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La riapertura del Convento dei Cappuccini a Picerno

09 dicembre 2010

© 2013 - Il Convento dei Cappuccini a Picerno

© 2013 - Il Convento dei Cappuccini a Picerno

(ACR) - Dopo circa un secolo e mezzo di inattività e conseguente degrado è stato riaperto ai fedeli il convento dei cappuccini di Picerno, risalente al 1596. Il restauro è stato possibile grazie ad una ingente donazione (circa 200 mila euro) da parte di Caterina Marcantonio Scarilli, una signora picernese di 78 anni. Caterina, a 37 anni dalla scomparsa della figlia Orsola e dopo una vita trascorsa ad aiutare i poveri, i missionari e gli extracomunitari bisognosi, ha deciso di utilizzare tutti i suoi averi nella realizzazione di un’opera per la sua gente e per la chiesa, in suffragio della figlia. La donna si è così rivolta al nipote, Rocco Caggiano, affidandogli la direzione dei lavori di ristrutturazione dell'ex convento francescano dedicato a S. Antonio da Padova. Dopo due anni di restauro, che ha coinvolto esclusivamente ditte e privati del paese, l'edificio situato in via don Minzoni a ridosso del cimitero comunale è stato inaugurato lo scorso 25 settembre alla presenza dell'arciprete parroco di Picerno don Donato Ferraro, dell'arcivescovo della diocesi di Potenza - Muro Lucano - Marsico Nuovo, mons. Agostino Superbo, e delle autorità politiche locali. Il convento, si legge nella targa di inaugurazione, è “destinato all’educazione cristiana delle nuove generazioni”: vi si recano, infatti, i circa 300 bambini della scuola primaria e media inferiore a frequentare la catechesi. Nel fine settimana l’edificio funziona dunque come centro di accoglienza parrocchiale e di aggregazione giovanile. “Non è stato facile recuperare tutti gli ambienti così come erano all'origine - ha spiegato Caggiano - la struttura lasciata per così tanti anni in stato di abbandono versava in condizioni critiche e di forte degrado. Ma alla fine ce l'abbiamo fatta, grazie anche ai cittadini picernesi, e alle tante donne che hanno prestato il loro aiuto in modo volontario”. L'intera struttura è stata rimessa a posto mantenendo la divisione originale degli ambienti. L'ingresso principale del convento è dalla annessa chiesa di S. Antonio, ma è presente anche un’altra entrata, dal giardino laterale con al centro la statua di S. Francesco. L’edificio, molto grande e di forma quadrata, si distribuisce su due livelli. Al piano terra, si trova l'ufficio del parroco, il refettorio (dove nei secoli XVI e XVII i frati consumavano i pasti) o “stanza degli affreschi”, parzialmente recuperati, che rappresentano scene della vita del Redentore; poi c’è la cucina, la foresteria, alcune stanze un tempo adibite a depositi di legna e provviste, e il chiostro, da cui si accede ai locali conventuali, che conserva al centro l’antico pozzo. Al primo piano, si trova l'antica biblioteca (oggi rinominata “Sala Giovanni Paolo II”), alcune altre aule tra cui il coro con un organo in disuso, e le celle dei frati, 15 in tutto (originariamente erano 16). Queste verranno arredate con un letto, uno scrittoio, un comodino e una cassettiera ciascuna, nel caso un giorno auspicalmente si decidesse di farvi giungere dei frati da lontano. A parte le cellette, tutti gli altri ambienti sono quasi completamente arredati, e non mancano i servizi.


Storia del Convento

La costruzione del convento risale al XVI secolo. Fu infatti nel 1588 che, durante il periodo quaresimale, il vicario generale dell'ordine francescano, padre Gerolamo da Polizzi, in visita ai conventi lucani, propose l'erezione di un convento a Picerno. La proposta fu accolta con grande entusiasmo dalla gente, che seppe testimoniare la propria devozione al poverello di Assisi, offrendo quanto ognuno poteva per rendere possibile la realizzazione dell'opera. Due anni dopo cominciò la costruzione dell'edificio nell'allora contrada Paschiero, uno dei posti più ameni e solitari del paese, ricco di verde ed acqua, cui si giungeva attraverso un impervio viottolo. La struttura era molto semplice, conforme allo spirito dell’altissima povertà dell'ordine: la chiesa, ad una sola navata e con unico altare, fu dedicata a S. Francesco; il convento contava sedici celle oltre ai locali al piano terra. Tutti gli altri locali risalgono ad un periodo successivo, forse agli ultimi anni del secolo XVII o ai primi del XVIII. Riferisce la storica lucana Giuseppina Caivano Bianchini: “Di una semplicità tutta francescana, vennero dapprima costruite la chiesa con una sola navata ed un solo altare centrale, dedicato a San Francesco, il piano terreno del chiostro e le sedici cellette disposte lungo i quattro corridoi che ricevono luce dai portici prospicienti l'atrio interno di forma quadrata. Condotti a termine i lavori in breve tempo, il chiostro vide, nel 1596, il costituirsi della famiglia francescana. Seguì, nel secolo XVII, l'erezione di tre cappelle sul lato sinistro della navata principale e di altri locali sovrastanti”.

