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ACCIAIERIA DI TERNI: INTERVENGA L'EUROPA

11 febbraio 2004

Dichiarazione della Commissione europea

© 2013 - acciaieria.jpg

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(ACR) - La commissario Ana DIAMANTOPOULOU ha ricordato come la decisione di chiudere il reparto magnetico della AST di Terni metta a rischio direttamente 450 posti di lavoro oltre a un numero più ampio di posti collegati. Precisamente per far fronte a situazioni di questo genere, la Commissione ha cercato di promuovere una risposta a livello comunitario in merito alle ristrutturazioni societarie, in particolare coinvolgendo le parti sociali. L'oratrice ha ricordato che due anni fa l'Esecutivo ha lanciato una consultazione con le parti sociali su questo tema, dato che si erano verificati molti problemi in diversi Stati membri. La Commissione aveva poi presentato una relazione con alcune proposte. A ottobre c'è stata la risposta delle parti sociali; l'Esecutivo ritiene che, attraverso il dialogo e misure concordate, in particolare relative all'impiegabilità, le parti sociali possano assumere un ruolo importante. La commissario ha concluso con la speranza che la finestra di opportunità che sembra essersi aperta su tali possibilità venga tenuta pienamente in considerazione al momento di valutare in che modo possono essere limitati gli effetti della crisi dell'impianto di Terni. Interventi a nome dei gruppi politici Intervenendo a nome del PPE, Antonio TAJANI (PPE/DE) ha affermato che «l'Europa non può rimanere in silenzio davanti a quanto sta accadendo in uno dei siti siderurgici più importanti dell'Unione». Si tratta - ha proseguito - «di una scelta non motivata e che tradisce un accordo sottoscritto nel 1994, in occasione della privatizzazione». Ricordando poi come l'azienda tedesca si prepari a licenziare centinaia di lavoratori, «perché preferisce tutelare altri siti europei e investire fuori dell'Unione, nella Corea del Sud», l'oratore ha sottolineato che grazie all'intervento del governo italiano (in particolare del ministro per le attività produttive, Marzano) e alla «straordinaria mobilitazione di tutte le istituzioni locali, dei cittadini, dei partiti e dei lavoratori», la Thyssen Krupp ha deciso di rinviare la decisione di chiusura. «Il Parlamento europeo e la Commissione non possono però non levare la loro voce per contribuire alla soluzione di una crisi che non c'è» ha affermato il deputato, chiedendo che la Commissione, in occasione della presentazione del terzo rapporto sulla coesione economica e sociale il prossimo 18 febbraio, indichi chiaramente le proprie proposte tese a tutelare il comparto industriale e, in particolare, quello siderurgico nel quadro della nuova politica di coesione a partire dal 1° gennaio 2007. Convinto che si debba sostenere anche l'azione della Commissione nel braccio di ferro con gli Stati Uniti per quanto riguarda le quote di mercato della produzione dell'acciaio, il deputato ha affermato che si tratta di un problema generale dell'acciaio in Europa, non quello di una singola azienda in Italia. Sul caso specifico di Terni, l'oratore si è detto convinto che la Commissione debba intervenire a proposito di alcune anomalie. Innanzitutto il problema della concentrazione e della concorrenza, in quanto, ad oggi, le acciaierie di Terni sono di proprietà esclusiva della Thyssen Krupp, mentre il Gruppo è l'unico produttore in Europa di acciaio magnetico a grano orientato. Inoltre, si dovrebbe verificare se gli aiuti comunitari siano stati correttamente utilizzati, tenuto conto che la Thyssen Krupp ha ottenuto aiuti comunitari per il fatto che Terni è una zona a declino industriale ai sensi dell'Obiettivo 2. Gli annunciati investimenti nella Corea del Sud, ha proseguito il deputato, «ci fanno preoccupare: non vorrei che i fondi europei e gli eventuali fondi erogati dal governo tedesco venissero utilizzati non per far crescere l'economia europea, non