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(ACR) L'ACQUA, COLLANTE TRA DIVERSE EPOCHE STORICHE
13 maggio 2004
(ACR) - Il futuro della Basilicata sarà costruito sull'acqua, o meglio sulla ricchezza della risorsa idrica. In un'epoca in cui la desertificazione avanza, le stagioni diventano sempre più torbide, l'acqua sarà l'«oro» dei prossimi anni. Il futuro della regione, dunque, sarà legato alle acque. Così come il suo passato. Già, perché anche nei secoli scorsi l'acqua è stato elemento di discrimine, il dato che ha permesso alle popolazioni dell'antichità di prosperare. Sia in epoca indignea, sia in epoca romana, infatti, la Basilicata, tra le diverse regioni meridionali, si è contraddistinta come terra particolarmente ricca d'acqua, grazie ai numerosi fiumi che l'attraversavano ed alla diffusione capillare di acque sorgive. Inoltre, anche diversi studi geomorfologici, hanno dimostrato come alcune valli della regione siano state,in età preistorica, ampi bacini d'acqua, trasformati, verso la fine del II millennio avanti Cristo, in fertili terre coltivabili. L'esempio più lampante di tutto questo viene, poi, dai numerosi laghi dislocati su diverse alture della regione tra i quali i laghi di Monticchio, e quello di Pignola. A cui si aggiungono le numerose sorgenti che sgorgano in tutte le aree del territorio, come documentano sin dall'antichità la Fontana Bandusia, a Banzi, o le Tavole di Eraclea. Ma i legami tra l'acqua ed il mondo antico emergono, in particolare, nella religiosità. I culti del passato, infatti, sono stati fortemente influenzati dall'acqua. E le tracce di uno di questi si possono trovare a Monticchio, dove alcuni scavi avvenuti tra la fine dell'Ottocento e la seconda metà del Novecento documentano la presenza di un santuario dedicata ad una figura femminile legata all'acqua. L'area è a non grande distanza dai più noti laghi che occupano il cratere eruttivo principale del vulcano spento del monte Vulture, ed il sito ha avuto il suo massimo splendore in età lucana.In particolare, il fatto che vi fosse venerata una divinità femminile è attestato dal ritrovamento di un deposito di materiali votivi, tra cui spiccano numerose terracotte figurate, rappresentati una figura femminile.Una dea importante a cui le popolazioni dell'antichità si rivolgevano per ottenere aiuto, protezione, cura. La testimonianza più evidente di tutto questo sono alcune statuette fittili votive, databili tra la fine del IV e l'inizio del III secolo avanti Cristo, per le quali l'iconografia più ricorrente è quella della figura femminile seduta, vestita con un himation (mantello) ed un chitone. Il cui capo è adornato da polos (copricapo), con una corona tra le mani o con la mano destra portata al grembo (figura ben nota in altre località della Lucania antica come Timmari e Fontana Bona di Ruoti). Se la dea risulta importante, comunque, non è ben chiaro di chi si tratta. Della più nota, Mefite, dea lucana con santuari sparsi in diversi punti della regione (come indicano alcuni elementi) o di un'altra divinità? L'unica certezza è che la raffigurazione richiama senza dubbio alla «mundus muliebris». Così come è evidente che ad un aspetto curativo e terapeutico sia legato il culto dell'acqua come conferma un cospicuo numero di ex voto anatomici ritrovati nello stesso sito. Gli «enigmi», dunque, restano. Per risolverli, forse, sarebbe necessaria una nuova campagna di scavi. Anche perché dopo il ritrovamento fortuito della stipe, l'area fu oggetto di una campagna di indagine negli anni '60. Un' indagine andata avanti per un periodo molto breve che ha permesso di identificare il sito della ricca fossa votiva in località Valco delle Crete (nell'area sud del Vulture vicino i Bagni di Monticchio). Conclusi gli scavi, però, la sorte del rilevante materiale non è stata delle più fortunate:la fortuita scoperta ottocentesca non è stata accompagnata da una analisi e uno studio rigorosamente scientifico e nel Novecento, tra gli anni Trenta e Quaranta, parte dei manufatti sono stati distrutti. «Quelle che sono state ritrovate a Monticchio sono le tracce di un culto interessante - commenta l'archeologo Massimo Osanna, direttore della scuole di specializzazione in archeologia di Matera - Il materiale rinvenuto è stato conservato presso il Museo provinciale di Potenza ma parte di esso è andato distrutto dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale».Tanto che quello che resta, oggi, a testimoniare ancora l'importanza dell'antico luogo di culto lucano, è tutt'ora conservato in bella esposizione nel Museo provinciale di Potenza, ma reca le tracce della infausta sorte (come confermano i segni di bruciato che presentano le terracotte). Insomma, un destino non particolarmente propizio per un sito che meriterebbe di essere valorizzato, che necessiterebbe di ulteriori approfondimenti e ricerche.Non solo perchè, nell'antichità, ha rappresentato un punto di riferimento sia per la vita umana, sia per la fertilità agraria. Ma soprattutto, perché potrebbe essere un ulteriore elemento di attrattiva turistica. (A.I.)