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(ACR) BENIAMINO PLACIDO INTELLETTUALE E GIORNALISTA

16 aprile 2010

"Nei suoi 80 anni di vita Placido di cose ne ha fatte davvero tante. A noi resta il piacere di ripercorrere la sua opera, il suo lavoro di fine intellettuale e di grande osservatore della realtà"

(ACR) - Febbraio 1929: a Roma si firmavano i Patti Lateranensi tra l’Italia e la Santa Sede. Ottobre dello stesso anno: il crollo della borsa americana di Wall Street darà il via alla più grave crisi economica dei tempi moderni. In mezzo il 15 maggio, sempre del 1929: a Rionero in Vulture nasceva Beniamino Placido. Forse la capacità di lasciare un segno uno se la porta dietro già dalla nascita, scritta nel destino. E vedere la luce in un anno così particolare non può che rappresentare un segno di una vita fuori dal comune. Al di là delle forzature giornalistiche e dei paradossi, che al contrario tanto piacevano allo scrittore e giornalista lucano storico collaboratore del quotidiano “La Repubblica”, nei suoi 80 anni di vita Placido di cose ne ha fatte davvero tante. A portarselo via è stata una lunga malattia terminata il giorno della Befana del 2010 nella sua casa di Cambridge, in Inghilterra. Con lui, vicina fino all’ultimo momento, la figlia Barbara. A noi resta il piacere di ripercorrere la sua opera, il suo lavoro di fine intellettuale e di grande osservatore della realtà. “Affacciati alla finestra del mondo”, come lui stesso amava definire il suo modo di concepire il mestiere di scrivere.

DAL PARLAMENTO ALLA TELEVISIONE

Nato a Rionero in Vulture, a due passi da Potenza, nella stessa cittadina di Giustino Fortunato. Della sua famiglia ha sempre ricordato il tratto contadino e l’umiltà anche se, a distanza di qualche anno, da suo cugino nascerà un volto noto del cinema e della televisione italiana come l’attore e regista Michele Placido. Con alla spalle un brillante percorso di studi classici, Beniamino Placido lascia la Basilicata per trasferirsi a Roma negli anni cinquanta. Vince, infatti, un concorso per ricoprire la carica di consigliere parlamentare della camera dei Deputati, con la titolarità dell’ufficio di segreteria della Commissione agricoltura. Negli anni sessanta, però, decide di andare negli Stati Uniti per studiare la letteratura angloamericana. Una scelta felice, che gli varrà una cattedra all’università La Sapienza di Roma come grande conoscitore della materia, e che segnerà anche la fine della sua esperienza amministrativa parlamentare.

Non fu mai un accademico nel senso letterale del termine. Al contrario amici e allievi lo ricordano come un professore simpatico e colloquiale. Anche nel vestire, con le sue giacche cadenti sulle spalle, fuggiva l’aria da snob e le parrucche da erudito. La sua passione per la pagina stampata lo portò anche a fare un’esperienza diretta nel settore. Dal 1994 al 1998, infatti, fu consulente del Salone del Libro di Torino. Amava il nuovo e per questo si innamorò della televisione e del suo linguaggio: giudicando e, soprattutto, interpretando. Nell’estate del 1962 recensisce sul “Il Mondo” di Mario Pannunzio, il saggio di Cesare Mannucci dedicato alla radiotelevisione e alla comunicazione di massa “Lo spettatore senza libertà” (Laterza). Probabilmente è il suo esordio con un argomento a cui darà un contributo di inestimabile intelligenza. Di nuovo un oroscopo del futuro che lo attende.

LA REPUBBLICA “A PARER MIO”

E’ il 21 gennaio del 1976 quando Beniamino Palcido inizia la sua lunga collaborazione con il quotidiano “La Repubblica”. Solo pochi giorni dal debutto in edicola del giornale fondato e diretto da Eugenio Scalfari. A capo degli “spettacoli” c’era Orazio Gavioli, mentre alla “cultura” Enzo Golino. La sede era ancora quella storica di Piazza Indipendenza a Roma. Il suo primo articolo titola: “Il corpo è mio e me lo tengo”. E’ la recensione di “Paura di volare”, il romanzo di Erica Jong tradotto in Italia da Bompiani.