per far crescere l'occupazione e lo sviluppo in Europa, ma utilizzati nella Corea del Sud per l'interesse esclusivo di un'azienda che non ha mantenuto i patti sottoscritti al momento della privatizzazione con la parte italiana». Il parlamentare ha poi concluso dicendosi convinto che il Presidente della Commissione, dopo aver ascoltato i vertici della Thyssen Krupp, «interverrà in maniera decisa». Guido SACCONI (PSE), a nome dei socialisti, ricordando di aver partecipato allo sciopero e alla manifestazione di Terni di venerdì 6 febbraio, ha affermato che «il contenuto più profondo di questa lotta è apparso molto chiaro: un'intera città e tutta una regione unite e determinate nel respingere, non solo un colpo durissimo al loro apparato produttivo e al loro patrimonio professionale ma, soprattutto, un'offesa alla loro dignità». Dopo aver ricordato le gravi conseguenze socio-economiche che rischia di avere la chiusura dello stabilimento, l'oratore ha evidenziato come questo fatto rappresenti «uno schiaffo al governo locale regionale che si è efficacemente adoperato e si sta ancora adoperando, anche con il ricorso ai Fondi strutturali, per creare l'ambiente produttivo più favorevole per l'impresa e per i suoi investimenti: infrastrutture, formazione e riconversione professionale, approvvigionamento energetico». Nel ripercorrere gli eventi che hanno segnato la vita dello stabilimento dal settembre 2003 ad oggi, il deputato ha evidenziato come la chiusura della produzione del grano orientato (quello usato per i trasformatori) e l'annuncio della chiusura dello stabilimento avrà «pesantissime conseguenze interne: la minaccia dell'integrità del sito che, con le sue diverse produzioni, consente di bilanciare le variazioni di mercato, la dispersione delle funzioni strategiche come quella commerciale, ma anche con importanti effetti esterni, italiani ma europei più in generale». Infatti, il magnetico - prodotto solo a Terni - è l'unico acciaio speciale strategico per il settore energetico e «diventare dipendenti da Russia e Stati Uniti comporterebbe un danno a cascata anche sugli utilizzatori fortemente esportatori». Nel fatto che il 18 febbraio potrà finalmente iniziare una trattativa vera, «senza pistole puntate alla tempia del sindacato», che salta il limite ultimativo del 27 febbraio e che vengono rinnovati gli 80 contratti in scadenza che Thyssen-Krupp voleva cancellare, il deputato vede un segno «che la multinazionale ha sentito l'isolamento». Di fronte a questo risultato preliminare, secondo l'oratore, «la pressione va però mantenuta, come va tenuta accesa l'attenzione di tutte le Istituzioni». Su questo caso, emblematico della necessità di nuovi sistemi di relazioni industriali e di più avanzate forme di collegamento fra investimento pubblico e strategia d'impresa, si esprimerà con una risoluzione questo Parlamento, ha detto. «Noi ci battiamo perché il messaggio risulti chiaro per la conclusione positiva della vertenza: una vertenza decisiva per arginare il declassamento produttivo dell'Italia e l'indebolimento dell'apparato industriale di tutta Europa», ha concluso. Giorgio CALÓ (ELDR/IT), a nome dei liberali, ha esordito ricordando che nel 1950 Robert Schuman lanciò l'idea di un'Alta autorità del carbone e dell'acciaio aperta a tutti gli Stati, «creando così le premesse di un percorso complesso e difficile di unificazione dell'Europa, di cui noi viviamo gli sviluppi più recenti». Già da allora, ha proseguito, «era chiara l'importanza dell'acciaio nel contesto europeo», pertanto non è sorpreso del fatto «che il "caso Terni" sia ben presente nel dibattito in corso in questo Parlamento e che le opinioni in proposito prescindano in larga misura dagli orientamenti politici». Evidenziando come il settore siderurgico europeo soffra della decisione degli Stati Uniti di imporre dazi alle importazioni di acciaio europeo, l'oratore ha affermato che la crisi in Italia «è rilevante perché coinvolge anche altri