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Francesco Lomonaco: un precursore del Risorgimento

09 dicembre 2010

© 2013 - Francesco Lomonaco

© 2013 - Francesco Lomonaco

(ACR) - Nel “Dizionario dei patrioti lucani”, Tommaso Pedio cita almeno tre Francesco Lomonaco. Tutti, in misura diversa, hanno contribuito alla causa dell’Unità d’Italia made in Basilicata. Tutti e tre, scherzo del destino, nacquero in momenti diversi in quel di Montalbano Jonico. Pedio li elenca a partire da quel Francesco (1780 – 1823), affiliato alla Carboneria, che fu accusato di “cospirazione contro la sicurezza dello Stato” e condannato a morte spirò in carcere a Potenza a soli 43 anni.

Poi lo storico passa a descrivere l’azione politica di un altro Francesco (1833 – 1887) che aderì al Comitato dell’Ordine e fu membro insurrezionale della Giunta del suo paese. Divenne sindaco di Montalbano (1861 – 1880) e ricoprì importanti cariche parlamentari.

L’ultimo dei Francesco Lomonaco (1772 – 1810) è di sicuro il più importante, per l’influenza culturale e politica che esercitò nella fase immediatamente pre – risorgimentale. Un suo busto marmoreo, opera dell'architetto Vito Pardo, fu collocato al Pincio a Roma, dove è custodito il Pantheon del Risorgimento italiano, il 22 novembre 1911, alla presenza dei sindaci dell'epoca di Montalbano, Antonio Bonelli, e di Roma, Ernesto Nathan.

Già da piccolo mostra i segni di una febbrile necessità di conoscenza. G. Mazzilli, che di Lomonaco fu biografo, precisa: “Del suo amore allo studio fanno fede i racconti che la famiglia ci ha tramandato, che cioè il padre dové mettere remora all’eccessivo lavoro del fanciullo, il quale, per sfuggire all’attenzione paterna, di giorno si nascondeva in una grotta presso l’abitato di Montalbano, e di notte con i moccoli di candela, che si procurava dal sagrestano della chiesa del Comune, studiava sotto il letto del padre”.

Anche lo storico Tommaso Russo ha rilevato: “È certamente un ragazzo precoce se a nove anni traduce difficilissimi brani dal latino e se, a sedici anni, conosce l’italiano, il latino, il greco, la filosofia, le matematiche, la fisica, l’ebraico”.

A 19 anni Francesco si trasferisce a Napoli per intraprendere gli studi in Giurisprudenza. Parallelamente, studia anche Medicina.

Lomonaco da subito evidenzia il suo ardore e impegno politico scrivendo il “Rapporto al cittadino Carnot” in cui descrive gli orrori perpetrati alla caduta della Repubblica partenopea. Scrive proprio il lucano: “Basta dire che, dopo l’invasione dei briganti regalisti non si risparmiò né l’innocenza dell’infanzia, né l’impotenza della vecchiaia, né gl’incanti del sesso, né l’eminenza del merito e del talento. Basta dire, che nel secolo decimottavo, Scotti, Ciaja, Caracciolo, Pagano, Cirillo, Conforti, Russo ed innumerevoli altri non meno celebri spirarono sotto i colpi del dispotismo, come i Gracchi, Barnevelt e Sidney, per oggetto della felicità umana. Basta dire, in una parola, che in Napoli la tirannia andò a galla sul sangue di mezza generazione; e che una zona torrida racchiuse nel suo vortice infuocato l’intero territorio napoletano”.

“Capelli e ciglia castagni, scuri occhi cervoni, viso bislungo tarlato di vajolo, naso grosso”, così lo descrive la polizia borbonica in una sorta di identikit ante litteram. Ricercato dalla polizia borbonica, scappa prima Marsiglia, poi a Parigi e definitivamente a Milano.

In circa tre anni (dal 1801 al 1804) pubblica tre importanti trattati filosofici e medici di grande influenza sulla scena letteraria e politica del tempo. Ad iniziare dalla “Analisi della sensibilità” in cui scrive: “Sicché le nazioni che hanno il sentimento della indipendenza, preferiscono alla quiete vegetazione della servitù la vita tempestosa della libertà. Quanto sangue scorse nella Grecia, per non vedersi spezzato quell’idolo, che le lingue della schiavitù chiamano chimera? Il popolo di Roma quante volte si appartò dalle mura della Città per sostenere i suoi diritti in faccia alle usurpazioni da’ nobili? Quanti sacrifici hanno fatto gli Olandesi e gli Americani per innalzare il soglio della loro sovranità?”.

Nello scritto, se da un lato si scorge ben evidente l’auspicio in base al quale “è d’uopo che l’Italia sia fusa in un sol governo, facendo un fascio di forze… realizzandosi questa idea, gli italiani avendo nazione, acquisteranno spirito di nazionalità… giacché guai a quella nazione che per dirigere i suoi affari domestici ha bisogno del soccorso altrui”, dall’altro, proprio nell’Analisi, Lomonaco non nasconde le enormi difficoltà, peraltro a tutt’oggi non risolte, dovute alle divisioni culturali, sociali e economiche tra le regioni italiane: “Il Napoletano, il Romano, il Toscano, il Lombardo, ecc., se non si odiano, si stimano poco. L’uno disprezza l’altro. Benché siano tutti Italiani pure si stimano forestieri scambievolmente, per cui si vede che un Italiano vada cercando l’Italia nella stessa Italia”.

