alla scelta della Gran Bretagna sono state collegate essenzialmente all'intenzione di imparare o migliorare il proprio inglese, la lingua degli scambi internazionali. Molti, inoltre, volevano conoscere le dinamiche lavorative del Regno Unito- la meta stabilita dal bando era Londonderry, nell'Irlanda del Nord- per mettersi alla prova in un ambiente altamente selettivo e competitivo.

Tornando al mio gruppo: 10 erano laureati, 4 iscritti all'università e 2 diplomati già inseriti nel mondo lavorativo. La durata non è stata sufficiente perché tre mesi sono pochi per costruire basi linguistiche e lavorative davvero forti. È una sorta di assaggio che richiede in seguito tanto impegno personale per non perdere ciò che si è iniziato a costruire. Il primo mese, infatti, ci si confronta con il nuovo idioma e con le nuove abitudini. Il secondo mese si inizia a lavorare, dunque si prova a collocarsi all'interno di un posto inconsueto dove occorre apprendere le dinamiche aziendali: entrare nel gruppo di colleghi, imparare a padroneggiare nuovi strumenti, comprendere la mission dell'azienda. Solo il terzo mese si fondano solidamente le conoscenze linguistiche, sociali e professionali. In quel momento, se l'impegno è stato costante, emergono i primi risultati su cui costruire. Dunque sarebbe ideale un prolungamento a 6 o a 12 mesi.

"Mi avevano proposto di restare a lavorare anche a gennaio nell'albergo dove avevo svolto il mio tirocinio", dice G. L., uno degli stagisti, 31 anni, "peccato che non avessi più la borsa di studio, né una casa. Avrei dovuto cominciare tutto daccapo, ma la paga che mi offrivano non era abbastanza alta da potermi permettere di restare; magari se la permanenza fosse durata di più avrei avuto le idee più chiare, avrei cercato un altro lavoro e avrei messo da parte una somma di denaro; la richiesta dell'hotel, così improvvisa, non ho potuto accettarla. In ogni caso tornare in Italia non è stato negativo dopo questa esperienza; ormai ho più di 30 anni e mi serviva allontanarmi da Potenza per un po', non avendo mai viaggiato all'estero. Fra l'altro a Siviglia ho trovato l'amore e la storia prosegue. Alla partenza parlavo ben poco spagnolo, ero stato ripescato perché in un primo momento non ero risultato vincitore, partire è stato quasi un miracolo ed è assurdo pensare che un anno fa non avevo la più pallida idea di cosa mi sarebbe capitato".

Alla partenza, però, è necessaria anche una buona dose di consapevolezza: potrebbe trattarsi di una svolta determinante nella propria vita. Andare all'estero con un progetto del genere non implica solo il lavoro, ma anche la possibilità di integrarsi all'interno della società ospitante e di aprirsi al dialogo- o allo scontro- con quanto esiste di diverso. "Sono specializzando in psicologia ma in 27 anni non ero mai stato all'estero", racconta M. S., un altro tirocinante, "parlavo poco spagnolo e non avevo in generale contatti con il mondo fuori dall'Italia; l'agenzia mi mise a fare pratica alla Uniòn Romanì, dove avrei dovuto aiutare a risolvere situazioni di esistenze emarginate; all'inizio fu complicato, ma alla fine mi ritrovai a poter comunicare con tutti e a scoprire che fuori dal nostro seminato esiste un mondo immenso, ingarbugliato ma affascinante. Inoltre, pur condividendo l'appartamento con un italiano, abbiamo fatto in modo di parlare in spagnolo anche fra di noi, considerato che i nostri coinquilini erano stranieri: il primo mese c'era un ungherese, l'ultimo mese due francesi. Quando terminò l'esperienza non volevo più tornare in Italia". "Nemmeno io", aggiunge N. C., 25 anni, che ha svolto il suo stage alla reception di un albergo, "in realtà il mio spagnolo non è migliorato molto perché sono stata quasi tutto il tempo in compagnia di italiani, ma è l'aria che si respira a Siviglia che ti trattiene lì".