poli siderurgici, come le acciaierie di Genova-Cornigliano» e, in questo contesto, la dichiarazione della Thyssen-Krupp di investire nella Corea del Sud per produrre acciaio in Asia «assume un'importanza primaria e suscita non poche perplessità». Il deputato ha poi ricordato che la fabbrica di Terni è stata venduta nel 1994, nel quadro di un processo di privatizzazioni promosso dall'IRI, con la garanzia di mantenere in Italia le attività e di salvaguardare i posti di lavoro ed ha sottolineato come non si tratti di un'azienda in crisi, bensì di una produzione all'avanguardia, unica in Italia, utilizzata per realizzare i lamierini dei trasformatori elettronici. Inoltre, la tecnologia messa a punto a Terni, gli studi e le ricerche effettuati negli ultimi anni hanno raggiunto un ottimo livello, pertanto, «perdere competenze e know-how è proprio il contrario di quell'economia della conoscenza di cui ha parlato il Presidente Prodi recentemente proprio in questo Parlamento». Non è un caso - ha proseguito - «che, accanto alle maestranze, si siano schierati a difesa della produzione e degli studi ad essa connessi anche dirigenti, quadri, ricercatori, oltre ai politici locali». Nell'evidenziare come la multinazionale tedesca abbia ricevuto fondi e facilitazioni fiscali dall'Unione europea quando decise di acquistare la fabbrica di Terni, l'oratore si chiesto quindi «che cosa significhi, nello scenario mondiale, il trasferimento della produzione in Corea, quali siano - e come vengano rispettati - i diritti sindacali e le tecnologie di lavoratori impiegati nel sud-est asiatico». A tale proposito, ricordando che in occasione di un incontro dello scorso mese di dicembre, alcuni industriali manifatturieri dell'Unione europea dei settori calzaturiero e tessile avevano posto una serie richieste in tal senso alla delegazione cinese e tenuto conto che le risposte erano state molto evasive, l'oratore ha concluso che «non abbiamo modo di pensare che altrove nel continente - Giappone escluso - la situazione sia migliore». Luisa MORGANTINI (GUE/NGL) ha esordito dicendo: 900 posti di lavoro persi possono essere solo numeri di una statistica, ma invece sono vite di persone in carne ed ossa. Secondo l'oratrice, la fabbrica è parte del tessuto urbano della città di Terni, «il suo cuore pulsante». La parlamentare ha ricordato come Terni non sia un'operazione isolata, ma come esistano altri casi in Europa: Arcelor, Lucchini, la stessa Thyssen, altri stabilimenti in Belgio, gli altiforni di Servola a Trieste. Massicci disinvestimenti e delocalizzazioni verso paesi extraeuropei di produzioni pregiate stanno disarticolando la capacità produttiva europea. I finanziamenti comunitari, cospicui nei decenni scorsi, sono stati utilizzati per smantellare la siderurgia pubblica, ha detto l'oratrice, che ha aggiunto: i sussidi elargiti agli imprenditori privati, quali Riva, Lucchini, Falk e alcuni gruppi esteri, sono stati usati per rimodernare le capacità produttive e le specializzazioni della siderurgia italiana, secondo la logica del profitto. L'oratrice ha ricordato come il Fondo sociale europeo e i Fondi strutturali abbiano finanziato ristrutturazioni e riqualificazioni di personale, permettendo anche un rinnovo generazionale della manodopera nel settore, ma è proprio l'esistenza di questa nuova generazione di occupati giovani, altamente qualificati, che viene minacciata. La rappresentante della sinistra unitaria ha criticato l'assenza di un piano coordinato di rilancio della siderurgia, cosa che ha contribuito al trasferimento altrove di singoli stabilimenti nei vari paesi per inseguire piani industriali di singoli imprenditori. La parlamentare ha segnalato che la Thyssen di Terni, che sta subendo pesanti perdite nel settore dell'acciaio magnetico a vantaggio della russa Duferco, contrae la produzione e si prepara a trasferire le lavorazioni in Messico, Corea, Cina, India. Secondo l'oratrice, di innovazione, di nuova ricerca, di sfida