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'L'INNAFFIATORE DEL CERVELLO DI PASSANNANTE'

24 febbraio 2003

Ulderico Pesce ripercorre la storia dell’anarchico salviano che attentò alla vita di Umberto I

© 2013 - pesce_copertina.jpg

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(ACR) - L'ultimo lavoro teatrale dell'attore lucano Ulderico Pesce, il cui testo è pubblicato da Pianeta Libro Editori, è una vivace e toccante ricostruzione della vicenda umana di Giovanni Passannante, il cuoco che nel 1878 attentò alla vita del re Umberto I. Protagonista del racconto è un carabiniere, il quale ha il compito di annaffiare quotidianamente con la formalina il cervello di Passannante custodito in una bacheca del Museo Criminologico di Roma. La vicenda è ambientata nei giorni nostri e precisamente nell'estate del 2001. Il carabiniere, di evidenti origini meridionali come si capisce dall'uso di intercalari dialettali, fa la guardia presso la bacheca. Il racconto prende inizio da un giorno speciale, di grandi preparativi che si sono protratti per tutta la notte: il presidente Ciampi è atteso da un momento all'altro. E nell'attesa il protagonista ci fa visitare idealmente il museo; gogne, fruste, corde, catene sono tra gli oggetti più semplici. Ma man mano che si sale per i piani del museo è un crescendo di pezzi forti tra i quali il calco del cranio del brigante calabrese Villella – la cui fossetta occipitale mediana è prova inconfutabile del fatto che delinquenti si nasce - , la foto del brigante Ninco Nanco morto e dulcis in fundo i resti di Passannante. L'arrivo di Lucia, la donna che il carabiniere ama segretamente e che distrattamente lascia delle carte che riguardano la vita dell'anarchico salviano offrono lo spunto per ripercorrere la storia del "cuoco pazzoide" che fu torturato come il peggiore dei criminali. Si riteneva, infatti, che non avesse agito da solo, ma con la complicità di altri anarchici del tempo. Dalle pagine del "Roma" il protagonista con un sorriso divertito sulle labbra comincia a leggere la cronaca dell'accaduto " ….a un certo punto si avvicina Passannante con la bandiera rossa e il coltellino con la lama di quattro dita e salito sul gradino della carrozza, grida: morte al re, viva Orsini, viva la rivoluzione dei lavoratori, abbasso la miseria!". Ma il sorriso si smorza non appena comincia il racconto delle torture inflitte al povero Passannante nel carcere di San Francesco: legato mani e piedi il suo corpo venne martoriato con aghi e fuoco. Nel corso dell'interrogatorio, tra smorfie di dolore e grande dignità, l'anarchico disse di venire da Salvia "dalla terra dove c'è miseria e povertà, la Basilicata, e il coverno liberale n'ci ha illusi che distribuiva le terre ai contadini e invec' se le sono frecate i ricchi le terre". Dalle sue parole si capisce che il suo fu il gesto di un uomo disperato, come tanti al suo tempo, desideroso solo di avere un po' di giustizia. Il carabiniere continua imperterrito nella lettura delle carte (…."non avevo mai letto così tanto in vita mia") e a poco a poco affiora una verità sempre più sconvolgente: l'attentatore fu processato d'urgenza a Napoli, davanti a un folto pubblico accorso più per curiosità che per reale interesse, egli si difese dicendo: "io non lo volevo accida a lo re, lo vulìa solo sfregiare forte". Le sue parole rimasero inascoltate e la sentenza di condanna a morte giunse implacabile. Il mancato regicida ricevette successivamente la grazia dal re e fu rinchiuso in una torre sull'isola d'Elba (oggi torre Passannante) dove si ammalò di scorbuto e di teniasi. Anni dopo fu trasferito in un manicomio criminale dove si spense nel 1910. Al cadavere fu tagliata la testa e il cervello e il cranio furono esposti. Il suo paese natio cambiò nome e da Salvia fu chiamato Savoia di Lucania in onore del re. La sua famiglia non subì una sorte migliore, infatti la mamma e i fratelli furono internati in un manicomio. Al di là di ogni giudizio morale sul gesto di Passannante, il lavoro dell'artista lucano è un accorato appello alla coscienza degli uomini affinché sia data finalmente degna sepoltura a un uomo vittima della miseria, dell'emarginazione, dell'ingiustizia. Di qui la scelta di riportare le parole di Antigone l'eroina che contro l'ordine del re Creonte decide di dare sepoltura al fratello facendo prevalere la ragione del cuore su quella di Stato. Il racconto, poi, esula dalla realtà e il carabiniere, armato di coraggio, decide di sottrarre dalla bacheca i resti dell'anarchico e di partire per riportare Giovanni nella sua terra d'origine. A questo punto il protagonista del racconto consegna una scatola ad uno spettatore all'interno della quale c'è solo un mattone. E laconico conclude – "non c'è nessun cranio e nessun cervello nella scatola. Ed io non sono un carabiniere. I resti veri di Giovanni Passannante sono ancora in via del Gonfalone 29, presso il Museo Criminologico di Roma. Paghi due euro e li puoi ancora guardare. La legge non scritta di Antigone, non è uguale per tutti". E il sipario cala lasciando un grande senso di vuoto e d'impotenza, come se in lontananza si sentisse aleggiare lo spirito di Giovanni che vaga ancora in cerca della pace eterna. (A.D.S.)

Redazione Consiglio Informa

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