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La teoria del giocattolo povero
06 giugno 2011
(ACR) - È davvero una preziosa rarità e merita una considerazione non solo storica ma anche e soprattutto culturale e teorica il “Museo del Giocattolo Povero e del Gioco di Strada” di Albano di Lucania, che raccoglie diversi giocattoli poveri della tradizione popolare, bambole e più di 250 opere d'arte sul tema del gioco donate da noti maestri italiani e stranieri. La collezione al suo interno è sempre crescente. Il progetto generale, denominato ArcaGiò (Azione di ricerca, costruzione ed animazione di giochi e giocattoli della tradizione popolare) si avvale del patrocinio del Dipartimento di Scienze Pedagogiche e Didattiche dell'Università degli Studi di Bari e della collaborazione dell'Istituto Comprensivo di Albano di Lucania, Brindisi Montagna, Trivigno.
Ma quali sono stati i motivi che hanno portato all'ideazione e alla realizzazione del Museo? “A parte gli studi sulle tradizioni popolari ed una collezione personale di vecchi giocattoli – spiega il professor Donato Allegretti, ideatore e responsabile scientifico del Museo nato nel 1998 - è stata determinante l'assenza dal panorama museale, allora quasi totale, di istituzioni specificamente dedicate al giocattolo povero ed al gioco di strada. Sarebbe stato grave per il mondo culturale che un così ricco patrimonio demoetnoantropologico fosse andato disperso per scarsa considerazione e per la diffusione dei giochi tecnologici”. Il professor Allegretti risiede da tanti anni a Taranto, ma ha voluto far sorgere il Museo ad Albano di Lucania “perché è il mio paese natale e perché gli amministratori comunali hanno intuito l'importanza dell'istituzione che, promuovendo la cultura ed il turismo, dà al paese lustro ed incentivo economico”.
I giocattoli di una volta, poveri, cioè essenziali nella loro forma e struttura, in alcuni casi addirittura modestissimi e semplicissimi, potrebbero passare quasi inosservati, proprio oggi quando il confronto con i nuovi giocattoli contemporanei ne evidenzierebbe ancora di più l'estrema elementarità. I giocattoli poveri rimarrebbero così solo una superficiale traccia di un mondo che è completamente scomparso, una piccola testimonianza forse valida solo come un breve segmento della storia, senz'altro interesse. Ovviamente, al di là di giudizi negativi o positivi, il giocattolo riflette in qualche modo sempre una condizione storica, è sempre e comunque inserito in un contesto sociale specifico, ne testimonia i gusti, le tendenze, l'economia, la mentalità. Intuitivamente, al semplice sguardo, si riconosce subito un giocattolo povero, si capisce subito che non è fatto di materiali costosi, che la sua semplicità è indice di appartenenza ad una particolare classe sociale. Il Museo raccoglie questi giocattoli e li mostra nella loro silenziosa umiltà, come frammenti di una cultura che aveva difficoltà a riconoscersi pienamente nella sua diversità, nella sua specificità, perché anch'essa povera, non solo materialmente, economicamente ma anche di strumenti concettuali evoluti. Questa cultura si chiama, di solito, cultura folk.
Tuttavia, la cultura Folk ha la sua peculiarità, difficile da capire proprio perché rintanata in vissuti, pratiche, operazioni, valori non sempre codificati o codificati secondo modalità ristrette, dense, a volte allusive. È in questa peculiarità che vanno accolti ed interpretati i suoi prodotti tipici: proverbi, modi di dire, fiabe, credenze, usanze, giochi. Quindi anche i giocattoli poveri hanno il loro specifico senso, ma questo senso va ricercato nella densità semantica che la cultura Folk non ha saputo o non ha potuto esplicitare dettagliatamente, analiticamente secondo i criteri dell'autocoscienza intellettuale. Che senso può mai avere, ad esempio, il famoso gioco del cerchio? È un gioco semplice ed i suoi elementi materiali sono pochissimi, solo due: un cerchio, spesso un cerchio di botte, ed una bacchetta, di solito di legno. Il gioco consisteva nel far rotolare il cerchio imprimendogli colpi con la bacchetta. Tutto qui. Cosa ci può mai essere da capire? Forse era un modestissimo passatempo. Nei momenti liberi i bambini o i ragazzi non sapevano che fare, non erano assillati dai compiti di scuola come i ragazzini di oggi. Non c'era la televisione, né il computer né i cellulari. Quindi occupavano i loro minuti liberi con questo banalissimo gioco, che già a chiamarlo gioco, secondo le nostre menti civilizzate e sofisticate, può sembrare ridicolo.
A questo livello di analisi, livello semplicemente descrittivo, non sembra emergere niente di interessante, niente di significativo che possa permettere di parlare di cultura, anche se diversa e specifica. O forse questo gioco, come tanti altri dei tempi trascorsi, nasconde qualcosa che a prima vista sfugge? Se è vero e sostenibile che la cultura Folk racchiude dimensioni implicite di senso allora non deve essere difficile tentare itinerari interpretativi ulteriori che possano inoltrarsi al di là della semplice prima apparenza descrittiva. Probabilmente sarà più facile capire se si pratica personalmente il gioco del cerchio. Far rotolare un cerchio con piccoli colpi di bacchetta, mantenerlo costantemente in equilibrio, avere la pazienza della concentrazione per questo compito, riprenderlo quando cade e perseverare fino alla fine del percorso. Ecco, questi sono gli impegni cognitivi, volitivi, comportamentali per un gioco del genere. Un temperamento agitato o distratto non avrà buona riuscita nel praticarlo. Questo gioco apparentemente semplice richiede una notevole capacità di concentrazione. È semplice, per quanto riguarda la sua descrizione, ma non è affatto facile, per ciò che concerne la sua esecuzione. Semplice e facile non si identificano. Ed in questa differenza fondamentale si annida il senso autentico di molti giochi del passato. Inoltre, i giocattoli poveri, proprio a causa della loro semplicità strutturale, consentivano ampio spazio all'immaginazione. E l'immaginazione è una condizione necessaria per lo sviluppo delle capacità psichiche e cognitive.
I teorici del gioco, come ad esempio il filosofo Johan Huizinga, hanno sostenuto l'importanza del gioco come decisivo fattore culturale. Il gioco non è banale passatempo, non è attività frivola, ma è un'occasione particolare per lo sviluppo ed il controllo delle facoltà mentali. Oggi la ricerca scientifica sembra confermare questa linea interpretativa, mediante studi puntuali e verifiche sperimentali. Il giocattolo povero ed il gioco di strada hanno il loro senso proprio in questa direzione evolutiva, che è implicita, spontanea, inconscia. Grazie al gioco il ragazzo si diverte ma al tempo stesso impara qualcosa, tira fuori il suo potenziale, mette alla prova le sue abilità.
Al Museo di Albano di Lucania il visitatore ha l'opportunità di ammirare i giocattoli di un tempo, che stanno lì quasi in un silenzio misterioso, in una presenza umile ma evocativa, reperti di una cultura che aveva dinamiche nascoste ma concrete, antropologicamente vitali. Ogni giocattolo sembra invitare all'esplorazione del suo senso nascosto. Ogni esemplare è un frammento di storia, di quella storia che si è fatta quasi silenziosamente all'interno di una cultura che è rimasta ai margini dei grandi sistemi teorici, certo non per negligenza ma per la modestia delle sue capacità di codifica linguistico - concettuale. (L. C.)