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Giacinto Albini: un patriota moderato
06 ottobre 2010
(ACR) - Parafrasando una frase recitata nel film di Rocco Papaleo, “Basilicata coast to coast”, oggi, a centocinquantanni dal travagliato processo di unificazione, si può dire che “l’Italia unita esiste; è un po’ come il concetto di Dio: ci credi o non ci credi”. Paradossale è che, per rimettere in piedi l’orgoglio nazionale tanto ammaccato per gli strali costantemente ricevuti – e forse anche per meglio comprendere alcune contraddizioni di oggi – serva rivolgersi al passato e precisamente a quelle figure che alcuni chiamano eroi ed altri, semplicemente, patrioti. Giacinto Albini è stato, sicuramente, uno di loro; fra i lucani il più noto e non a caso.
Nato a Napoli nel “caldo” 1821 da un’antica famiglia lucana originaria di Sarconi, poi trasferitasi, nel 1521, a Montemurro, Giacinto era il primo di tre figli; i fratelli, Nicola e Tommaso, rispettivamente sacerdote e farmacista, lo avrebbero sempre sostenuto nel corso della sua attività patriottica e politica. Soprattutto Nicola fu un esponente di primissimo piano nell’azione insurrezionale accanto al fratello. Giacinto divenne avvocato, senza peraltro mai svolgere la professione, anzi preferiva insegnare letteratura e comporre poesie. Pubblicò una raccolta di versi (Ore poetiche) e, successivamente, una grammatica latina (Corso teorico-pratico di lingua latina).
Il diritto da una parte e gli studi classici dall’altra alimentarono gli ideali dell’Albini il quale, convinto antiborbonico, fin da giovane, aderì alla Carboneria ed il 15 maggio del 1848 si fece notare sulle barricate di Napoli. Dopo ciò, probabilmente sia per evitare guai con la giustizia che per la sincera volontà di portare anche nel suo paese natio l’“aura” liberale, fece ritorno a Montemurro creandovi una società carbonico - militare. Questi anni non passarono invano. Difatti, egli, notando la disorganizzazione delle forze liberali lucane e comprendendo che occorreva superare i contrasti interni, fondò a Montemurro un “centro” che includeva i vecchi affiliati alla setta dell’Unità Italiana presenti in molti comuni della regione ed anche coloro che, nel 1848, avevano militato nella corrente moderata capeggiata da Vincenzo d’Errico.
D’ora in avanti, la sua attività non ebbe tregua, tessendo rapporti con i radicali napoletani, senza mai, tuttavia, diventare uno di loro. Tommaso Pedìo ricorda come il “Mazzini Lucano”, secondo la famosa definizione di Francesco Crispi, in realtà non sia mai stato né repubblicano né mazziniano. Altre fonti dicono il contrario e sembrano propendere per un Albini “sinceramente” repubblicano, ma convinto che non fosse possibile superare la monarchia in quel momento.
Più specificatamente, lo si intuisce dalle conclusioni a cui è giunto lo storico Saverio Cilibrizzi quando scrive che lo stesso Giuseppe Mazzini definiva Albini un “fratello della Patria”. O ancora, dal saggio del 1912 di Decio Albini, figlio di Giacinto, “Montemurro per la Rivoluzione lucana”, ripubblicato dal Consiglio regionale in occasione dei festeggiamenti a Montemurro per i 150 anni dall’insediamento dell’Albini come Governatore della Provincia di Basilicata. Scrive, tra l’altro, Decio: “Giacinto Albini anziché nascondersi e esiliare, intraprese un attivo viaggio di propaganda e di organizzazione. Egli sentì la necessità di costituire un centro di azione, e perciò, sul principio del 1850, fondò in Montemurro un Comitato spiccatamente repubblicano, la cui influenza fu dapprima limitata, ma poi venne irragiandosi per la nostra Provincia e per quelle contermini”.