alla competitività non vi è traccia: «traspare solo un pericoloso arretramento che, se non sarà arrestato per tempo, avrà conseguenze per l'occupazione e per la coesione sociale, non solo in Italia ma in tutta l'Europa». Malgrado la drastica riduzione di occupazione avvenuta in Italia nel settore, il settore dell'acciaio mantiene un'ottima posizione nel mercato; tuttavia, per mantenere questi livelli, occorrono scelte industriali da parte del Governo italiano ed un chiaro impegno propositivo a livello europeo, ha affermato. Per la rappresentante della sinistra unitaria, è indispensabile che l'Unione europea introduca sistemi di abbattimenti di inquinanti e curi la problematica dell'impatto ambientale; si tratta di priorità da perseguire in vista degli obiettivi del protocollo di Kyoto. Inoltre, la Commissione dovrebbe impegnarsi ad una revisione del regolamento sui Fondi strutturali, in modo che la loro concessione sia condizionata ad un vincolo di investimento geografico per almeno 10 anni, con esplicita revoca dei sussidi in caso di delocalizzazione delle produzioni. L'oratrice ha aggiunto che occorre avviare una revisione della direttiva 98/59 sui licenziamenti collettivi, che consolidi le tutele a difesa dell'occupazione, prevedendo non solo procedure di informazione ai rappresentati dei lavoratoti, ma anche l'impegno delle parti sociali all'apertura di negoziati utili e vincolanti, per impedire dimissioni o ridimensionamenti produttivi a danno dell'occupazione. La parlamentare ha infine auspicato un confronto tra i Governi degli Stati membri interessati e le parti sociali per rielaborare un nuovo piano industriale per il rilancio del settore magnetico e dell'inox a livello europeo. Roberta ANGELILLI (UEN), a nome dell'UEN, ha esordito affermando che «ancora una volta l'Italia rischia di essere utilizzata come una terra "usa e getta"». Il caso della Thyssen Krupp - ha proseguito - «è il solito caso della multinazionale che è cresciuta anche grazie al lavoro di centinaia di lavoratori italiani e di ingenti fondi messi a disposizione sia dallo Stato italiano che dall'Unione europea e che poi ha deciso di chiudere». In questo caso sono a rischio 900 lavoratori e, di conseguenza, un grandissimo patrimonio di professionalità. Stigmatizzando come l'annuncio della chiusura abbia colto tutti di sorpresa, senza nessun preavviso né ai lavoratori, né alle autorità locali e nazionali, la parlamentare ha affermato che ciò è avvenuto «soprattutto senza nessuna giustificazione», perché oggi «la chiusura appare dettata più da discutibili scelte di strategia aziendali che da concreti motivi tecnici, visto che in Italia i costi produttivi sono inferiori, la qualità superiore, la professionalità delle maestranze indiscussa». Dichiarandosi certa che le multinazionali, siano sicuramente una risorsa di lavoro e di sviluppo per l'intera Europa, l'oratrice ha affermato che «certi comportamenti di questo capitalismo europeo non ci convincono affatto». Un capitalismo «che, a parole, è tutto devoto al libero mercato, alla concorrenza pura e alla flessibilità del mercato globale, ma che poi in realtà pretende di essere puntualmente e generosamente assistito, prendendo dai governi nazionali incentivi fiscali e dalle amministrazioni locali strutture, infrastrutture e facilitazioni di ogni genere, per non parlare dei fondi comunitari». Tutto ciò per poi delocalizzare la produzione dove il costo della manodopera è irrisorio e le norme a tutela dei lavoratori e dell'ambiente inesistenti. Inoltre, la parlamentare ha sottolineato come queste multinazionali sfruttino spesso l'occasione delle privatizzazioni - «che si traducono il più delle volte in svendite» - per acquistare sottocosto «i nostri gioielli di famiglia», com'è proprio il caso della Thyssen Krupp a Terni. La deputata ha quindi chiesto un intervento immediato della Commissione per salvaguardare il polo siderurgico ternano e scongiurare il pericolo della chiusura degli