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SUOR MARIA DI GESÙ NEL MONASTERO DI RIPACANDIDA
14 aprile 2003
(ACR) - Da piccola, insieme alle sue compagne giocava "agli eremiti e alle monachine" nel giardino della sua casa posta appena al di sotto "del Castello diruto" di Pescopagano dove era nata nel 1725 da Camilla Rossi e Cesare Araneo. Sognava di portarsi, un giorno nel Conservatorio di Ripacandida fondato da suo zio l'arciprete Giambattista Rossi. Ma i giochi della sua fanciullezza presto si interrompono perché già a dieci anni, orfana del padre, lo zio se la porta nel Monastero "erigendo" quasi segregandola dal mondo. Lei è ancora bambina, la sua gioia di vivere, la sua spensieratezza sono oggetto di rimprovero da parte dello zio che la richiama ad un contegno più severo. E' il primo impatto con la realtà della clausura a cui lei, crescendo, si dedica abbracciando una vita di privazione piena di fervore religioso e promettendo al Signore "obbedienza, carità e povertà fino alla morte". A 26 anni fu chiamata a reggere le sorti del Monastero secondo la Regola di S. Teresa d'Avila a cui ella si ispirò sia nello spirito che nella vita di tutti i giorni. Durante le traversie della sua vita ebbe come elettissimi patroni due santi: S. Alfonso dei Liguori, il Santo poeta e S. Gerardo Maiella. Nel 1751 conobbe personalmente Gerardo venuto a visitare il Convento come predicatore. In quell'epoca impregnata di misticismo, entrambi meditavano sul "Cantico dei Cantici" l'incontro della sposa e dello sposo. I due avevano in comune gli stessi ideali di perfezione. L'incontro con Suor Maria fu l'incontro di due spiriti "eletti". Stupenda la descrizione che ne fa Padre Tannoia: "Incontrarsi vedevansi due fuochi di riverbero,che agivan l'uno l'altro e non sembravano che due serafini". S. Alfonso in occasione della visita pastorale della primavera del 1750,rimase tanto colpito dalla suora da scrivere: "Non avrei mai creduto di trovare un tale garofano sopra una rupe". Per le sue doti mistiche venne scambiata "per visionaria, vittima della sua fantasia o delle arti del diavolo". Ecco che cosa scriveva a S. Alfonso nel Dicembre del 1750 perché impaurita da certi fenomeni d'estasi. "Se V.R. ricorda li confessai un certo stato dell'anima mia che tutte le divine persone distinte facevano una certa operazione in me che mi trasverberavano la pelle, la carne, le ossa come tanti fulmini. Ma ecco che mi pare che adoro me stessa…….Insomma il mio corpo mi sembra l' Umanità di Gesù Cristo…….Oh! padre che pena ardente provo; ed è che vedendomi così immedesimata nella Trinità capisco i loro attributi di bellezza, di purità, di bontà e di amore. E in tale immensità considero tanta mia schifezza, sozzura, peccati, miserie……Padre fatemi la carità di consigliarmi e di farmi che non sia io idolatra di me stessa". S.Alfonso il 30 Dicembre 1750 da Nocera risponde dicendole che: "In quanto poi all'unione che sente l'anima vostra con Dio dopo la Comunione, non temere di fare l'idolatria con adorare voi stessa; questo è l'effetto del Sacramento trasformare l'anima in Gesù Cristo". Da allora ebbe molti rapimenti e visioni mistiche che duravano fino a mezz'ora. Nell'estasi il sangue si arrestava, le mani diventavano tanto rigide da non potersi congiungere. La visione di Cristo precedeva appena la visione delle tre persone della Trinità. Poi, improvvisamente tutto si fermava, si sentiva libera, ma avvertiva che l'anima soffriva una terribile pena essendo ripiombata nel mondo dopo aver goduto della presenza di Dio. La sua unica consolazione è quella di considerare questa sofferenza come un pallido riflesso della sofferenza del Getsemani. Suor Maria di Gesù sapeva bene che codeste scintille, le scintille della grazia, Dio le manda a chi vuole e quando vuole. Perciò raccomandava sempre alle sue consorelle di non insuperbirsi, di non pensare secondo i parametri umani,di praticare l'umiltà, la rinuncia a se stessi e l'orazione mentale che solo favoriscono la grazia. Dopo tante tribolazioni, il 17 Maggio del 1801, Suor Maria di Gesù moriva in "odore di santità". Il 4 febbraio 1982, in seguito ai lavori di restauro, alla presenza del vescovo di Melfi Mons. Vincenzo Cozzi "si è proceduto alla ricognizione dei resti mortali di Suor Maria di Gesù e si è ancora constatato l'incorruttibilità del suo corpo". Immediata si sparge la voce dell'esumazione della suora. Tutto il paese si