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L'Ottocento lucano tra cuore e ragione
27 marzo 2012
(ACR) - A pochi giorni dalla chiusura dei festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d' Italia e con la mostra di Michele Tedesco nella città di Potenza, quasi un colpo di coda della memoria, si potrebbe per un attimo chiudere gli occhi e fermare in una tela un paesaggio essenziale del Risorgimento lucano.
Sembra strano, ma nella Basilicata del XIX secolo, un Sud degli altri Sud, batteva un cuore internazionale. Spiravano venti da tutte le direzioni e confluivano in un unico vortice di idee, opere e valori che non si è ancora riproposto nella contemporaneità. C'era il fermento per gli ideali liberali, per la costituzione di una Patria comune che rendesse tutti più liberi e forti, aneliti per nuove forme di governo e fede nelle capacità dell'uomo di migliorare il proprio presente. C'era il desiderio del Nuovo.
"La gioventù entusiasta mi spinse a cercare un nuovo indirizzo artistico e girando per la campagna mi sentii attratto a nuovi studi ed a nuove ricerche. Mi vi gettai con altri miei compagni che mi piace nominare fra i primi: Signorini, Borrani, Cabianca, Banti, Sernesi, Abbati, Michele Tedesco. Il 1859 e il 1866. Fu una cospirazione nuova, la guerra dichiarata all'Accademia e all'arte classica. Si chiamò la Macchia e fummo battezzati col titolo di Macchiaioli". In questa lettera Giovanni Fattori descrive efficacemente il clima di quegli anni, quando il lucano Tedesco è nel cuore delle avanguardie. Una lotta spietata contro il vecchiume, contro il canone che recide le ali alle sperimentazioni del pensiero nuovo.
Il 18 agosto 1860 sembra il traguardo di tanti "cospiratori" liberali, capaci di racchiudere tutte le varie anime risorgimentali da quella monarchica costituzionale a quella repubblicana. La Basilicata è stata la prima regione meridionale a combattere Francesco II e proclamare l'Unità. Questo primato le valse un Regio Decreto (n. 395 del 4-9-1898) grazie a cui il gonfalone comunale di Potenza fu insignito della medaglia per "benemerenza risorgimentale". Erano in 27 e solo 5 meridionali. Gli uomini lucani che hanno contribuito a questa data sono Giacinto Albini, i fratelli Pietro e Michele Lacava, Giacomo Racioppi, Gianbattista Pentasuglia. Uomini come Giustino Fortunato ed Emanuele Gianturco l'hanno consolidata.
Il 18 agosto 1860, però, non è soltanto la data d'arrivo della "rivoluzione" ma anche l'inizio della "controrivoluzione", quella per gli ideali traditi, le promesse mancate. La "reazione" a quel "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi" dei troppi "gattopardi". I lucani, i primi rivoluzionari e i primi reazionari. Dallo stesso ventre, sia carbonari sia briganti.
Un "brigante della parola" è stato lo scrittore, giornalista e politico Ferdinando Petruccelli della Gattina di Moliterno. Mazziniano convinto, dopo i moti del '48 fuggì in Francia, lì dove ebbe modo di conoscere personalità come Jules Michelet (di cui fu allievo dei corsi di storia), Daniele Manin, Pierre-Joseph Proudhon e Charles Darwin. Nel 1851, combatté assieme ai repubblicani contro il colpo di stato di Napoleone III ma, sfumata l'insurrezione, fu costretto ad abbandonare Parigi e riparare a Londra. Qui ha modo di prendere contatti con Giuseppe Mazzini, Louis Blanc e altri esuli democratici. In Gran Bretagna continuò l'attività giornalistica, lavorando per il Daily News di Charles Dickens. Dopo l'impresa dei Mille fu richiamato a Napoli ed eletto deputato nel collegio di Brienza. Si trasferì a Torino, allora sede del Parlamento italiano, sedendo sui banchi della sinistra storica fino al 1865. Rimase, tuttavia, molto amareggiato per come fu concepita la nuova Italia e perse l'entusiasmo che l'aveva caratterizzato inizialmente. Questo rammarico si tradurrà ne "I moribondi del Palazzo Carignano" (1862), uno dei suoi componimenti più famosi, considerato dal critico letterario storicista Luigi Russo "un piccolo capolavoro di arte e di critica politica" e da Indro Montanelli "la perla della nostra memorialistica del tempo". L'opera è lo specchio fedele di quel che era accaduto del Risorgimento italiano: sarcasmo e ironia per tracciare i profili dei suoi avidi colleghi parlamentari, dimentichi e volontari traditori dei valori comuni, con "pensiero ed azione" orientate esclusivamente a interessi egoistici. Anche in questo caso la lucidità d'avanguardia di un lucano ha scritto una verità della temperie culturale dell'epoca.
Il Petruccelli muore a Parigi nel 1890 e il consiglio comunale di Napoli vorrebbe portare le sue ceneri nel cimitero degli uomini illustri di Poggioreale. La moglie si rifiuta. Lo spregiudicato scrittore lucano soleva dire da vivo: "Tornando sott'altra forma alla vita, da vegetabile, in Inghilterra, sarò ben coltivato; da uomo sarò un moderno civis romanus in qualunque parte del mondo: da animale, sarò protetto dal Comitato che si occupa dei maltrattamenti delle bestie. In Francia, o clericale o comunardo. In Germania, e me ne dispiace, soldato e forse contro il mio paese d'una volta. In Svizzera, albergatore. Negli Stati Uniti, uomo ricco. In Italia... Non so quel che potrò essere in Italia".
