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"IMBERTA", RISTAMPA ANASTATICA A CURA DI LINA MUSTO
18 novembre 2003
La distruzione di Satriano in un racconto storico in versi del XV secolo
(ACR) - "Nullius boni sine socio iucunda possessio" – Il possesso di nessun bene è dolce se non è condiviso. Partendo da questa massima di Seneca, Lina Musto, laureata in Filosofia e docente nell'Istituto comprensivo di Brienza, non nuova alla ricerca storica e antropologica, ha pensato di curare la ristampa anastatica di "Imberta", racconto storico in versi del XV secolo del lucano Gaetano Arcieri, poeta, letterato, accademico florimontano, storico (il Pedio lo considera tra i maggiori storici del diritto del tempo), giurista, ma anche uomo sensibile ai temi, soprattutto politici, del proprio tempo. L'opera, edita per la prima volta nel 1849, è stata scoperta dalla stessa Musto "spigolando" tra i numerosi libri di pregio in vendita in una nota libreria antiquaria di Napoli. Uno scritto meritevole di approfondimenti sia sul piano storico che su quello della ricerca bibliografica che con la ristampa viene offerto anche alle correnti di studio. Pubblicato per i tipi della Rce edizioni di Napoli nel 2003, "Imberta" ricostruisce, sulla base delle notizie storiche attinte da "Lucania Illustrata" di Costantino Gatta, fatti, luoghi e personaggi implicati nella cruenta e barbara distruzione di Satriano e del suo castello. L'episodio avvenne tra il 1420 e il 1430 ad opera di masnadieri inviati dalla regina Giovanna II per riscattare il "memorando oltraggio" del rapimento di una nobile ed avvenente donzella di Terzilli, Imberta, da parte di una schiera di giovani lascivi e avventati satrianesi mentre stava raggiungendo la corte napoletana per essere adibita al servizio della sovrana. Un'analisi attenta e puntuale quella compiuta dalla Musto, che nei versi dell'Arcieri sulla Bellezza di Imberta intravede "il gusto della poesia sottile e squisita dei dolcestilnovisti". Non solo, però, richiami ai poeti del trecento; anche le virtù manzoniane di carità e perdono, per la Musto, sono presenti nelle pagine che cantano la personalità della giovane e la pietà provata per il popolo di Satriano. Strumento divino di virtù, bellezza e amore, Imberta nulla potrà fare per fermare l'orrido disegno voluto dalla Regina. "L'offesa è un mal, un mal è pure la pena", ma Duci e Cavalieri saranno sordi e non obbediranno al sereno monito divino del perdono. Come racconta lo storico Racioppi, gli abitanti dell'antico borgo, dopo aver visto distrutte le proprie case, furono costretti a riparare nella vicina Tito e in altri luoghi. Ma anche l'epilogo della vicenda di Imberta richiamerebbe il Manzoni. Ammalatasi gravemente per i tormenti subiti, non interessando più alla Regina Giovanna una giovane "sulla cui bellezza il dolore ha dispiegato un denso velo grigio", "solo quando il suo spirito sembrerà davvero stanco, inerte, "…si farà a lei strada divina per redimersi dal dolore, dal male, per ricongiungersi e consacrarsi finalmente a Dio". A tutt'oggi non è dato conoscere, per Imberta, fin dove spazia l'autorevolezza della storia e dove, invece, si innesta la velleità dell'inverosimile leggendario. Di certo, non un elemento essenziale perché, condividendo le parole di Jean de La Bruyère: "Quando una lettura eleva il vostro spirito e vi ispira sentimenti nobili e coraggiosi, non cercate un'altra regola per giudicare l'opera: è buona e fatta da mano maestra". (L.S.)