Alcuni partecipanti hanno dunque avuto la possibilità di condividere la casa con studenti o tirocinanti stranieri, fattore indiscutibilmente proficuo per l'arricchimento personale. Tuttavia, la scelta di far abitare insieme gruppi di italiani non è stata completamente negativa. I tirocinanti, dividendo gli spazi con gente proveniente dalla stessa regione, hanno appreso usi e costumi di persone che, pur appartenendo alla stessa zona, presentano differenze dialettali o di altro tipo. "Stavo in casa con due lucane di zone diverse dalla mia", dice G. Q., 26 anni, stagista in un'agenzia di viaggi, "non sapevo che nella nostra regione, così piccola, esistessero aspetti tanto differenti. Abbiamo finito per confrontarci su fattori culturali e dialettali, notando quante sfumature caratterizzino la nostra terra".

I pro superano i contro secondo i partecipanti. "Ho maturato nuove esperienze, aperto la mia mente, sono cresciuta", afferma N. M., 27 anni, che ha lavorato in un laboratorio per la ricerca sui tumori, "è stata una boccata d'aria, la vita a casa mi soffocava, però al ritorno ho capito che avevo solo bisogno di alcuni mesi di decompressione, alla fine non si sta da nessun'altra parte tanto bene quanto da noi". "Questo progetto ti fa sentire di essere europeo, ti rende fiero di aiutare nel promuovere unione all'interno del nostro continente", riferisce R.L. , 29 anni, artigiano, "mischi tante lingue come in una Torre di Babele, comunichi con gente di qualsiasi provenienza; mi sentivo davvero cittadino del mondo mentre vagavo senza meta per la città e mi perdevo nelle sue strade, scoprendo ogni volta qualcosa di nuovo". "A me è piaciuto osservare come funzionano le dinamiche lavorative in un altro paese europeo", sostiene F. E., 28 anni, pubblicitario. Concordano A. A. e C. A., rispettivamente di 29 e di 33 anni, che hanno fatto pratica in laboratori scientifici, sul fatto di aver appreso nuove tecniche che cercheranno di utilizzare in Basilicata, soprattutto uno dei due, che lavora in ambito agrario.

"Ho lavorato in un ufficio di informazioni turistiche", riporta N.L. , 25 anni, "e anch'io ho imparato molto, soprattutto grazie alla disponibilità che l'azienda ospitante ha dimostrato nei miei confronti; alla fine i miei colleghi nemmeno volevano che me ne andassi". "Io ho messo in pratica le mie conoscenze teoriche lavorando in uno studio legale", racconta I.B., 34 anni, "in Italia questo non è tanto possibile, soprattutto se sei un tirocinante". "Questo è vero", continua A. I., 30 anni, "ho fatto il tirocinio alla reception di un albergo e, non conoscendo il settore, avevo paura di provare attività nuove all'inizio, anche per le difficoltà linguistiche; mi hanno permesso di correggere i miei errori e, dandomi fiducia, ho imparato in fretta perché non mi sentivo sotto pressione".

L'Ireforr continua con i propri obiettivi formativi e di recente ha pubblicato un bando che permetterà a 100 futuri tirocinanti di andare in Spagna, Francia e Regno Unito per 14 settimane. Rispetto al precedente bando la durata del corso di lingua sarà di 2 settimane, favorendo lo stage. L'ambito lavorativo riguarda i settori professionali considerati strategici per lo sviluppo della montagna.

Esperienze come l'Erasmus o il Leonardo da Vinci arricchiscono il percorso di vita di una persona, ma sono anche delle esperienze che si svolgono in una dimensione parallela alla propria vita quotidiana. "Mi sentivo impazzire all'idea di tornare alla vita di sempre", confessa G.L., 31 anni, "ma alla fine ho accettato che è un momento di passaggio; il dolore resta ma la sofferenza è parte integrante dell'esperienza; diciamoci la verità, se il Leonardo o l'Erasmus non fossero fatti per terminare, ci annoieremmo ad un certo punto di questa non – vita e pretenderemmo di mettere la parola fine perché ci esaspererebbe e vorremmo tornare all'esistenza reale; questi eventi sono belli anche perché hanno una durata limitata, se così non fosse forse non saremmo nemmeno in grado di goderceli nel modo giusto e li affronteremmo senza vitalità: è la loro precarietà a farceli amare".

Dunque non significa trasferirsi all'estero definitivamente: sono eventi a tempo determinato durante i quali ci si sposta in una zona nuova e protetta, isolata da tutto il resto. Di conseguenza bisogna essere consci che il trucco è imparare, scambiare e ricevere con il giusto distacco emotivo. Un rito di passaggio da affrontare con lucidità. (A.R.)

Fonti:

  • www.ireforr.it
  • www.programmaleonardo.net
  • www.studenti.it/forum

Redazione Consiglio Informa

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