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Unità d’Italia e brigantaggio, opinioni a confronto
03 gennaio 2018
Il dibattito nel convegno a Rionero dopo la mozione di Leggieri e Perrino, approvata dall’Assemblea, sull’istituzione del “Giorno della memoria” per ricordare i caduti del risorgimento italiano e quella, di contenuto diverso, presentata da Santarsiero
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(ACR) - La caduta dei Borbone, l’unità d’Italia e gli eventi che caratterizzarono il Risorgimento sono tra gli avvenimenti che hanno contraddistinto la storia del nostro Paese. Il percorso di unificazione non fu certo indolore e il Risorgimento pone questioni su cui ancora si dibatte: il divario tra Nord e Sud; uguali provvedimenti destinati ad aree e realtà tra loro diverse; il valore del brigantaggio; l’arretratezza del Mezzogiorno rispetto al Nord che continua a caratterizzare la storia dell’Italia.
Il 17 marzo 2011 il nostro Paese festeggia i 150 anni dell’unità d’Italia: il 17 marzo del 1761 segnò, infatti, la nascita del Regno d’Italia che riuniva in un solo Stato tutti i precedenti Stati preunitari. Un percorso di unificazione non certo indolore visto che il Risorgimento pone questioni di cui ancora oggi si dibatte: il divario tra Nord e Sud; uguali provvedimenti destinati ad aree e realtà tra loro diverse; il valore del brigantaggio; l’arretratezza del Mezzogiorno rispetto al Nord che continua a caratterizzare la storia dell’Italia.
Come in tutta Italia, anche in Basilicata sono molte le iniziative ideate per celebrare il 150° e molte le riflessioni proposte in ricordo di tutti coloro che lungo il percorso risorgimentale prima e per la difesa della Patria dopo hanno dato la loro vita.
Un punto che, a distanza di sei anni, si ritrova tra le motivazioni alla base di una mozione presentata dal Movimento cinque stelle in diversi Consigli regionali del Sud - Basilicata, Campania, Puglia, Molise, Sicilia, Abruzzo - che prevede l’istituzione di una giornata per commemorare le vittime meridionali del processo di unificazione. La data proposta per il ricordo dei martiri del Risorgimento è quella del 13 febbraio, il giorno in cui, nel 1861, cadde l’ultimo baluardo difensivo dei Borbone di Napoli, la fortezza di Gaeta, in cui aveva trovato rifugio Francesco II.
Ne scaturisce un dibattito a livello nazionale, non solo politico ma anche culturale, caratterizzato da posizioni opposte: per gli esponenti del Movimento si tratta di un’occasione per riaprire un dibattito sulla storia e sulla memoria di quel periodo, basandosi su una rilettura degli eventi che caratterizzarono quel momento della vita del Paese. Per gli oppositori, la proposta rappresenta invece la manifestazione di una volontà secessionista animata da spirito neoborbonico che faceva leva in maniera strumentale sulle insoddisfazioni relative allo sviluppo del Mezzogiorno.
Lo scenario in Basilicata
In Basilicata, la mozione presentata dai consiglieri regionali del Movimento, Gianni Perrino e Gianni Leggieri, viene approvata a maggioranza il 7 marzo del 2017 con 12 voti favorevoli di Pd, Pp, M5s, Gm e l’astensione del presidente del Consiglio regionale Mollica. Il documento impegna il presidente della Regione e la Giunta a promuovere l’istituzione del “Giorno della memoria per ricordare gli eventi e i caduti del risorgimento italiano” da celebrare il 13 febbraio. Inoltre, al Governo regionale viene attribuita la promozione di convegni ed eventi destinati a ricordare le vicende risorgimentali che coinvolgano anche istituti scolastici di ogni ordine e grado.
Nella mozione viene ricordato il numero di vittime cadute in nome dell’unità d’Italia - almeno 20 mila meridionali, sebbene autorevoli storici parlino addirittura di 100 mila vittime - e i paesi rasi al suolo; in particolare si ricorda la strage di Pontelandolfo e Casalduni. Ancora, viene evidenziato come nella maggior parte dei testi scolastici e universitari, le pagine più oscure della storia d’Italia siano appena annoverate e come mai si sia pensato di istituire una giornata ufficiale della memoria dedicata ai meridionali che perirono in occasione della procedure di annessione del Mezzogiorno. Di qui la proposta di istituire il giorno della memoria e di scegliere come data quella del 13 febbraio, cioè il giorno della fine dell'assedio di Gaeta che segnò la conclusione di una pagina controversa della nostra storia.
