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IL CORAGGIO DI ESSERE LUCANI

04 marzo 2004

Il viaggio, le lotte e le speranze di un lucano negli Stati Uniti

© 2013 - new_york.jpg

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(ACR) - L'ultima volta che ho visto "Rocco e i suoi fratelli" di Luchino Visconti ero adolescente e i miei ricordi sono stati sempre poco chiari, con una vaga conoscenza degli eventi narrati nel film. Il mio iniziale anno a Milano è stato speso in una casa di ringhiera e il primo giorno che sono entrato nel palazzo, guardando i balconi su cui si aprono i piccoli appartamenti, mi sono ritornate in mente alcune immagini del film di Visconti. Alcuni giorni fa ho rivisto "Rocco e i suoi fratelli" in una sala cinematografica indipendente di Bruxelles. E' meravigliosa l'attenzione per il cinema italiano fuori del nostro paese e devo ringraziare questa belga ammirazione se durante la proiezione ho vissuto con intensità la storia di questa famiglia lucana che si ritrova persa a rinascere in un ambiente freddo e inospitale. Le difficoltà, le precarietà, le sofferenze di quei giovani, che lasciavano un piccolo, amaro e amato angolo di terra per costruire una vita nuova in luoghi lontani, quasi sconosciuti, fanno parte della storia lucana. La famiglia di Rocco sceglie la ricca Milano, in un Nord Italia in impetuosa crescita. Cosa accadeva a chi sceglieva altre terre, altre lingue e culture ancora più lontane? Da questa curiosità nasce l'intervista, che leggerete, ad un lucano, Giuseppe Fortuna, che un giorno, durante gli anni settanta, decide di attraversare l'oceano e costruirsi una vita negli Stati Uniti. L'intervista è avvenuta tramite posta elettronica e il nostro conterraneo si è subito mostrato disponibile e desideroso di colloquiare con la sua terra, ma lasciamo che le parole di Giuseppe Fortuna, Presidente della Federazione delle Associazioni Lucane d'America, narrino la storia di un lucano diventato cittadino statunitense. D. Ci racconta il giorno in cui ha lasciato la Basilicata e cosa era allora il suo paese e la sua terra? Negli anni sessanta lasciavo spesso il mio paese e la Basilicata. Partivo di mattina presto con l'autobus della SITA per Grassano dove prendevo il treno per il Nord Italia ed ogni volta sempre con una grande nostalgia per il ritorno. Quando però negli anni settanta sono venuto negli Stati Uniti d'America ricordo di avere simbolicamente abbracciato il mio paesello quando l'autobus fece l'ultima curva e il suo panorama scomparve. Sapevo allora che non sarei ritornato per tanto tempo, mi avventuravo nell'ignoto, incerto di quello che sarebbe successo alla mia vita. Quell'abbraccio e' stato importante perché ancora oggi dopo varie decadi mi basta chiudere gli occhi e quel panorama mi appare immediatamente. D. Ha scelto subito gli Stati Uniti o ha vissuto prima in altri paesi? Prima di arrivare negli Stati Uniti ho vissuto in Francia per circa sei mesi. Seguivo dei corsi di francese all'università' di Lione. Parlavo un buon francese e non mi sentivo tanto straniero. D. Ci racconta i suoi primi giorni nel paese americano? I primi giorni, anzi direi i primi mesi, sono stati un disastro. Non sapevo una parola d'inglese. Camminavo incuriosito e affascinato per le strade di New York City, ma appena scendevo in Metropolitana mi perdevo. E' così complicata la metropolitana newyorkese che e' facile smarrirsi per un nuovo arrivato come me e che non parla neppure la lingua. I primi mesi, anzi i primi anni, sono stati difficili anche dal punto di vista del lavoro. Ero arrivato in America con un visto da studente e mi era difficile trovare lavoro perché non avevo il permesso per lavorare. Mi sono dovuto arrangiare a svolgere ogni tipo di mestiere per riuscire a pagare i miei studi. D. Quando si è sentito pienamente integrato nella società statunitense? Quando, dopo tanti anni di permanenza, ho ottenuto il diritto di cittadinanza, per la prima volta mi sono sentito completamente integrato nella società americana. Oramai parlavo bene l'inglese e sapevo più o meno il buono ed il cattivo tempo della società americana. Con il diritto di cittadinanza mi sentivo finalmente un integrato capace di scegliere, come tanti altri americani, tramite il voto tra il buono ed il cattivo programma politico. D. Quando si è sentito cittadino americano, cosa rappresentava per lei la Basilicata? Quando ho adottato l'America come nuova patria, l'Italia e la Basilicata sono diventate le madri abbandonate, ma sempre amate. Rimaneva e forse rimane ancora un senso di rancore, di colpa, di forse... e di ma... tanti punti interrogativi difficili da spiegare. D. Come è nata l'associazione lucana di cui è Presidente? L'associazione dei Lucani d'America e' nata dal nostro amore e attaccamento verso la nostra regione. Quando si vive all'estero bisogna affrontare tantissime difficoltà ed a volte e' facile smarrirsi, però in ogni individuo i valori assimilati da ragazzo sono molto importanti. I valori di tenacia, perseveranza, laboriosità, valori fondamentali della nostra regione, hanno