Non fondata, secondo ancora il Pedìo, è la comune opinione che nel giugno del 1857 Albini fece insorgere le popolazioni lucane in occasione dello sbarco di Carlo Pisacane a Sapri, in quanto detenuto a Napoli, proprio a causa dei sospetti rapporti con i radicali napoletani. Scrive lo storico: “…Scarcerato soltanto nell’agosto del 1957 e relegato in domicilio coatto a Montemurro. Tutto questo è ampiamente documentato nei registri di polizia. Giacomo Racioppi, però, e Michele Lacava sostengono che Giacinto Albini era in Basilicata sin dall’ottobre del 1856 per organizzare nella provincia la Società Nazionale e nel giugno del 1857, delegato dal Comitato Mazziniano di Napoli, per fare insorgere la provincia e accorrere in aiuto di Carlo Pisacane. È sorto così il mito di una Basilicata mazziniana pronta ad insorgere per sostenere il tentativo di Carlo Pisacane. A creare questo mito è stato Giacomo Racioppi il quale nel 1863 ha pubblicato lettere fornitegli da Decio, il figlio di Giacinto Albini, comprovanti la presenza del padre in Basilicata per organizzare la rivolta e accorrere incontro a Carlo Pisacane e seguirlo a Napoli”.
Agli inizi del 1858 Albini poté fare ritorno a Napoli e riaprire la sua scuola di diritto e di letteratura. Pur continuando a manifestare le sue simpatie per il movimento mazziniano, cui non aveva mai aderito, divenne uno dei più assidui collaboratori del clandestino Corriere di Napoli, organo del Comitato dell’Ordine o dell’Unità.
Va chiarito che allora nella capitale partenopea esistevano due comitati, quello dell’Ordine e quello d’Azione. Il primo raccoglieva elementi moderati, autonomisti e murattiani divenuti unitari; ad esso aderivano famiglie legate ai Borboni pronte a tradire il sovrano pur di mantenere, nel nuovo regime, una posizione preminente. Il secondo, invece, inglobava i mazziniani meridionali e molti dei vecchi affiliati alla setta dell’Unità Italiana.
Nel 1859 Giacinto Albini accettò di rappresentare in Basilicata il Comitato dell’Ordine, cercando di farvi aderire anche alcuni giovani lucani universitari a Napoli come i fratelli Pietro e Michele Lacava e un loro cugino, Carmine Senise, tutti di Corleto Perticara. Proprio ad un dialogo con questi giovani appartengono queste dichiarazioni dell’Albini: “Siete convinti ora che l’unica soluzione è quella di chiedere anche noi l’Unità d’Italia? Nessuna repubblica, ma una monarchia costituzionale con re Vittorio Emanuele”. Nemmeno l’ombra di una rivoluzione all’orizzonte, dunque, la quale, a dire di Albini, avrebbe portato solo anarchia, la terra sarebbe rimasta ai propri possessori, i contadini avrebbero continuato a lavorare ed i galantuomini a ricoprire le cariche pubbliche, abbandonando Francesco II ed accogliendo come re Vittorio Emanuele che avrebbe finalmente garantito pace e sicurezza.
Per realizzare tale progetto, dopo lo sbarco dei Mille a Marsala, il Comitato dell’Ordine accolse gli emissari piemontesi giunti a Napoli e con loro organizzò comitati e sezioni in tutte le province del Mezzogiorno. Giacinto Albini venne inviato in Calabria e delegò i fratelli Lacava e Carmine Senise in Basilicata. Nonostante le visioni opposte, il Comitato dell’Ordine e quello d’Azione, capeggiato da Nicola Mignogna, concordarono un piano comune per far insorgere le province meridionali. Si decise, strategicamente, di escludere quelle abruzzesi e pugliesi perché lontane da Napoli ed anche quelle in cui erano presenti le armate borboniche, come Cosenza, Avellino e Salerno.
L’unica provincia priva di un presidio militare era la Basilicata ed, inoltre, la natura del terreno e lo stato in cui erano tenute le strade rendevano lento e difficile l’intervento dell’esercito borbonico. Al fine di risolvere il problema della direzione politica, si decise di affidarla, in rappresentanza del Comitato dell’Ordine, a Giacinto Albini e, in rappresentanza di quello d’Azione, a Nicola Mignogna. Entrambi sarebbero poi diventati prodittatori del governo costituitosi a Potenza, nel palazzo Cicciotti, il 18 agosto del 1860. A prevalere, in realtà, fu proprio la linea tracciata dall’Albini dal momento che la mattina del 19 i potentini non videro più sul palazzo del Comune e su quello Cicciotti il tricolore senza alcune emblema sul bianco che avevano innalzato il giorno prima: esso, ritenuto repubblicano, era stato sostituito da quello con la croce sabauda sul bianco.
