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Lucani insigni 2017, Giuseppe Lupo

20 agosto 2018

Crea nuove geografie e nuovi mondi, è cosi che ammalia il pubblico italiano lo scrittore pluripremiato per diversi suoi romanzi. Collabora con “Il Sole 24 Ore” e “Avvenire” e dirige la rivista “Appennino”, edita dal Consiglio regionale della Basilicata

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(ACR) - A volte fa bene andare via, a volte è necessario. Sicuramente per Giuseppe Lupo lasciare la Basilicata è stato utile per costruire un immaginario che della Lucania è profondamente intriso. La distanza – ammette spesso lo scrittore - gli ha permesso, paradossalmente, di conoscere ancora più a fondo la propria terra.

Classe 1973, originario di Atella dove ha trascorso l’infanzia, a Milano è approdato giovanissimo per proseguire studi e carriera, e cominciare un’avventura fatta di storie: storie scoperte, nella sua intensa e raffinata attività di saggista, e storie inventate, distribuite al pubblico in un susseguirsi di titoli, tutti premiati e di successo.
In Basilicata Giuseppe Lupo torna spesso, in un passaggio necessario “come fare carburante prima di un viaggio. Per me uomo, prima che per lo scrittore, la Basilicata significa una maniera di essere, di stare al mondo e di guardare al mondo”. Si dice convinto che nessuno, andando via dalla Basilicata, può davvero dimenticare di essere lucano.
Docente di letteratura italiana contemporanea presso l’università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano e Brescia, è insegnante e divulgatore appassionato, recupera opere inedite o ingiustamente dimenticate del secolo scorso.

Giuseppe Lupo è uno degli scrittori contemporanei italiani più amati dal pubblico e dalla critica, dal tratto delicato e leggero, quello di chi affida alla parola la potenza del significato, pesato ogni volta. Il Consiglio regionale ha voluto assegnargli una speciale onorificenza nell’ambito del premio “Lucani Insigni 2017”. Ambasciatore a tutti gli effetti della Lucania di cui fa scoprire, attraverso la sua opera di scrittore, docente e divulgatore, l’anima più moderna, privata dei luoghi comuni, depurata da un certo sguardo nostalgico verso il passato. “Abbiamo amato Levi e Scotellaro che erano testimoni di un mondo contadino, è stato giusto aver approfondito e valorizzato quel tipo di sguardo. Ma oggi, - dice - abbiamo bisogno di un’altra prospettiva, di una nuova chiave di lettura”. Quella che ha trovato negli autori del Novecento e, in particolare, in Leonardo Sinisgalli, di cui è uno dei più profondi conoscitori.

Il saggio “Sinisgalli e la cultura utopica degli anni Trenta”, edito da Vita&Pensiero nel 1996, gli è valso il premio Basilicata nel 1998. Di recente ha invece pubblicato per Edizioni di Comunità “La letteratura al tempo di Adriano Olivetti”.

“Sinisgalli – dice - rappresenta il modello narrativo della Basilicata degli artigiani, di chi investe sul fare piuttosto che sul subire. È il modello che si è imposto con il mutare delle rotte geografiche e delle rotte storiche e con la globalizzazione. Per raccontare la Basilicata oggi bisogna trovare chiavi di lettura diverse: quella di Sinisgalli è oggettivamente una chiave di lettura più moderna”.
Anche Lupo ha individuato una personale traccia di lettura (e racconto) della Basilicata: ne ha disseminato pezzetti in ciascuno dei suoi romanzi. È questa la geografia che si è costruito: “La geografia - spiega Lupo - non è solo un luogo di confini, orizzonti e montagne. È soprattutto la lingua che parliamo. Così la geografia attraverso cui parla uno scrittore è la lingua attraverso cui scrive: è la maniera in cui legge il mondo£.  E la lingua che abita Lupo ha molto a che vedere con la geografia lucana.

“La Basilicata è un grande magazzino di storie, di personaggi, di situazioni, a volte paradossali, a volte talmente realistiche da non credere siano fantastiche”. Accade, per esempio, per “L’ultima sposa di Palmira”, il romanzo pubblicato da Marsilio nel 2011 che lo ha portato nella cinquina finalista del premio Campiello: una giovane antropologa segue tra le pagine la vita e la sopravvivenza del piccolo borgo devastato dal sisma del 1980, Palmira appunto, di cui le mappe geografiche non indicano l’esistenza.

Nel romanzo, il terremoto che colpì l’Irpinia e la Basilicata è l’incipit necessario alla storia. Per la Basilicata e per la vita stessa di Lupo il terremoto del 1980 è stato un crocevia.
“Il terremoto ha cambiato per sempre la faccia di questa regione, le ha dato un nuovo destino modificando la storia, la geografia, il profilo. Ma ha cambiato anche il mio, di destino”. Proprio dopo il sisma del 1980 Lupo è diventato un avido lettore e ha recuperato una vocazione che non immaginava di possedere: riconoscere le storie. “Ricordo gli anziani del paese che continuavano a raccontare e ribadivano l’importanza del raccontare. Solo più tardi capii il portato di quella lezione: poter raccontare significa essere vivi, raccontare è un modo di affermare di essere nel mondo”.

