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Il ruolo di Nicola Mignogna nei moti lucani
09 dicembre 2010
(ACR) - Nicola Mignogna non era lucano, ma era come se lo fosse. Preparò il terreno per l’insurrezione lucana e fu pure referente di Garibaldi. Se Giacinto Albini rappresentò l’anima più conciliatrice e moderata del movimento insurrezionale, Nicola Mignogna era l’esatto opposto. Se l’Albini diresse il Comitato dell’Ordine, Mignogna non potette che guidare il Comitato d’Azione. Se Giacinto gridava: “Italia e Vittorio Emanuele”, Nicola non poteva che rispondere: “Viva Garibaldi”. Ci sarebbe voluto un altro grande mediatore, Emilio Petruccelli, che col suo “Italia e Vittorio Emanuele, viva Garibaldi”, avrebbe messo tutti d’accordo.
Nato a Taranto il 28 dicembre 1808, Mignogna si laureò in Giurisprudenza a Napoli. Le cronache storiche raccontano che “dal 1836 fece parte della Giovane Italia di cui presiedeva il comitato napoletano. Molto amico di Luigi Settembrini, partecipò a Napoli ai moti del 1848, fu processato e nel 1855 fu condannato all'esilio perpetuo del regno delle Due Sicilie. Riparato a Genova, nel 1860 si arruolò tra i Mille, dove Giuseppe Garibaldi lo definì ‘uomo puro’, tanto da nominarlo tesoriere della spedizione. A Palermo ricevette da Garibaldi l'ordine di partire per le regioni meridionali col compito di preparare il terreno”.
Mignogna partecipò in maniera attiva alla sollevazione della Basilicata. Con una missiva datata 31 luglio 1860, Giuseppe Garibaldi scriveva: “Caro Mignogna, io prima del 15 agosto spero di essere in Calabria. Ogni movimento rivoluzionario, operato nelle Provincie Napoletane, in questa quindicina, non solo sarà utilissimo, ma darà una tinta di lealtà in faccia alla Diplomazia, al mio passaggio sul Continente. Qualunque uffizziale dell’Esercito Napoletano, che si pronunzii pel movimento nazionale, sarà accolto fraternamente nelle nostre file, col proprio grado, e promosso, secondo il merito. Dite ai vostri prodi del continente Napoletano che, presto, saremo insieme a cementare la sospirata, da tanti secoli, Nazionalità Italiana”.
Come narra Tommaso Pedìo, a Genova Mignogna incontra Emilio Petruccelli. Entrambi si recano a Napoli e il 5 agosto convocano il Comitato d’Azione. In seguito, i due comitati si incontrano e concordano un comune piano d’azione. Si discute molto sull’argomento: da quale delle province napoletane bisognerà far nascere l’insurrezione. Escluse quelle abruzzesi e pugliesi, ritenute molto distanti da Napoli; non considerate quelle di Avellino e Salerno, perché presidiate da reparti dell’esercito borbonico, la scelta non può che cadere sulla Basilicata. Ed è proprio la regione di Albini a fare da miccia. Tra l’altro, proprio a causa della natura del terreno e della viabilità martoriata (cruccio lucano ancora attuale) gli organizzatori ritengono che queste condizioni favoriranno il successo degli insorti a discapito dell’azione dell’esercito.
Scrive Pedìo: “Il Comitato d’Azione vorrebbe affidare a Nicola Mignogna il comando della insurrezione. La proposta non viene accettata dal Comitato dell’Ordine. Alla fine si trova una soluzione: la direzione politica viene affidata a Mignogna e a Giacinto Albini, il primo in rappresentanza del Comitato d’Azione, il secondo di quello dell’Ordine. Essi si recheranno subito a Corleto Perticara dove è il centro da cui deve partire l’insurrezione”.