Ospite a Milano di Ugo Foscolo (così almeno sembra) esercita grande fascino e influenza anche sul giovane Alessandro Manzoni (“giovine pieno di poetico ingegno ed amicissimo dell’autore”) che proprio dalla lettura del Rapporto al cittadino Carnot fu ispirato per la composizione del poemetto “Il trionfo della libertà”. Inoltre, il Manzoni dedicò al lucano il sonetto “A Francesco Lomonaco per la “Vita di Dante”: “Tal premii, Italia, i tuoi migliori/e poi/Che pro se piangi, e ’l cener freddo adori/ E al nome voto onor divini fai?”.

La poesia è contenuta nelle “Vite degli eccellenti Italiani”, in cui lo stesso Lomonaco, prima di dedicare pagine a Dante, Petrarca, Boccaccio ecc., precisa: “Avrei creduto avvilire i sommi personaggi, cui queste vite appartengono, se in fronte delle mie pagine avessi messo il nome di qualche meschino e codardo patrizio, o di alcun principe invasato nella ignavia e nel delitto. A te dunque, degna madre di tanti chiari intelletti, a Te, maestra dell’europee nazioni, a Te, Italia mia, io intitolo questo lavoro”.

Sarà proprio Manzoni a spingerlo verso la cattedra di Storia e Geografia nella scuola militare di Pavia. “A favore di un uomo che stimo ed amo per la sua probità”, scriverà l’autore dei “Promessi Sposi”, nella lettera di credenziali inviata al poeta e amico Vincenzo Monti.

Dopo aver pubblicato nel 1804 “Le vite dei famosi capitani d’Italia”, Lomonaco avrebbe dato alle stampe nel 1809 i “Discorsi letterari e filosofici”. L’opera della vita, in tutti i sensi. Le avversioni incontrate e le opposizioni per le idee sociali e politiche espresse furono così insistenti che causarono nell’autore una grave depressione.

Scrive Pedio a tal riguardo: “Il suo insegnamento, improntato ad aspra critica all’operato francese e ad alto sentimento democratico, richiamò l’attenzione del potere costituito che nel 1809 fece sequestrare i suoi Discorsi letterari e filosofici pubblicati in quell’anno e nei quali si sostiene la necessità di dare l’indipendenza e l’unità alla “Nazione Italiana”.

Lomonaco è sconfortato e amareggiato per aver incontrato così tante e durissime critiche. In una toccante e disperata lettera al fratello scrive: “Se vissi sempre indipendente e glorioso, voglio morire indipendente e gloriosissimo: so che questo passo fatale vi amareggia immensamente; ma
col fato non lice dar di cozzo. Arrivederci all’altra vita. Ciccio”. E così fu.

Come scrisse Manzoni in un articolo del Corriere della Sera, Francesco Lomonaco “morì filosoficamente”. Quel giorno del settembre 1810 uscì di casa. Raggiunse la riva del Navigliaccio presso San Lanfranco e si tuffò nella corrente. Qualcuno cercò pure di salvargli la vita, ma invano.

Ad ucciderlo, con ogni probabilità, furono le violente critiche e ferventi polemiche suscitate dal suo scritto. Fu avversato per le riflessioni politiche, ma anche per le prese di posizione contro la società lombarda del tempo, ritenuta ipocrita e servitrice. Lomonaco scrisse pagine durissime anche contro l’universo femminile, disprezzato a piè sospinto. Pur tuttavia, rimane, quella del filosofo lucano una lezione di vita, di impegno politico e di dedizione culturale vivida e di inaspettata attualità. Nonostante, per dirla col Manzoni, un’Italia “pentita sempre, e non cangiata mai”. (M. C.)


Fonti:

  • Tommaso Pedio, Dizionario dei patrioti lucani, artefici e oppositori, (1700 – 1870) Vol. III, Bari, 1979.
  • G. Mazzilli, Della vita, degli scritti e del pensiero filosofico e civile di F. Lomonaco, Stab. Tipografico A. Lodeserto, Taranto, 1913)
  • Tommaso Russo, L’Utopia e la morte nel pensiero di Francesco Lomonaco (con “L’Analisi della sensibilità”, di Francesco Lomonaco), Biblioteca di Basilicata, Basilicata Editrice, Matera, 1983
  • Francesco Lomonaco, Vite degli eccellenti Italiani, Tipografia Ruggia & C, 1836, testo digitalizzato in http://books.google.it
  • Francesco Lomonaco, La più bella contrada della terra, in http://www.comune.montalbano.mt.it/files/appunti20lett20parte2011_lomonaco.pdf
  • Basilicata: Folino, Bicentenario Lomonaco evento per popolo lucano in
    http://www.asca.it/regioni-basilicata__folino__bicentenario_lomonaco_evento_per_popolo_lucano-535912-basilicata-2.html
     

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