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Lucani insigni 2017, Pietro Laureano
26 settembre 2018
Architetto, urbanista, consulente Unesco per la gestione degli ecosistemi in pericolo, a Laureano si deve l’inserimento dei Sassi di Matera nel patrimonio Unesco. Oggi continua a sostenere che il modello Matera va esportato a tutta la regione
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(ACR) - Non solo Matera, ma la Basilicata tutta, deve molto a Pietro Laureano, architetto, urbanista e studioso nato a Tricarico nel 1951, laureatosi a Firenze e divenuto, lungo il suo ricco percorso professionale, l’artefice dell’iscrizione, nel 1993, della città dei Sassi nella lista del patrimonio mondiale Unesco, primo sito del Sud Italia a ottenere questo riconoscimento, ottavo in Italia.
Il premio di “Lucano Insigne 2017”, conferitogli il 25 marzo scorso durante una cerimonia che si è svolta a Venosa nella chiesa-convento di San Donato, riconosce la lungimiranza e l’importanza dell’intuizione di Laureano, già allora referente per gli ecosistemi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (più che mai fondata oggi), con Matera ormai meta turistica consolidata e addirittura Capitale europea della Cultura. Un’intuizione frutto dell’esperienza maturata negli anni di collaborazione con l'Unesco: “Già da qualche tempo a proposito di conservazione dei centri storici - spiega l’architetto - avevamo cominciato a capire che prima che alla salvaguardia dei monumenti bisognava pensare ai problemi ambientali, di tutela e conservazione degli ecosistemi in cui tali monumenti erano inseriti. Esemplare era il caso di Sana’a nello Yemen, dove lavorai per un periodo e dove la priorità, ci fu subito chiaro, non era proteggere le mura e il centro storico, ma risolvere il problema delle acque dei pozzi della città, che scendevano di 3 metri ogni anno, pregiudicandone l’esistenza futura”.
In linea con queste preoccupazioni, nel ‘92 arrivava il vertice della “Terra di Rio”, il piano di azione “Agenda 21” e la consapevolezza che i principali problemi ambientali potevano causare, se non risolti, un’emergenza di dimensioni mai viste entro il 2030. L’Unesco elabora il concetto di “paesaggio culturale” e un nuovo modo di preservare quegli ecosistemi che utilizzavano pratiche antiche per il risparmio di risorse, in armonia con l’ambiente. Metodi che lungi dal rappresentare il passato, costituiscono una proposta per il futuro. Pietro Laureano, nel ‘93, ritorna alle origini, alla Basilicata, a Matera, in un percorso quasi circolare della sua vita e della sua carriera iniziata alla fine degli anni ‘70 a Firenze. E’ qui che, dopo la laurea, sta approfondendo le tematiche dello sviluppo e sottosviluppo quando all’ateneo toscano giunge la richiesta di urbanisti dall’Algeria: è quella che oggi si definirebbe la sua sliding door. Poco dopo, il Governo del paese nordafricano gli chiede di andare a lavorare nel deserto: diventa l’urbanista del Sahara, il primo a occuparsi delle oasi. Le studia e dimostra che sono un modello di gestione sostenibile per l’intero pianeta, essendo “frutto dell’ingegno umano, e patrimonio di tecniche e conoscenze per combattere l’aridità”. Quindi insegna all’università di Algeri e l’Unesco lo sceglie per lavorare in tutti i deserti del pianeta. A fine anni ‘80 ritorna a far base a Firenze ma per conto delle Nazioni Unite gira il mondo: Etiopia, Yemen, Mauritania. Lavora a Petra, pubblica un primo libro sul Sahara e intanto comincia a pensare che c’è un ecosistema da preservare che fa parte delle sue origini e che in un certo senso gli appartiene.