La novità editoriale di questo quotidiano piacque molto a Placido, che si trovò a suo agio con quello stile poco ingessato, ma fortemente attento ai fenomeni nuovi. Il rapporto cresce ed evolve, tanto che nel giro di una decina d’anni, nel 1986, Placido inaugura sulle colonne di quello stesso giornale una rubrica che ha fatto storia: “A parer mio”. Un vero e proprio cult. Un appuntamento quasi quotidiano di critica televisiva amato visceralmente dai lettori, invidiato e seguito dagli addetti ai lavori. Le sue recensioni premiavano spesso l’esordiente, il protagonista alle prime armi, chi faticava a farsi largo. In tv era pronto a cogliere il dettaglio, l’inquadratura che racconta tutta una storia. Più di 1500 articoli dal taglio inconfondibile, una scrittura attenta e informata, uno stile mai banale.

Su tutti due esempi, citati nei giorni successivi alla sua morte da alcuni suoi vecchi colleghi, proprio sulle pagine che lo videro protagonista. Il primo, intitolato “La nostra Piovra non sarà mai Dallas”, dedicato al celebre sceneggiato, uno dei pezzi migliori della produzione televisiva di quegli anni. Tra le altre cose si legge un’ironia pungente proprio sulla sua parentela col protagonista, Michele Placido, figlio di suo cugino. “Vorrei poter dire tutto il bene possibile di Michele Placido – scriveva Beniamino - della sua maschera, della sua faccia. Ma non posso farlo. Perché siamo strettamente imparentati, lo si vede dal nome, e se lo facessi cederei a una solidarietà di famiglia. Cioè di mafia”.
L’altro articolo riguarda Renzo Arbore, che nel 1985 tenne gli spettatori italiani incollati davanti alla televisione fino alle ore piccole con il programma “Quelli della notte”. Così si chiudeva il pezzo: “Quello di Arbore è un sentimento esemplare, elegante, fatto di partecipazione e di distacco, di passione e di ironia. Che va benissimo. Specie di sera, quando dalle cose di questo mondo dobbiamo prendere provvisoriamente congedo. E andare a dormire”.

Ma il rapporto con le testate del gruppo “L’Espresso” non si esauriscono alla collaborazione col quotidiano. Dopo lo stop alla rubrica fissa, nel 1997 prenderà le redini della sezione “Cinema e tv” sulle pagine del settimanale “Il Venerdì di Repubblica”, ereditandola da Walter Veltroni chiamato a palazzo Chigi come vice di Romano Prodi. Per più di un anno tutti i dettagli del piccolo e grande schermo passarono per le sue mani. Celebri le “tramine” dei film: pezzi di giornalismo esilaranti scritti di proprio pugno. E sempre per “Il Venerdì” scriverà poi, dal 1998 al 2004, la rubrica di critica “Belvedere”. Celebre il modo con cui rispose a un collega allora inesperto come Aldo Grasso, che gli chiedeva spiegazioni sul mestiere del critico televisivo: “Credo dipenda dalle generazioni. E per la mia generazione significa affacciarsi alla finestra e vedere che cosa accade, chi passa, che cosa si dice. Né più né meno”.

A VOGHERA ABITA LA CASALINGA PIÙ FAMOSA D’ITALIA

Fu Antonio Troiano sul “Corriere della Sera” del 9 dicembre 1993 a dare la notizia della registrazione sul “Dizionario dei termini giuridici” di Germano Palmieri dell’espressione “la casalinga di Voghera”. Alla voce si poteva leggere: “Voghera, cittadina del pavese di 40 mila abitanti, detiene un record che nelle guide storico - turistiche non viene mai messo in evidenza. Lì abita la casalinga più famosa d’Italia. Nessuno ne conosce il nome, sa quanti anni abbia, come sia fatta. Ma nelle redazioni dei giornali viene citata spesso”.

Era il 1986 quando Beniamino Placido, a proposito di un servizio del Tg1 sulla mafia in cui si usava “un insopportabile politichese del tutto incomprensibile” tirò in ballo la celebre “casalinga di Voghera”. Fu lo stesso Placido a precisare che, in realtà, l’invenzione di questo personaggio doveva molto a una serie di articoli che lo scrittore Alberto Arbasino pubblicò intorno agli anni Cinquanta su “Il Mondo” dove si citava spesso “l’impareggiabile saggezza delle sue zie”. Diatribe sulla paternità dell’espressione a parte, da allora non c’è giornale che non l’abbia utilizzata per indicare il tipo medio dello spettatore italiano: privo di riferimenti culturali ma assetato di sentimenti ed emozioni forti.