Al di là della disputa sul paese dal quale originarono i moti lucani (Pedìo sostiene che il primo paese ad insorgere non fu Corleto, bensì Tramutola, ignorata dalle ricostruzioni storiche di Giacomo Racioppi e Michele Lacava perché, a suo dire, la spontanea iniziativa degli unitari di Tramutola avrebbe sminuito il merito e la gloria che essi attribuiscono al Comitato Insurrezionale Lucano di cui hanno fatto parte), di certo il 16 agosto fu proclamata la rivoluzione. Scrive Giorgio Mallamaci al riguardo: “Ormai il momento era propizio, bisognava uscire allo scoperto, da casa Senise si mosse il drappello rivoluzionario, preceduto dalla bandiera tricolore, con la croce dei Savoia. I tre rappresentanti del comitato, insieme al sacerdote i cittadini che erano accorsi dai paesi limitrofi ad arruolarsi come volontari nell’esercito di liberazione per insorgere contro i Borboni. Il primo drappello d’insorti, giunto a Corleto, fu quello di Pietrapertosa, comandato da Francesco Garaguso; un’altra colonna proveniva da Genzano, sotto il comando di Davide Mennuni; ed un’altra ancora da Avigliano agli ordini del sacerdote Nicola Mancuso, in tutto duecento uomini. Seguirono quella di Gallicchio sotto il comando di Gianbattista Robilotta, di Misanello capeggiata da Rocco De Petruccellis, di Montemurro al seguito di Nicola Albini e di Spinoso capitanata da Pietro Bonari”. Gli insorti, sotto la guida del colonnello Camillo Boldoni, partirono alla volta del capoluogo Potenza dove arrivarono, accolti dalla cittadina, il 18 agosto.
Nel pomeriggio dello stesso giorno, nel palazzo Ciccotti si costituisce il Governo Prodittatoriale di Basilicata. Ancora una volta si ripropone il dualismo Albini/Mignogna. Infatti, a rappresentare il Comitato dell’Ordine e d’Azione saranno, rispettivamente, Giacinto Albini e Nicola Mignogna. Ma non è del tutto finita, perché in sede di nomina dei responsabili dei vari uffici amministrativi, si consuma un altro scontro tra i due antagonisti amici. Rocco Brienza e Mignogna non ritengono opportuno che si nominino uomini considerati “ultimi arrivati”. Alla fine, entrambi soccombono e vengono messi in minoranza da Albini e Boldoni.
Mignogna, quale emissario di Garibaldi, ebbe lo storico compito, condiviso con Pietro La Cava, di accoglierlo in Basilicata. Il 4 settembre 1860 il Generale giunse in una località denominata “Fortino di Lagonegro”. Come precisa Mallamaci, i due “porsero gli omaggi del Governo Lucano e gli consegnarono a nome del popolo lucano seimila ducati. Il Generale accettò tale somma, per poi devolverla in sussidi nei confronti dei soldati borbonici che avevano abbandonato le truppe ed erano allo sbando in ritirata verso Napoli”.
Come sostenne Liborio Romano: “L’insurrezione di Basilicata si fece senza armi, avverandosi l'adagio che furar arma ministrai. Quanto a danaro si spesero da circa 100 mila lire, di cui 12 mila furono spedite a Corleto dal comitato di Puglia per disposizione dell'antico comitato - Ordine di Napoli: 75 mila raccolte nella provincia e il resto portato dall'Albini da Napoli e datigli dal nuovo comitato - Ordine. Queste ultime non bisognarono poiché furono rimandate in Napoli dall'Albini”.
Nicola Mignogna nel 1862 seguì ancora Giuseppe Garibaldi in Aspromonte. Fece parte del Consiglio Comunale di Napoli, poi rifiutò la candidatura a deputato per le sue ristrettezze finanziarie. Fu sottoprefetto a Gallipoli (Le) e Sindaco di Taranto dal 1867 al 1869. Morì il 31 gennaio 1870 a Giugliano in Campania. Le cronache raccontano che “si mantenne fino all'ultimo fedele ai suoi principi e, in punto di morte, l'ultima parola da lui pronunciata fu: ‘A Roma’”.
Fonti:
- Tommaso Pedio “Storia della Basilicata raccontata ai giovani, vol. 1”. Appia 2 Editrice, Venosa, 1997.
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Edizione nazionale degli scritti di Giuseppe Garibaldi: Epistolario, vol. 6, 1861-1862
Volume 12 di Edizione nazionale degli scritti di Giuseppe Garibaldi, Editore L. Cappelli, 1983 - Giuseppe Pupino-Carbonelli, Nicola Mignogna nella storia dell' unità d'Italia: con lettere inedite di Mazzini, Garibaldi, Fabrizi, Settembrini, Bertani, Villamarina, Editore A. Morano, 1880.
- Nicolò Mignogna in Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Nicol%C3%B2_Mignogna
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Giorgio Mallamaci, Omaggio del popolo lucano al generale Garibaldi nel duecentesimo anno dalla nascita, Edizioni universitarie romane, 2007, Gaya Srl