“Nel 93 - racconta - con mia moglie venimmo a Matera, e fu lei, africana, a innamorarsi della città: decidemmo di fermarci lì e da lì provare a iscriverla nel patrimonio Unesco, abitando una casa nei Sassi. E’ così che cominciò questo percorso”. Quella casa nei Sassi che oggi è un b&b, fu abitata da Laureano e dalla sua famiglia per circa 10 anni: lì nacquero i suoi figli e qui lui creò una sorta di laboratorio sperimentale di “varie tecniche di architettura e di restauro, e per il filtraggio e recupero dell’acqua”. Tecniche che continua ad applicare nella sua casa a Firenze, dove raccoglie e riutilizza l’acqua piovana proveniente dai tetti, e naturalmente, in tutti i luoghi in cui è chiamato a offrire la sua consulenza e il suo patrimonio di conoscenze sul risparmio delle risorse e la sostenibilità ambientale. Alla base del riconoscimento alla città lucana di sito del Patrimonio Unesco, c’è “la straordinaria morfologia urbana” plasmata sulla rete idrografica di captazione e distribuzione delle acque. Come spiegato nel dossier che lo studioso tricaricese ha contribuito a scrivere, il modello per l’evoluzione dell’abitato è quasi imposto dal quadro naturale ricco di cavità e fenomeni carsici e lo stesso vale “per il sistema geniale dell’energia, l’organizzazione sociale e comunitaria degli spazi e i percorsi urbani”. Ciò fa dei “Sassi” un ecosistema da proteggere e preservare come modello di sostenibilità per la città del futuro.
Si può ben parlare di rivincita per quel groviglio di grotte e di case, dove abitava un popolo sulle cui miserabili condizioni igieniche e sociali Levi aveva per primo sollevato il velo, richiamando, nell’immediato dopoguerra, l’attenzione di intellettuali e sociologi dell’epoca. Rimane nella memoria collettiva l’espressione indignata di Gramsci, che nel ‘48 consegnò all’iconografia storica e antropologica la definizione lapidaria dei “Sassi” “Vergogna nazionale”. Seguirono di lì a qualche anno le leggi per lo sfollamento dei rioni e l’abbandono di quei tuguri scavati nelle grotte, simbolo di un’Italia da dimenticare in fretta in nome della ricostruzione moderna del Paese sulle macerie della guerra. Fino a quel 1993 in cui i rioni Barisano e Caveoso da un simbolo di miseria e arretratezza, si trasformano in sinonimo di sostenibilità, di buone pratiche millenarie e di gestione delle risorse. A distanza di 25 anni Laureano può ben affermare che il recupero dei “Sassi” ha anticipato delle tematiche straordinarie: “Oggi i boschi verticali di Boeri, o i tetti giardini di Manhattan fanno notizia, ma i giardini pensili facevano parte tutti della lettura di Matera e della proposta che l’Unesco fece al mondo. Nei restauri proponemmo l’architettura organica, l’uso esclusivo di materiali biologici, le calci naturali. E all’epoca ce li facevamo da soli nei “Sassi” quei materiali. Insomma Matera ha anticipato tante cose”.