L’esordio in narrativa arriverà qualche anno più tardi, nel 2000, con “L’americano di Celenne” (Marsilio), con cui nel 2001 ha vinto il premio Giuseppe Berto e il premio Mondello opera prima, e nel 2002, in Francia, il Prix du premier roman. Successivamente ha pubblicato i romanzi “Ballo ad Agropinto” (Marsilio, 2004), “La carovana Zanardelli” (Marsilio 2008; Premio Grinzane Cavour-Fondazione Carical e Premio Carlo Levi), “L’ultima sposa di Palmira” (Marsilio 2011; Premio Selezione Campiello e Premio Vittorini), “Viaggiatori di nuvole” (Marsilio 2013; Premio Giuseppe Dessì), “L’albero di stanze” (Marsilio 2015; Premio Alassio Centolibri-Un autore per l’Europa; Premio Frontino-Montefeltro; Premio Palmi). “Gli anni del nostro incanto”, sempre edito da Marsilio, è la sua ultima opera. Il romanzo percorre la storia del Paese dagli anni del boom economico ai drammatici anni di piombo attraverso l’incontro-scontro generazionale di una famiglia, in cui scorrono nord e sud, velocità diverse, tempi diversi.

A proposito di geografia e racconto, Lupo è autore di “Atlante immaginario. Nomi e luoghi di una geografia fantasma” (Marsilio 2014), una sorta di zibaldone contemporaneo in cui suggestioni letterarie, personaggi immaginari e pensieri personali costruiscono una particolarissima finestra sul mondo.

Ogni storia, però, ha un proprio tempo. Lupo non accetta lo stereotipo dello scrittore che, seduto alla scrivania, raccoglie l’illuminazione e produce di getto un intero romanzo. Le storie - spiega - possono riposare a lungo in un cassetto della mente, vanno tenute lì, elaborate, metabolizzate. E scritte solo quando hanno la possibilità di vivere e resistere. Come è successo per “L’albero di stanze”: un romanzo che ha impiegato quarant’anni a diventare libro.

“Un cammino lungo, molto lungo, cominciato quando io frequentavo la scuola elementare e pensavo a come raccontare la storia di una famiglia vissuta cento anni dentro un edificio di ventisette stanze: quattro generazioni che si sono affacciate nel Novecento e una, la quinta, già proiettata nel Duemila. A quell’epoca (appunto quarant’anni fa) io mi chiedevo non cosa raccontare: l’idea era abbastanza disegnata in testa, precisa, scontornata delle cose inutili. Mi chiedevo come raccontare: in che modo dare forza a questa storia, quale espediente trovare per soddisfare le mie aspettative. Confesso che avrei voluto scrivere questo libro già in passato. Probabilmente l’ho anche fatto: il mio primo abbozzo di romanzo, scritto a vent’anni, si intitolava “La casa aperta, d’estate”. Un testo alla Pavese (di cui a quell’epoca leggevo tutto), che diceva di una famiglia dispersa, che tornava a radunarsi solo in agosto, nel mese delle ferie. Però, però… C’erano tanti però intorno a quelle pagine, che non diedi a nessun editore e che ho tenuto lì, sotto una pila di fogli impolverati, come il lievito nel futuro pane, in attesa di giorni migliori. In quel tentativo di scrittura c’era qualcosa che non mi convinceva, che mi faceva dire a me stesso: ciò che racconti può essere interessante, però non bruciare la legna troppo presto, aspetta che si faccia secca e leggera. Ho aspettato che la legna invecchiasse con me”.

Dal 2015 dirige la rivista “Appennino”, edita dal Consiglio regionale della Basilicata e dal 2017 la rivista “Studi Novecenteschi”. È consulente presso alcuni editori, dirige la collana Novecento.0 presso Hacca Editore e la collana Atlante letterario presso l’Editrice La Scuola. È inoltre una delle firme delle pagine culturali dei quotidiani “Il Sole 24 Ore” e “Avvenire”. Fa parte di importanti giurie di premi letterari: premio Giuseppe Berto, premio Biella Letteratura e Industria, premio Basilicata, premio Giuseppe Dessì, premio Carlo Levi, premio Omegna, premio Mondello. (S.L.)

Bibiografia
http://docenti.unicatt.it/ita/giuseppe_lupo/
https://www.youtube.com/watch?v=fY3g_a_3X14
http://stream24.ilsole24ore.com/video/notizie/giuseppe-lupo-/ACgppAsC
http://www.hounlibrointesta.it/2015/10/01/giuseppe-lupo-ci-racconta-lalbero-di-stanze/




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