Il convento divenne, in seguito alla istituzione della biblioteca, un fervente luogo di cultura filosofica, dedicato principalmente allo studio della logica. Per breve tempo, dal 1625 al 1627, funzionò anche da noviziato e ne era maestro padre Stefano da Muro. La tranquilla vita della comunità conventuale si svolse tranquillamente fino al periodo delle repressioni: sotto il governo napoleonico di Gioacchino Murat venne ridotto il numero dei frati a 4 sacerdoti e 5 laici, mentre in seguito alle leggi soppressive del 1861-66 successive alla formazione del Regno d’Italia il convento fu definitivamente chiuso. I frati rimasti vennero mandati a Marsico Nuovo. Solo successivamente, a seguito del malcontento della popolazione, fu riaperta al culto la chiesa. Buona parte dell'orto retrostante il convento venne adibita a cimitero comunale. Il terremoto del 1857 danneggiò molto il chiostro; quello del 1980, infine, ha provocato ulteriori danni al monumento che già prima, per mancanza di interventi di manutenzione, versava in condizioni di forte degrado. Molti i “guardiani” che si sono succeduti alla guida del convento di Picerno, a testimonianza dell’importante valore culturale che l’istituto con la sua biblioteca doveva rappresentare. Nel 1599 ne era guardiano padre Vincenzo da Policastro al quale successe, tre anni dopo, Gabriele da Salerno. Nel 1605 padre Remigio da Pescopagano, nel 1608 Cherubino da Salerno, e nel 1613 Fabiano da Vietri di Potenza. Padre Damasco da Lacedonia, uno dei più illustri cappuccini della Lucania, reggeva il convento nel 1618; Serafino da Muro nel 1633; Giacomo da Calitri nel 1650. A questo punto si apre una lunga lacuna fino al 1761, anno in cui troviamo un nuovo guardiano, padre Filippo da S. Rufo. Poi ancora una lacuna fino al 1830 e 1836, quando troviamo padre Fedele da Caggiano; infine nel 1842, prima della Repressione italiana, risulta maestro Filippo da Muro. Alla chiusura, nel 1866, il convento contava 6 sacerdoti e 3 laici che, come detto, furono trasferiti a Marsico Nuovo.


Le biblioteche cappuccine

L’ordine dei cappuccini, nato nei primi decenni del Cinquecento come riforma della grande famiglia francescana, aveva come motivazione e scopo principalmente l’osservanza rigorosa della regola di S. Francesco, soprattutto per quanto riguardava la povertà, la preghiera, l’austerità di vita, l’assistenza caritativa e l’apostolato itinerante. L'ordine dava una particolare importanza alla contemplazione e alla vita ritirata, con chiara tendenza, almeno nei primi momenti, all’eremitismo. La stessa originaria denominazione della nuova riforma francescana indicava i suoi membri come “frati minori della vita eremitica”, e il loro proposito, fissato nella formulazione della bolla Religionis zelus del 3 luglio 1528, era “eremiticam vitam ducere et, quantum humana patitur fragilitas, regulam beati Francisci observare”, cioè “condurre una vita eremitica e osservare la regola del beato Francesco, per quanto lo consenta l’umana debolezza”. Tuttavia, all’iniziale tendenza rigorista, eremitica e contemplativa della prima generazione, seguì un successivo recupero del valore dello studio, con l’istituzione di scuole e biblioteche in alcuni conventi della provincia cappuccina salernitano - lucana, come a Picerno, ma anche a Melfi, Saponara, Ferrandina, Muro Lucano, Sala Consilina, Montecorvino e Campagna. I “luoghi di studio” erano tre, destinati rispettivamente all’insegnamento della logica a Saponara (Grumento Nova), Ferrandina, Campagna e Montecorvino Rovella; della filosofia a Ferrandina e Sala Consilina; della teologia a Melfi, Muro Lucano, Campagna, Vallo di Novi. A Picerno si studiava la logica. Le biblioteche diventarono dunque a tutti gli effetti il luogo privilegiato per la formazione e la trasmissione culturale. Va detto però che l’ordine fin dagli inizi ne ha sempre condizionato la composizione e l'uso, uniformandoli alle esigenze e alle limitazioni di uno stile di vita povero e austero: per questo si tendeva a ridurre drasticamente l’uso di libri personali e a privilegiare regolarmente la fruizione comunitaria dei beni librari. Le costituzioni di Roma - S. Eufemia del 1535-1536 recitano: “E perché sempre fu intentione del nostro dolce padre che li necessari libri de’ frati si avessino in comune e non in particolare, per meglio observare la povertà e removere dal core de’ frati ogni affetto e particolarità, se ordina che in ogni nostro loco sia una piccola stantia, ne la quale se habbia la Scriptura sacra e alcuni santi doctori”. Tutti i libri quindi dovevano essere conservati in questa piccola “stantia”. Da essa comunque dovevano essere rimossi “li libri inutili de’ gentili, li quali più presto fanno l’huomo pagano che cristiano”. Nelle “librarie” salernitano - lucane gli unici autori classici erano Cicerone, Ovidio, Virgilio e Sallustio. Esistevano vari esemplari di grammatiche e dizionari ebraici, greci, latini e volgari. Scarsissima era anche la presenza di testi letterari italiani: in tutta la provincia ritroviamo soltanto una Divina Commedia di Dante Alighieri e un esemplare delle Rime del Petrarca. Numerosi erano i commentari biblici, sia sull’Antico che sul Nuovo Testamento, le opere agiografiche, la letteratura patristica greca e latina, le opere francescane e in genere molta oratoria sacra. L'intero patrimonio librario delle biblioteche dei conventi della provincia salernitano-lucana tra Cinque e Seicento, ad esempio, contava 2.474 volumi, custoditi nei 26 conventi. Nella biblioteca del convento di Salerno, il più importante nella provincia, erano conservati 334 volumi, a Melfi 198, a Saponara 160, a Lagonegro 147, a Potenza 135, a Marsico Nuovo 111, a Sicignano degli Alburni 109, a Campagna 100. Tutti gli altri conventi avevano negli scaffali delle loro biblioteche meno di 100 volumi.