Di lì a pochi mesi, nel settembre del 2017, il consigliere regionale del Pd Vito Santarsiero, che aveva votato per l’approvazione della proposta del Movimento, presenta a sua volta una mozione con cui chiede l’annullamento del documento approvato il 7 marzo; impegna il Consiglio regionale a favorire un dibattito su aspetti, momenti e protagonisti che hanno caratterizzato il percorso risorgimentale in Italia, nel Mezzogiorno e in Basilicata; impegna la Giunta regionale a favorire, nei percorsi didattici di alternanza scuola lavoro, attività finalizzate all’approfondimento della conoscenza del profilo storico della nostra regione, con particolare attenzione al periodo risorgimentale e allo Stato unitario, e a istituire, in accordo con la Deputazione lucana di Storia Patria e l’Università degli Studi della Basilicata, assegni e borse di studio destinati a Dottori di Ricerca, dottorandi e laureandi.
Santarsiero descrive l’approvazione della mozione del Movimento cinque stelle come una “imperdonabile distrazione di tutti i consiglieri, eccetto che del presidente dell’Assemblea Mollica, che probabilmente furono tratti in inganno dall’idea che nelle intenzioni dei promotori ci fosse soltanto una condivisibile richiesta di condanna di ogni forma di violenza e di pietoso ricordo di tutte le vittime”.
La presentazione della stessa mozione in altre Regioni e Comuni del Sud e anche in Senato dove - spiega Santarsiero - “il senatore Sergio Puglia aveva posto sullo stesso piano piemontesi e nazisti, fa rientrare la mozione in una strategia di promozione di un pericoloso sentimento antiunitario teso a recuperare consenso vivificando il mito di una presunta età dell’oro borbonica esaltata, in modo assolutamente antistorico, in contrapposizione alle difficoltà che il Mezzogiorno d’Italia (con l’Italia intera) si è trovato ad affrontare nel periodo postunitario”.
La richiesta di Santarsiero è quindi non solo di rivedere la decisione presa, ma di ripristinare la salvaguardia della verità storica che è quella di un popolo che insorge contro i Borboni, con la città di Potenza che il 18 Agosto 1860 dà inizio alla rivolta lucana e che per questo gesto è stata insignita della medaglia d'oro al valore risorgimentale.
Segue la replica dei consiglieri del Movimento, Leggieri e Perrino: a loro parere le dichiarazioni di Santarsiero stravolgono il vero senso mozione che è quello di chiedere giustizia e memoria per le migliaia di persone del meridione che hanno pagato con la vita il processo di unificazione del Paese. “Non si capisce - dicono Leggieri e Perrino - perché rappresenterebbe un problema il fatto che la mozione faccia parte di un’azione concertata con altre regioni del Sud. L’impressione è che si continui a distorcere la realtà in maniera strumentale per tentare di evitare che vengano divulgate alcune inoppugnabili verità storiche sul processo di unificazione italiana. Santarsiero, infine, avrebbe fatto meglio a tacere sul ruolo svolto dalla Città di Potenza nel Risorgimento. Alcuni storici hanno chiarito, dissolvendo ogni stantia retorica risorgimentale, che il Sud fu annesso dal Regno sabaudo e che vi fu un movimento di forte resistenza da parte dei cosiddetti briganti che ebbe inizio nell’aprile del 1861 proprio in Basilicata”.
Unità d’Italia e brigantaggio, il convegno
In questo contesto di dibattito interno all’Assemblea consiliare regionale, la Presidenza del Consiglio decide di promuovere il convegno “L’unità d’Italia e il brigantaggio: opinioni a confronto” e di organizzarlo nello scorso mese di novembre a Rionero, paese di origine del brigante lucano più famoso, Carmine Crocco.