LIBRI, CINEMA, TV

Da impareggiabile maestro e intellettuale, Placido non fece mai della sua grande competenza letteraria un “ghetto”. Al contrario volle cimentarsi con sfide sempre nuove, accostando all’amore per i classici l’indagine sui fenomeni di costume, sulla realtà sociale e su pregi e difetti dell'Italia contemporanea. Un eclettismo che ha fatto si che Placido di tv e di cinema ne scrivesse, non disdegnando qualche apparizione. All’amata televisione sono dedicati saggi come “Tre divertimenti, Variazioni sul tema dei Promessi sposi, di Pinocchio e di Orazio” del 1990, e un saggio-racconto del 1993 intitolato “La televisione con il cagnolino”. Il pretesto è un celebre racconto di Cechov grazie al quale Placido trova spunti per meditare sul funzionamento della televisione.

Qualche apparizione si registra anche nel mondo della celluloide. Accanto a piccole parti, sono due i cammei che lo hanno visto protagonista del grande schermo. Il primo è nel film “Porci con le ali” del cantautore e regista Paolo Pietrangeli, uscito nel 1977 con il divieto ai minori di 18anni, vittima di qualche problema con la censura dell’epoca. Il secondo è “Io sono un autarchico”, primo lungometraggio del regista Nanni Moretti. Un ritratto irriverente nei confronti di una certa cultura “alternativa” in cui Beniamino Placido interpreta la parte di un critico teatrale alle prese con tutto, tranne che con la trama dello spettacolo a cui ha assistito.

In televisione Placido muove i primi passi fin dal 1978 con il programma “16 e 35”, un quindicinale di critica culturale. Ci tornerà, poi, nel 1982 con “Serata Garibaldi” nel centenario della morte dell’eroe dei due mondi. Ma la sua creatura più famosa resta “Eppur si muove” del 1994 con Indro Montanelli, un programma basato sulla conversazione in salotto sui mali dell’Italia. A Montanelli toccava il ruolo del progressista, a Placido quello del conservatore. Il primo seduto a una vecchia cattedra, il secondo in piedi, o appollaiato su una scomoda sedia. Placido punzecchiava e provocava. Montanelli reagiva. Pezzi di televisione da recuperare e bere tutti d’un fiato.

IL RICORDO DI AMICI E COLLEGHI

Fare un resoconto degli attestati di stima e affetto nei confronti di Beniamino Placido è praticamente impossibile. La sua morte ha segnato tanti, tutti, quelli che lo hanno conosciuto direttamente o che ne hanno apprezzato doti e virtù attraverso il suo lavoro. Questi alcuni esempi raccolti dalla rete e dalle pagine dei giornali.

Giorgio Napolitano - Messaggio del Presidente della Repubblica alla famiglia Placido: “Giornalista di profonda cultura e di fine e originale stile letterario, egli seppe indagare e far conoscere con spirito critico e visione lungimirante il fenomeno della televisione di massa e la sua influenza sull’evoluzione del costume sociale”.

Angelo Guglielmi – critico letterario ed ex direttore di Rai 3: “Placido era il più grande critico tv, con straordinaria capacità di penetrazione del linguaggio televisivo e felicità di scrittura. Ci compiacevamo molto delle sue critiche perché ci era di aiuto con i suoi suggerimenti. Ma era anche un raffinato conoscitore di romanzi e della letteratura, un uomo di cultura dagli interessi vari. Gli chiedemmo di fare una rubrica culturale, ma resistette fino al momento in cui tenne il suo spazio su Repubblica. Poi lo coinvolgemmo in un’avventura che doveva intitolarsi “Il professore e la bestia” e vederlo in coppia con Gianfranco Funari. Il progetto non andò in porto, con grande dispiacere anche di Placido, perché ci saremmo divertiti e ne avremmo fatto una delle esilaranti trasmissioni di Raitre”.