La biblioteca di Picerno

La biblioteca del convento dei cappuccini, luogo di studio principalmente della logica, possedeva tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento 64 volumi, catalogati nell’inventario vaticano (Biblioteca Apostolica Vaticana, cod. Vat. lat. 11322, f. 131r-218r) compilato proprio in quel periodo. Ovviamente si tratta di un posseduto provvisorio, limitato alle acquisizioni fatte nei primi anni di vita del convento, ma è utile per capire gli orientamenti filosofici che condizionavano gli studi dei frati. Esaminando il codice, notiamo che il convento possedeva varie opere agiografiche e commentari ai vangeli, un dizionario del volgare e del latino, croniche francescane e testi di autori dell'ordine, come Antonio de Guevara (Oratoria religiosorum), Cornelio Musso vescovo di Bitonto e monsignor Cacciaguerra (Tractatus de tribulatione). La biblioteca possedeva anche molta letteratura patristica latina (i Sermones ad haeremitas di S. Agostino, le Meditationes di S. Bernardo e le Epistolae di S. Girolamo) e greca (Giovanni Crisostomo), testi di filosofia e teologia medievale e moderna (Tommaso De Vio detto il Caietano), opere di autori cappuccini (Girolamo del Sorbo e Gregorio lo Scalzo da Napoli), e, naturalmente, volumi di logica medievale e moderna (Pietro Ispano, Paolo Veneto, Agostino Nifo detto il Suessano, il Sarnano e Antonio Vivolo). Purtroppo, come scrive la storica Caivano Bianchini, alcune opere sono andate perdute: «smembratasi la famiglia francescana, molti volumi della ricca biblioteca andarono dispersi, una gran parte fortunatamente fu salvata dall'Arciprete del tempo e custoditi nell'Archivio parrocchiale della chiesa madre». Di volumi dell'antica biblioteca sopravvissuti fino ad oggi, purtroppo, non ce ne sono - ci dice l'arciprete parroco del paese don Donato Ferraro - poiché con il passare dei secoli e a causa delle calamità naturali che hanno investito l’edificio (un incendio, 2 terremoti), l’intero patrimonio librario è andato distrutto. La ristrutturazione del convento ne ha riportato in vita l’antica memoria, ignorata a lungo, ma presente oggi negli animi della popolazione picernese. (F. R.)


Fonti:

  • Giuseppina Caivano Bianchini, Una cittadina del Mezzogiorno d’Italia: Picerno. Note ed appunti di storia municipale, Editrice salentina, Galatina (Le) 1977;
  • Antonio Capano, Beni culturali a Picerno e nel suo territorio. Catalogo della mostra: Picerno, giugno-luglio 1989, CGM, Agropoli (Sa) 1989;
  • Vincenzo Criscuolo, I frati minori cappuccini in Basilicata e nel Salernitano fra ‘500 e ‘600, Istituto storico dei Cappuccini, Roma 1999;
  • Giuseppe Pronesti, Chiese, archivio e biblioteca della parrocchia di S. Nicola di Bari, Picerno, Societa Tipografica Editrice Sud, Potenza 2000.
     

Redazione Consiglio Informa

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