Un’occasione, spiega il presidente del Consiglio regionale Mollica, per riprendere la discussione sull’Unità d’Italia dopo il dibattito che si è sviluppato in Basilicata rispetto alla mozione del M5S. “È un valore l’unità
d’Italia o lo è il brigantaggio? La storia generalmente va riscritta dopo 150 o 200 anni: se invece ciò avviene immediatamente dopo, vuol dire che è scritta dai vincitori. Sono differenti le posizioni che vengono fuori da tanti organismi, come la Deputazione lucana di Storia Patria o dallo stesso Consiglio regionale e il dibattito è ricchezza, è un elemento di democrazia. Questo incontro rappresenta la prima tappa di un percorso di “riscrittura” della storia utile a far ripartire la ricerca scientifica e storica al di là dei differenti punti di vista. Il Consiglio regionale vuole mettere in moto un meccanismo di ricerca storica e scientifica basata su dati reali ed è per questo che il percorso deve essere portato con il necessario supporto scientifico e in collaborazione con l'Università degli Studi della Basilicata. Non possiamo sminuire l’unità d’Italia. Il nuovo regionalismo è in fase di discussione ed è proprio in questo momento che dobbiamo rivedere la questione meridionale, per non tornare ad essere nuovamente briganti”.
Dopo i saluti del sindaco Luigi Di Toro, di Rachele Verrastro, vicepresidente della locale Pro loco, e dopo l’intervento di Serena Carrano, autrice del libro “Maria Rosa Marinelli - Un fiore di bellezza tra i briganti”, è intervenuto Antonio Lerra, presidente della Deputazione lucana di Storia Patria.
La sua posizione di docente universitario e di storico è molto chiara: il processo di costruzione della Nazione è stato ampio e articolato, ma occorre sgombrare il campo, al Sud e in Basilicata, da semplicistiche rappresentazioni dell’unità d’Italia come un evento subìto dal Sud. L'Unità d'Italia è un bene prezioso che va tutelato, salvaguardato e ulteriormente valorizzato. Nella sua relazione Lerra ha ricordato come negli anni scorsi, e in particolare in occasione del 150° dell'unità d'Italia, il Mezzogiorno e la Basilicata siano stati protagonisti di prima fila del processo di costruzione dell’unità del Paese. Altra è invece la questione del brigantaggio post che va rapportato alle politiche seguite dai primi governi dell'Italia unita che attuarono provvedimenti che piovvero uguali su realtà differenti.
“I riflessi negativi che ne conseguirono accentuarono – spiega Lerra - le delusioni nelle popolazioni che avevano pensato che con l'unità d'Italia si potessero risolvere una serie di problemi. Quella del brigantaggio è una questione complessa e articolata che va almeno distinta per fasi. Ci fu all'inizio, durante il 1861/62, da una parte una sottovalutazione, dall'altra la scelta consapevole dei governi nazionali di minimizzare tutto quello che stava avvenendo nel Mezzogiorno per non mettere in discussione un aspetto rispetto all'Europa che l'Unità d'Italia avesse creato dei problemi. Intanto nelle province meridionali, e in Basilicata in particolare, si andarono accentuando azioni brigantesche in una fase in cui sia la dinastia dei Borboni sia anche tutta la parte conservatrice, utilizzò il brigantaggio come strumento pensando di tornare indietro rispetto al processo unitario”.
Per il presidente della Deputazione lucana, non è quindi da minimizzare la dimensione politica che il brigantaggio ha avuto e la sua sottovalutazione a livello nazionale e locale. Va poi fatta una distinzione tra il periodo precedente alla legge Pica e quello successivo. All’emanazione di questa legge seguì quella fase durante la quale si accentuarono da un lato le azioni brigantesche, dall'altro le azioni contro i briganti nelle varie comunità locali: ci si trovò così di fronte ad una guerra fratricida le cui responsabilità vanno ricondotte innanzitutto a livello di politiche e di provvedimenti nazionali. “Non va sottovalutata - evidenzia Lerra - la dimensione politica che il brigantaggio ha avuto e la sua gestione come strumento per tornare indietro rispetto al processo unitario e per sminuire di questa dimensione a livello nazionale e locale”.
Il convegno rappresenta anche un momento di confronto pubblico a due voci fra i promotori delle mozioni di contenuto opposto.
Santarsiero ammette il passo falso del suo voto favorevole alla mozione approvata in Consiglio regionale e sottolinea come quel documento si presti a molti equivoci: celebrare il 13 febbraio equivale a ricordare il momento in cui, con la caduta di Gaeta, Francesco II fu costretto ad abbandonare definitivamente il Mezzogiorno e quindi a fornire una lettura negativa di quell'evento. Invece il Mezzogiorno aveva bisogno di liberarsi da una dominazione borbonica che, soprattutto nelle aree interne e in Basilicata, era stata nefasta.