La Basilicata al centro della cultura e del pensiero politico del XIX secolo, sì ma non solo. Uno dei più importanti rappresentanti della tradizione vichiana è lo studioso Cataldo Jannelli, nato a Brienza nel 1781. Era il periodo napoleonico e nel quadro del dibattito culturale sulle riscoperta di Giambattista Vico, seguendo le orme di Vincenzo Cuoco sull'importanza della storia e della filosofia della storia, Jannelli si inserì di diritto tra le voci dei più importanti degli storici del tempo. "Sulla natura e necessità della scienza delle cose e delle storie umane" (1817) è un saggio che si collocò in posizione originale tra i seguaci di Vico, capace di sviluppare un'autonoma riflessione sulla "Scienza Nuova" e la concezione della storia. Il saggio destò grande interesse nei contemporanei, attirando l'attenzione di storici della levatura di J. Michelet e di G.D. Romagnosi, e nel XX secolo di Croce, Gentile fino al recentissimo Eugenio Garin.
La cultura Nuova dei lucani non soffiava solo dalla pittura, dalla letteratura, dal pensiero giuridico, storico e politico, ma anche dall'agronomia. Un naturalista, nato a Rionero in Vulture nel 1776, contribuì al progresso delle discipline agronomiche del Regno. Il suo nome è Luigi Granata e nel 1824 dà alle stampe il suo trittico "Teorie elementari per agricoltori". Con un intento divulgativo, chiaramente dichiarato nella prefazione, l'opera espone, con ordine e lucidità, cognizioni che, ancora rigettate da voci autorevoli del tempo, saranno destinate a imporsi come i pilastri delle conoscenze agrarie posteriori. Sul terreno della fisiologia vegetale il Granata professa l'origine atmosferica del carbonio assorbito dalle piante; su quello chimico attribuisce al lievito, di cui non può, palesemente, definire la natura vivente, il ruolo di agente della fermentazione; su quello patologico asserisce la natura crittogamica delle fondamentali malattie dei vegetali. Grazie al successo delle Teorie, Granata si collocò al centro della cultura agronomica del Reame e, avvalendosi del proprio prestigio, si impegnò per la creazione di un'azienda sperimentale che assolvesse alle finalità di sperimentazione e divulgazione. Una fattoria sperimentale era l'obiettivo di tutti gli alfieri dell'agronomia europea e tra questi il Granata. Ricalcando le orme dei padri dell'agricoltura moderna, il lucano promuoveva la costituzione di una società per azioni che avrebbe dovuto acquisire un latifondo di 2099 moggi napoletani (706 ettari) nella piana di Eboli, coltivato secondo il più arcaico sistema cerealicolo-pastorale, e intraprendervi un piano di trasformazione che ne facesse un'azienda agraria e zootecnica d'avanguardia. La testimonianza sull'apprezzamento dell'opera del Granata arriva da parte del più autorevole cenacolo di studi agrari, l'Accademia dei Georgofili, la storica istituzione fiorentina che dal 1753 promuove, tra ricercatori e proprietari agrari, gli studi di agronomia, selvicoltura, economia e geografia agraria. La recensione fu del più importante georgofilo rinascimentale: Cosimo Ridolfi.
Questa "retrospettiva" partita dal più importante pittore lucano del Risorgimento, Michele Tedesco, a lui torna. La pittura e la poetica di Tedesco sembrano essere una metafora eloquente di quel "mitico XIX secolo lucano": uno scontro viscerale tra istinto e ragione, che ben si sostanzia nelle parole di Roberto Bracco, tra i più grandi autori del teatro del Novecento, diverse volte candidato al Premio Nobel per la letteratura. In merito alla tela "Invasione di una scuola pitagorica in Sibari" esposta a Londra, il Bracco scrive: "Michele Tedesco, l'ordinatore a Londra della mostra napoletana, di cui la rettitudine e la solerzia bene compendiano tutta la responsabilità di questa rappresentanza meridionale della pittura italiana, esponendo una grande tela, nella quale si vede agevolmente il prodotto d'un lungo e profondo studio storico e d'un lavoro arduo e penoso, dà prova d'una fermezza di propositi assai onorevole e benefica, qui dove si dubita alquanto della lena e della tenacia e della cultura dei pittori nostri. Egli ha ricostruito una scena dell'antico sibarismo, molle, impudente, invadente. E, infatti, il quadro raffigura una comitiva di giovani e splendide e voluttuose sibarite che, sdraiate sopra un carro, invadono il recinto d'una di quelle scuole pitagoriche -consensi monastici- austeri, riuniti lontano e in odio ai sibariti- delle quali gli avanzi di Metaponto ricordano ancora la gravità dei colonnati. E, mentre le donne, inebriate, schiamazzano e beffeggiano mettendo a soqquadro gli erbaggi- il cibo dei pitagorici, vegetariani- essi, sprezzanti e dignitosi, non interrompono le filosofiche discussioni. Voi capite, signori, che mettersi a dipingere un quadro di questo genere, se non è pazzia, è certamente un eroismo". (C. B.)
Fonti
- Storia del Parlamento Italiano, di AA.VV., vol. V - Flaccovio, Palermo 1968
- I grandi lucani nella storia della nuova Italia, di S. Cilibrizzi - Conte Editore, Napoli s.d. (ma 1956)
- Saggio di biblioteca basilicatese, di G. Gattini - La Scintilla, Matera 1908 (ristampa di Arnaldo Forni Editore, 1978
- Treccani.it Biografie
- La Basilicata nel Risorgimento, Raffaele Ciasca , Calice Editori, Rionero, 1996.
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Miticalucaniamagica, Giuseppe Valente, Provincia di Potenza, 2007