Diceva Albini rivolgendosi a Lacava e Senise: “Diffidate soltanto dei repubblicani. Essi vogliono farci credere di aver accettato il nostro programma. Costituiti nel Comitato d’Azione, essi sono oggi con noi nel volere l’unità d’Italia con Vittorio Emanuele. Ma bisogna diffidare di loro. Dovete impedire che assumano la direzione del nostro movimento”.
Può bastare questo per definire Albini un non repubblicano? È fortemente plausibile che il ruolo di Garibaldi e la presenza di Mignogna e Bodoni al suo fianco abbiano fatto prevalere in lui – per il senso pratico e la forte capacità di governare gli eventi che gli viene attribuita – la volontà di giungere all’obiettivo prioritario che era l’unità, comprendendo che la monarchia, per come stava andando avanti l’insurrezione nel meridione, era inevitabile.
Sotto consiglio di Mignogna, ai primi di settembre, Garibaldi decise di affidare proprio all’Albini il governo della Basilicata. Coadiuvato da Giacomo Racioppi, come primo provvedimento dichiarò decaduti i magistrati e funzionari borbonici.
Sebbene eletto deputato nel collegio di Lagonegro ed in quello di Melfi, l’Albini rinunciò al seggio e, entrato presto in contrasto con le direttive del potere centrale, preferì rimanere direttore della Stamperia Reale di Napoli e continuare l’attività politica prima a Napoli, di cui fu vicesindaco, e poi a Montemurro, di cui divenne sindaco. Non dimenticato, tuttavia, fu nominato Tesoriere generale della provincia di Benevento e poi Conservatore delle Ipoteche a Potenza, dove morì nel 1884.
Lasciando da parte qualsiasi impronta celebrativo - agiografica, quindi, la figura di Giacinto Albini appare perfettamente in linea con la visione politica liberal - moderata di Camillo Benso conte di Cavour e mostra, ancora una volta, come il processo di unificazione sia stato, per usare le parole di Marco Meriggi, un intreccio di fattori diversi ed in parte anche dissonanti. (M. C.)
FONTI
- Tommaso Pedio, “Saggio bibliografico sulla Basilicata – dalle origini del Risorgimento alla repressione del brigantaggio (1700 – 1870)”, Arnaldo Forni Editore, 1962.
- Tommaso Pedio, “Storia della Basilicata raccontata ai giovani – vol. 1”, Appia Editrice, Venosa, 1997.
- Tommaso Pedio, “Dizionario dei patrioti lucani – Artefici e oppositori: 1700 -1870, Vol. 1”, Vecchi & C. Editore, Trani, 1969.
- Raffaele Ciasca, “La Basilicata nel Risorgimento”, Calice Editori, Rionero, 1996.
- Saverio Cilibrizzi, I grandi lucani nella storia della nuova Italia, Conte Editore, Napoli s.d.
- Saverio Cilibrizzi, Il pensiero, l'azione e il martirio della città di Napoli nel Risorgimento italiano e nelle due guerre mondiali, Conte Editore, Napoli, 1961, p. 76.
- Gazzetta del Mezzogiorno del 18 agosto 2010 “Il contributo lucano al Risorgimento, prima prova di modernizzazione politica” di Nicola Lisanti in http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_le_analisi_NOTIZIA.php?IDCategoria=2682&IDNotizia=359022
- Gazzetta del Mezzogiorno “In nome di Giacinto Albini le celebrazioni in paese per i 150 dall’Unità” http://edicola.lagazzettadelmezzogiorno.it/olive/ode/GDM/LandingPage/LandingPage.aspx?href=R0RNLzIwMTAvMDkvMDc.&pageno=ODk.&entity=QXIwODkwMg..&view=ZW50aXR5
- Paolo Emilio Bilotti, La Spedizione di Sapri, da Genova a Sanza, Salerno 1907.