“Parliamo - spiega Santarsiero - di un periodo storico in cui la popolazione era priva di una coscienza di classe, in cui mancavano infrastrutture e in cui anche l’economia era in arretratezza: fu questo il risultato del governo dei Borboni. Nel 1860 la nostra regione viveva una condizione spaventosa di miseria, abbandono e isolamento, per cui quella mozione andava in una direzione che assolutamente non condivido. L’individuazione del 13 febbraio, della data in cui furono proprio i Borboni ad essere sconfitti, vuol dire riportarci a quello che era il loro intento e cioè alimentare la rivolta antiunitaria. Occorre fare attenzione a qualsiasi azione che sappia di nostalgia rispetto a chi, per secoli, ha indebolito il Meridione”.
“Nella mozione che abbiamo presentato e che è stata approvata lo scorso 7 marzo - ha replicato Perrino nel suo intervento - parliamo di una vicenda complessa che non può essere ridotta al dualismo tra anti e pro borbonici. Eppure siamo stati accusati di nutrire un sentimento antiunitario e di voler minare l'unità d'Italia. Non ci sono richiamami ad una volontà di questo tipo in nessuna parte del testo della mozione”.
Perrino chiarisce come il Movimento non abbia alcuna pretesa di riscrivere la storia tout court, ma che sia convinto che quel processo di unificazione nato dal Risorgimento sia stato piuttosto un’annessione. La dimostrazione? Le condizioni economiche e sociali in cui ancora oggi versa il Sud del Paese rispetto a quelle della restante parte dell'Italia, anche con la responsabilità degli esponenti politici che non hanno fatto valere le ragioni della propria terra.
Opposta la visione di Santarsiero: non si trattò di un’annessione ma di un processo che vide protagonisti i meridionali e i lucani. Piuttosto, quindi, fu una dimostrazione di orgoglio e una riprova di un sentimento democratico e unitario forte. “È certo - chiarisce Santarsiero - che la fase post unitaria non è stata gestita in maniera adeguata e giustamente viene sollevato il tema della condizione del Mezzogiorno e delle politiche dello Stato unitario che non sempre sono state adeguate alle sue esigenze, ma tutto ciò non ha nulla a che vedere con rigurgiti neo borbonici di cui non abbiamo assolutamente bisogno”.
Perrino chiarisce poi che l’intenzione non è quella di riscrivere la storia ma di rileggerla, analizzando tutti gli avvenimenti e tutte le prospettive. “Nel mio percorso formativo sono arrivato ad un'età molto avanzata prima di conoscere specifici episodi come quelli di Pontelandolfo, di Casalduni, di solito completamente ignorati. Non credo sia uno scandalo che questi avvenimenti si conoscano ed è giusto che ci sia una rilettura più attenta della storia”.
La replica di Santarsiero: “Quello di cui oggi abbiamo bisogno è di tornare ad un grande protagonismo del Mezzogiorno rispetto ai processi di crescita che lo interessano. Non possiamo vivere di una rivendicazione identitaria di tipo consolatorio ma dobbiamo far sentire la voce nelle classi dirigenti rispetto a molte storture che riguardano le politiche nazionali nei riguardi del Mezzogiorno”.
“La questione del Mezzogiorno non è l’unica, precisa Perrino. Oggi è tutta l'Italia ad essere in affanno rispetto alla politica internazionale. La falsa Europa dei popoli dei nostri tempi è come l'annessione del Sud per l'unità d'Italia”.
Queste le posizioni interne al dibattito politico. Tuttavia, come conclude il prof. Lerra, “opinioni, romanzi e storia non sono intercambiabili. Per questo la Deputazione lucana di Storia Patria sta portando avanti un’intensa operazione di scavo archivistico e di rilettura di testi e di documentazioni in senso critico e senza schemi precostituiti e ideologizzati”.
Oltre a questo specifico cantiere di ricerca già in essere, c’è in programma un convegno scientifico nazionale per confrontarsi su una rilettura rigorosa e seria della questione brigantaggio in rapporto al periodo post unitario e quindi alle scelte di parte governativa che furono fatte. Un’occasione – spiega Lerra – per fare in modo che “su una questione come questa, che costituisce un elemento caratterizzante il profilo storico del Mezzogiorno e della Basilicata, si possano evitare finalmente facili strumentalizzazioni e disinvolte letture, spesso ancorate non nella storia ma in letture romanzate che danno del Mezzogiorno preunitario una visione da Paradiso che assolutamente non risponde alla realtà storica”. (Va. Col.)
Fonti
Interviste raccolte a Rionero in Vulture il 13 novembre 2017