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CARMINE MAINO, LA VOCE DE LA CUSCENZE

22 dicembre 2003

© 2013 - maino.jpg

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(ACR) - Dopo Puiseie e puete, pubblicato quattro anni fa, esce la seconda raccolta di poesie di Carmine Maino, giovane poeta lucano che sceglie la lingua dialettale per descrivere il proprio tempo. Come spiega nella prefazione di La voce de la cuscenze Pasquale Totaro Ziella, Carmine Maino "si mostra ancora autore neodialettale con un forte senso della versificazione: sta attento alle esperienze classiche precedenti in cui conta sempre e comunque l'assonanza e la rima, voluta e goduta". Dice ancora Totaro Ziella che l'autore "è neodialettale nel senso che pensa in italiano e poi traduce in dialetto, trovando il suo humus nella mentalità famelica, fascinosa ed affabulativa del paese in cui tutti sanno di tutto e tutto sa di tutti con quella cultura del vicinato che educa e frustra i costumi e i comportamenti". Carmine Maino non è un poeta occasionale, scrive da circa vent'anni, e nel racconto verace e colorito di frammenti di vita quotidiana emerge e predomina, caratterizzando tutto il suo sentire, la voce della sua coscienza, pulita, ideale. La presentazione del volume si è tenuta ieri, 21 dicembre, nel Castello cinquecentesco "Pirro del Balzo", a Venosa, dove l'autore vive, e che lui vorrebbe rose ppe la Baselecate (rosa per la Basilicata, in Venosa meje), ma che invece, e qui esprime il disagio giovanile per il carico del travaglio della quotidianità, è teatro di un malessere generale in cui alcuni degli attori (u segnore artefeciale, u caparbie, u presteggiatore, u terchie, u preputende, u chiacchierone) non hanno trovato il senso della vita perdendosi nella miseria quotidiana, nell'animalesco. Ma non ne sottolinea soltanto gli aspetti negativi, recupera anche un senso della tradizione (U zappatore) e del valore dell'amicizia (Amice da tavule). Dal basso, il poeta riflette sulle espressioni del quotidiano, manifestando il desiderio, nella sua condizione giovanile, di uguaglianza e di realizzazione della politica vera, quella nobile (U puleteche genuine). Alcuni dei suoi versi sono scritti con malinconia (Jurne, Ceglia nfame, Chiove): con le lacrime della pioggia Carmine Maino piange per l'abbrutimento del mondo, ma quando si addormenta (Desederie de na notte) l'immaginazione e il sogno finalmente si liberano, finalmente ciò che lui vuole si realizza, la donna che ama viene e dolce e profumata diventa l'aria. I suoi interrogativi sul perché dell'esistenza (Sarà pecchè) lo riconducono all'esistenza di Dio che è dentro ognuno di noi e che purtroppo si percepisce quando ci si accosta al dolore. Basterebbe questa consapevolezza (Na sponde de cile) a far assaporare il meraviglioso senso di felicità che si coglie in una sponda di cielo, una rondinella, un giardino verde, uno spicchio di sole, una mela rossa, una pera, tutto quello che il suo cuore vuole. La percezione reale della natura è percezione di Dio, della sua forza e il giovane poeta lo sa e sa anche di essere interprete di un destino che spera gli faccia realizzare il desiderio profondo di carità, pace e giustizia (Vuleje esse). Il prof. Totaro Ziella associa la poesia di Maino a quella di Albino Pierro, che non esprime a suo avviso un codice tursitano ma inventa una nuova lingua. E, come Pierro, non solo trasmette il significato ma anche il significante, cioè, oltre al verbo anche il suono, la musicalità. Nella complessità dei suoi versi, recitati dall'autore con voce profonda e trascinante, emerge la voce della coscienza, il suo animo fortemente sensibile, attento alle cose apparentemente minime che, come dice nella postfazione il poeta Ugo Mollica, "si accende di stupore davanti al compiersi delle cose mentre la luna si fa bella ed aiuta la scena del mondo ad accendere le sue timide verità, che andrebbero via senza lasciare traccia, se un poeta non levasse alta la sua voce per trattenerle in vita nella memoria del mondo". Ne La voce de la cuscenze , prima poesia della raccolta che prende lo stesso titolo, Carmine Maino descrive un cielo rosso che non fa vedere le stelle, e nella semioscurità del cielo e della terra rompe il silenzio la presenza animalesca degli uomini e delle bestie che lo raggiunge dove egli si trova. Queste circostanze gli scuotono la coscienza e questa sensazione lo spaventa, lo spaventa il viaggio nel suo mondo interiore. Chiude bene la raccolta con il tema della speranza. In Je e Pasckale si accende la sua positività: il ripetuto confronto fra il brutto e il bello termina con la speranza di vivere un mondo migliore, un mondo in cui non si pianga ma si rida e si canti, in cui una punta di pane diventi il migliore nutrimento. Un mondo che da sempre Dio ci vuole dare. (P.V.)

Redazione Consiglio Informa

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