aiutato tanti di noi lucani a resistere e col tempo a ben integrarsi in questo gran paese come l'America. D. Ci descrive l'attività dell'Associazione? A dire il vero le nostre attività sono saltuarie perché le distanze tra i nostri membri sono enormi. In ogni modo cerchiamo di perpetuare le nostre tradizioni, cerchiamo di passare i nostri valori alle nuove generazioni e soprattutto cerchiamo di promuovere l'immagine nuova della Basilicata che e' ben diversa da quella immortalata da Carlo Levi nel suo libro. D. Chi sono e cosa fanno oggi i lucano-statunitensi? I lucani d'America sono un po' come tutti gli Italiani d'America. Si sono inseriti in tutti i settori. Sono proprietari di pizzerie, di ristoranti, dottori, avvocati, architetti, elettricisti, idraulici, operai e via dicendo. D. Quali sono i suoi rapporti con la Basilicata oggi e pensa mai di ritornarci? I miei rapporti con la Basilicata sono forti. Come sociologo ho condotto recentemente una ricerca sul mio paese nativo ed ho pubblicato con una casa editrice potentina un libro, "Sulla collina del Sauro", che e' stato finanziato da alcuni imprenditori lucani d'America. Nel mio libro ho anche rielaborato alcuni suggerimenti forniti da studiosi americani della Basilicata. Invito tutti i lucani a leggere l'introduzione del libro e soprattutto le conclusioni. Il libro mostra il mio legame e amore verso la mia regione e il mio desiderio di lavorare per la mia terra nonostante sia così distante da me. Nel libro c'e' un messaggio importante per le nuove generazioni e per tutti quelli che vogliono uno sviluppo ed un miglioramento della nostra regione. D. Cosa non dimenticherà mai del suo essere immigrante? Ha qualche particolare episodio che vuole raccontarci? Si! Mi piace raccontare un episodio che mi ha aiutato a capire meglio l'America. Dopo pochi giorni dal mio arrivo a NYC ero assettato e affascinato di conoscere palmo a palmo la Grande Mela. Come ho detto prima non conoscevo l'inglese e nella metropolitana il più delle volte mi perdevo. Un pomeriggio mi spostavo da un treno ad un altro senza mai prendere quello giusto. Era ormai tarda sera e credo che ero finito nel South Bronx, un quartiere molto povero dove viveva la minoranza di colore. Gli amici, con tutti i loro pregiudizi e stereotipi negativi verso la gente di colore, mi avevano sempre consigliato di aprire bene gli occhi in certi quartieri. Ero sceso da un treno e dovevo attraversare il corridoio per prenderne un altro ed eventualmente riuscire a rientrare a casa. Purtroppo il corridoio era deserto tranne che per un gruppetto chiassoso di giovinastri che a giudicarli dal viso erano poco raccomandabili. Ho avuto paura di essere picchiato e derubato dei miei pochi spiccioli. Improvvisamente mi balzarono in mente tutti i pregiudizi e stereotipi della società americana verso la gente di colore. Da buon lucano m'inventai una strategia per superare il pericolo. Mi passai freneticamente le mani nei capelli per renderli follemente spettinati, slacciai la camicia ed iniziai a camminare come un pazzo od un ubriaco e con le mani in tasca pronto a tirare fuori una pistola o un coltello. Purtroppo non possedevo ne l'uno ne l'altro. Man mano che mi avvicinavo al gruppo di giovinastri, notavo, con grande sorpresa, che erano loro ad avere paura di me. Ancora oggi avrei tanta voglia di rivedermi per scoprire come mi ero combinato. Appena girai l'angolo mi riordinai i capelli, assunsi una posizione normale e tirai un respiro di sollievo. Ero stato un bravo attore. I giovinastri al mio avvicinarsi si erano acquietati guardandomi con preoccupazione, ma nel treno mi sentii colpevole di aver scambiato quel gruppetto di ragazzi di colore per gente pericolosa. Purtroppo ancora oggi in America non siamo riusciti a tollerarci e a rispettarci a vicenda. Ancora oggi la cultura americana e' basata su pregiudizi, stereotipi negativi, discriminazione e tanta generalizzazione. Forse quei giovinastri erano dei bravi ragazzi. Purtroppo anche noi italiani siamo stati, specie nel passato, etichettati come gente violenta, una massa di criminali e bruti. Sono stereotipi negativi su di noi da cui ancora oggi non siamo riusciti a liberarcene. D. Vuol dire qualcosa o lanciare un messaggio ai giovani lucani che oggi vivono in Basilicata e che ancora lasciano la loro terra per farsi una vita? Il messaggio che voglio lanciare alle nuove generazioni di lucani e' di vagliare bene la situazione, di non abbandonare la nostra terra ma di avere il coraggio d'inventare nuove strategie per fare progredire la nostra regione e il suo popolo. Peccato che tanti di noi abbiano usato questo coraggio altrove. Restate lì, se e' possibile, ed usate tutto le vostre capacità, la vostra tenacia, le risorse e soprattutto il senso di collaborazione per il benessere della nostra terra. Non c'è molto da aggiungere al messaggio del Signor Fortuna se non la speranza che la laboriosa perseveranza lucana mai si dimentichi della propria terra. (Saverio Romeo)

Redazione Consiglio Informa

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