riversa nella chiesa delle "monache" al suono delle campane. Un'onda di popolo commosso sbocca da ogni parte e i vicoli e le vie non risuonano che di stupore e sospiri. Tutti si riversano verso la chiesa delle "monache" per vedere la loro amata suora. In mezzo a tanta folla c'è anche chi scrive. La semioscurità della Chiesa è rotta dalla luce che filtra da una finestra e va ad illuminare una vecchia cassa funeraria che si trova adagiata ai piedi dell'altare Maggiore. Il piccolo corpo di una religiosa sembra dormire con le mani giunte attorno a un rosario ed il capo appena reclinato sulla sinistra. Sono le spoglie intatte a 180 anni dalla morte di colei sulle cui spalle poggiò, per diversi anni, il peso e la responsabilità della direzione del Monastero delle Carmelitane Scalze di Ripacandida. Sotto quell'abito antico e consunto si cela il corpo di Suor Maria di Gesù Araneo. Esitante mi avvicino alla cassa e con un dito tocco la mano destra della suora mancante del dito medio. La sensazione immediata di elasticità di quella "carne" morta da più di 180 anni, resta per me tra le emozioni incancellabili. Quando nel lontano 1801 la sua bara fu murata sull'architrave della sacrestia del Monastero, tutto lasciava supporre che quel minuscolo corpo si sarebbe presto dissolto. In realtà proprio quel corpo è giunto intatto fino a noi, sfidando ogni legge fisica. La prima riesumazione avvenne il 12 febbraio 1869, sessantotto anni dopo la morte alla presenza del vescovo di Melfi pro-tempore, Mons. Selliti. Il corpo fu trovato "incorrotto e flessibile". All'apertura alcune anziane suore che avevano visto Suor Maria sul letto di morte rimasero allibite: ai loro occhi la consorella apparve non soltanto intatta ma come trasfigurata dalla morte. Nel 1982 il rapporto dei presenti alla riesumazione è categorico: "il corpo presenta i segni della flessibilità e incorruttibilità". L'umidità del luogo della sepoltura era tale da aver distrutto gli abiti e persino il rosario, ma il corpo della religiosa non era stato intaccato, tanto che anche i denti, unghie, capelli erano tutti al loro posto, e pelle e muscoli si rivelavano elastici al tatto. La cosa non apparve naturale visto che altri cadaveri sepolti nello stesso luogo si sono dissolti e che l'organismo di Suor Maria "flessibile e incorrotto" non ha subito nemmeno una mummificazione che ne spieghi la conservazione. La seconda riesumazione avvenne 113 anni dopo la prima. La situazione,come risulta dal rapporto, era rimasta la stessa della volta precedente. La sola differenza era rappresentata da un certo "scurimento" della pelle, dovuto probabilmente, al velo nero che la ricopriva e che col tempo si dissolse procurandole quella patina scura. Quale messaggio può avere per le donne e gli uomini alle soglie del terzo Millennio una donna morta nel lontano 1801 al termine di una singolare vita religiosa e mistica? Dopo secoli di silenzio nel 1985, fu allestita dal sottoscritto, una mostra personale di pittura la cui attenzione del pubblico, accorso numeroso, fu subito polarizzata verso le due tele che raffiguravano Suor Maria di Gesù e suo zio G.B. Rossi in estasi. La mostra fu onorata dalla presenza dell'Arciprete di Ripacandida Don Giuseppe Gentile e da quella del vescovo di Melfi Mons.Vincenzo Cozzi che si soffermò con molto interesse davanti alle due tele. La mostra allestita nei locali che un tempo furono proprietà della famiglia Baffari-Rossi, ha rappresentato un omaggio all'antica casata ripacandidese ed un invito ad una conoscenza più profonda della Suora e dello Zio affinché la memoria non si disperda. Oggi la suora lucana riposa nella Chiesa che fu la casa dei suoi Avi; fra quelle mura in cui in tempo di Quaresima ogni nome di monaca corrispondeva a un numero preciso di tocchi di traccola (tarozzola) che serviva per chiamarsi alla preghiera da una cella all'altra senza ricorrere all'uso della voce. In questo ambiente, come fuori dal mondo, dove il tempo e la vita si sono presi una sorta di parentesi, per circa due secoli si è cucito e meditato, cucinato e salmodiato, digiunato e tessuto. La chiesa di San Giuseppe, le cellette del Monastero, la tomba di Suor Maria e delle sue consorelle sono ancora lì a raccontarci il mondo proibito delle "murate vive"; a decifrare il loro silenzio, a tradurre l'enigma dei bisbiglii e fruscii di vesti, passi leggeri, singhiozzi sommessi e forse qualche ribellione. A.G.A.