Walter Veltroni – politico, giornalista e scrittore: “Beniamino Placido è stato un genio. Era una persona splendida, un intellettuale aperto al nuovo e curioso. I suoi articoli sui media, i suoi libri e le sue trasmissioni televisive erano lievi, eleganti e popolari. Come era Beniamino Placido: genio moderno”.
Ezio Mauro – direttore del quotidiano “La Repubblica”: “Credo di essermi perso pochissimi articoli suoi. Leggevo per il piacere di leggere, intanto, perché la buona lettura e la bella scrittura vanno sempre insieme. E poi cercavo di capire l’impianto giornalistico del pezzo, come era assemblato, con quali strumenti, con quale progetto. Perché un articolo di Beniamino Placido non è mai soltanto un articolo, ma una costruzione”.

Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) – sindacato dei giornalisti: “Uno sguardo colto alla tv, ma senza distacco elitario. La ricerca e l’indicazione di una qualità che sapesse congiungersi anche all’audience. Nella sua attività di critico televisivo, così come nei suoi programmi, Beniamino Placido ha lasciato una traccia profonda anche per la straordinaria capacità di frequentare con ironia i luoghi della società di massa, proponendo la sua non comune cultura in modi accessibili al grande pubblico. Impossibile non avvertirne la nostalgia”.

Ordine dei giornalisti della Basilicata: “Un grande giornalista e un rigoroso intellettuale che è riuscito ad affermarsi nel mondo del giornalismo italiano e internazionale senza mai dimenticare la sua Basilicata alla quale era fortemente legato. I giornalisti lucani ricordano di lui la capacità di esprimere con grande maestria e indiscussa autonomia quel diritto-dovere di critica anche in settori del giornalismo di grande impatto sull’opinione pubblica come quello della critica televisiva”.

Vito De Filippo – Presidente della regione Basilicata: “Tipico esponente della solida cultura meridionale, Beniamino Placido ha saputo affermarsi nel difficile mondo del giornalismo nazionale e internazionale per il suo pensiero sottile, per la scrittura dotta, dissacrante, arguta, divertente. La sua innata curiosità a scoprire ciò che non appariva al grande pubblico lo ha fatto diventare un fine ricercatore dei sentimenti e delle passioni degli italiani, ma anche un grande interprete dei bisogni intellettuali di intere generazioni. Ha onorato la lucanità come acuto critico televisivo, come illuminato docente universitario, come instancabile indagatore della vita, ma soprattutto come uomo sempre disponibile al dialogo e sempre ben disposto all’ascolto”.

Michele Placido – attore e regista: “Beniamino Placido era l’orgoglio della nostra famiglia contadina, uno di quelli che ce l’aveva fatta e anche il mio riferimento a Roma. Quando morì suo padre, fu proprio mio nonno Vincenzo emigrato negli Stati Uniti, a sentirsi in dovere di dare una mano a questo ragazzino così intelligente. Quando ci incontravamo mi diceva sempre che per fare questo mestiere bisogna essere colti, e così non mancava mai di regalarmi dei libri. A mia madre, invece, diceva sempre che prima o poi mi avrebbero visto sul palcoscenico”.

A Massimo Gramellini, giornalista oggi vice direttore de “La Stampa”, Placido affidò una massima sul suo modo di confrontarsi col mestiere che faceva: “Conoscere non significa ricordare, ma sapere in che libro andare a cercare”. Per tutti noi le sue pagine resteranno, sempre, la migliore delle enciclopedie. (G. D. L.)

Fonti:

  • Ansa, “Beniamino Placido. L’intellettuale che guardava la tv”, 06/01/2010
  • La Repubblica, “Addio a Beniamino Placido, uomo di mille culture”, 06/01/2010
  • Adn Kronos, “Addio a Beniamino Placido”, 06/01/2010
  • Il Sole 24 Ore, “Beniamino Placido, intellettuale semplice e critico generoso”, 06/01/2010
  • TgCom, “Giornalismo, morto Beniamino Placido”, 06/01/2010
  • Corriere della Sera, “Addio a Beniamino Placido”, 06/01/2010
  • La Stampa, “Placido, il maestro della leggerezza”, 07/01/2010
  • Il Quotidiano della Basilicata, “Beniamino Placido, un lucano celebre da non dimenticare”, 07/01/2010
  • La Gazzetta del Mezzogiorno, “Il cordoglio del cugino Michele Placido: amava molto la cultura lucana”, 06/01/2010
  • Basilicatanet, “De Filippo: Placido, ricca illuminata personalità lucana”, 07/01/2010
  • Basilicatanet, “Cordoglio dell’Ordine dei giornalisti per scomparsa Placido”, 08/01/2010

Redazione Consiglio Informa

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