stabilimenti. In particolare, chiede un impegno per verificare l'effettiva applicazione delle normative europee per la difesa dei diritti dei lavoratori, nonché un impegno per subordinare l'erogazione di fondi comunitari ad accordi di garanzia per l'occupazione e a precise condizioni e limiti alle delocalizzazioni. «Ci aspettiamo inoltre» - ha proseguito l'oratrice - «la determinazione a una convinta strategia di sviluppo del settore siderurgico in tutt'Europa». Infine, se la Thyssen Krupp insistesse nella chiusura dello stabilimento, «chiediamo alla Commissione di verificare se sono rispettate tutte le norme sulla concorrenza, in particolare rispetto a un eventuale abuso di posizione dominante». Esprimendosi poi favorevolmente sui primi passi positivi ottenuti dal governo italiano, la deputata ha concluso affermando che «non esiste libertà di mercato senza democrazia e soprattutto senza il rispetto dei lavoratori e delle Nazioni». Benedetto DELLA VEDOVA (NI), ritiene sia importante appurare, nella vicenda Thyssen-Krupp di Terni, se vi siano profili di illegittimità dal punto di vista del diritto comunitario, «se vi siano aiuti di Stato che viziano le scelte di localizzazione del gruppo tedesco, se vi sia un abuso di posizione dominante, se vi siano contratti violati con il governo italiano, con le istituzioni europee, cioè impegni presi a fronte di agevolazioni o di finanziamenti che vengono traditi». Affermando che questo dovrebbe essere il solo compito delle istituzioni europee, ha sottolineato che spetta poi al governo italiano di sindacare sulle decisioni di delocalizzazione delle aziende che operano in Europa. «Si è detto con scandalo della possibilità che alcune produzioni vengano trasferite in India, in Cina o in Sudamerica», ha affermato il deputato, aggiungendo di essere convinto, tuttavia, «che questo faccia parte delle regole del gioco che alcuni paesi dell'Unione europea, in primis l'Italia, per tanto anni hanno sfruttato: mettere a disposizione dell'economia internazionale i propri assetti, ad esempio la disponibilità di manodopera». Questo, ha proseguito, «non vuol dire essere irrispettosi nei confronti dei 450 dipendenti della Thyssen-Krupp di Terni che rischiano di perdere il posto di lavoro», vuol dire «ricordarsi anche delle centinaia o magari delle migliaia di persone che in India o in Cina il lavoro lo troveranno» e vuol dire anche «pensare che in Italia e in Europa, nelle aree di eccellenza, si possa e si debba produrre altro da esportare nei mercati europei e internazionali». Affermando che in Italia e in Europa vi è la necessità che ci sia fiducia da parte degli investitori «a venire ad investire a Terni o altrove», il parlamentare ha concluso che «pensare che la politica possa sindacare fino a questo punto» sugli investimenti non renderebbe loro un buon servizio e «non sarebbe in definitiva un buon servizio all'occupazione». Replica della Commissione In fase di replica, Ana DIAMANTOPOULOU ha affermato che l'Unione intende concludere un accordo internazionale in merito alle sovvenzioni alla produzione di acciaio, dato che alcuni Paesi ne fanno uso al di fuori del quadro dell'OMC. L'oratrice ha detto che, sebbene un'impresa possa decidere di licenziare dei lavoratori, è obbligata a rispettare le direttive in merito alla consultazione e all'informazione per tempo dei dipendenti, nonché la legislazione comunitaria relativa ai licenziamenti collettivi. Per quanto concerne i fondi strutturali, l'Unione dispone di due strumenti d'intervento, ma il primo, ovverosia l'investimento diretto nelle imprese, non è più possibile. Il secondo riguarda invece la gestione delle conseguenze sociali, attraverso l'utilizzazione dei fondi strutturali e in particolare del Fondo sociale. Essi finanziano, tra gli altri, delle formazioni che i lavoratori possono seguire per essere reintegrati nel mercato del lavoro.

Redazione Consiglio Informa

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