E ha fornito un modello alternativo di città, dove non è importante giungere il prima possibile alla meta, ma il percorso compiuto. Come lo stesso Laureano ebbe modo di sottolineare nel corso di una conferenza a New York qualche anno fa: “La velocità è uno dei paradigmi della modernità. Spostare rapidamente i corpi, le merci, i capitali favorendone la massima circolazione e non riconoscendo alcun limite alla crescita fa parte degli obiettivi perseguiti a partire dalla rivoluzione industriale e accentuati dalla globalizzazione. A questo corrisponde una forma di città che s’impone di non frapporre ostacoli al movimento, occupa l’ambiente, distrugge e assorbe risorse da ogni parte. E’ la città dalla trama regolare scandita da grandi assi viari che si proiettano su un territorio indifferenziato e amorfo connesso solo dalle grandi reti di energia, di alimentazione e di mobilità. Questo tipo di città ha nella storia un presupposto nelle urbanizzazioni a trama ippodamea, tipica delle città pianificate per volere di un despota o per necessità coloniali. A questo paradigma le città come Matera si oppongono con le loro trame labirintiche, i passaggi sotterranei, le scale e i percorsi quasi inaccessibili. In queste città importante non è raggiungere un punto, ma godere di un percorso; la trama non è padroneggiabile complessivamente da monumenti o da assi stradali da cui si proietta lo sguardo del Signore, ma è fatta di svolte, di sorprese, ostacoli e luoghi di sosta inattesi; lo spazio è concepito non per essere attraversato rapidamente al fine di raggiungere al più presto una meta, ma per fermarsi, incontrare qualcuno e lasciarsi coinvolgere nei rapporti sociali e di vicinato. Si tratta di città che hanno la loro essenza non nella velocità, ma nella lentezza. Non sono adatte ai tempi dello sviluppo imposti dalla modernità, ma perseguono un modello alternativo”.
Intanto, le problematiche globali continuano purtroppo a essere di attualità, e l’architetto e studioso tricaricese continua il suo lavoro sugli ecosistemi a rischio, e di consulente Unesco. Con la sua “Ipogea”, società cooperativa con sede a Matera e Firenze, di cui è direttore e coordinatore, opera non solo nell’area del Mediterraneo, ma ovunque ci sia attenzione per le problematiche ambientaliste. Al momento sta seguendo un progetto in Arizona, dove la deviazione del Colorado ad uso della metropoli sterminata di Las Vegas sta lasciando a secco le zone a sud del fiume, tra cui Messico e Arizona: qui la municipalità di Tucson, lo ha invitato a realizzare la prima oasi americana, e a trasformare l’intero centro in un esperimento per il risparmio dell’acqua, attraverso il recupero di quella piovana e le pratiche di riciclo.
Un rammarico permane, nella carriera di questo lucano illustre, ricca di lavori (restauro del paesaggio e degli ecosistemi, pianificazione urbana e territoriale, tecniche tradizionali di gestione delle acque, ecologia ed ecosistemi, architettura tradizionale), di viaggi e campi di azione (dall’Africa al Medioriente, passando per i paesi del Mediterraneo, dall'Asia all'America Latina, all'America del Nord, e alla stessa Italia), di libri e pubblicazioni scientifiche: quello di non essere riuscito a “esportare” l’esempio virtuoso di Matera a tutta la regione, a far comprendere il valore che ha in termini di sviluppo e marketing, oltre che di recupero di un patrimonio millenario, il sigillo delle Nazioni Unite. “Tutta la Basilicata è straordinaria e ha delle realtà che meriterebbero l’iscrizione nel Patrimonio Unesco: si pensi alle Rabatane di Tricarico, Tursi e Pietrapertosa, o ai calanchi di Aliano, ma anche alle tradizioni, al patrimonio immateriale. Ebbene, nonostante il grande entusiasmo delle comunità, e la disponibilità a lavorare in questo senso dimostrato dalle numerose persone che l’anno scorso ho incontrato in giro nelle piazze dei paesi per parlare di queste tematiche, è mancata l’attenzione concreta delle amministrazioni. Eppure riflette il nostro insigne corregionale - nella lontanissima Cina si comincia a guardare proprio a Matera, come esempio per il recupero dei villaggi”.
(R. S.)
Fonti:
http://www.laureano.it/
http://www.repubblica.it/venerdi/reportage/2017/11/01/news/patrimonio_all_italiana_come_matera_sara_capitale-179948659/
https://www.youtube.com/watch?v=0ofzo8wRMB0&feature=youtu.be
http://www.architetturaeviaggi.it/web_043.php:
http://www.regione.basilicata.it/giunta/site/Giunta/detail.jsp?otype=1012&id=896371
https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/09/23/fare-la-figura-del-fesso-a-matera/3052011/
Pietro Laureano, Giardini di pietra. I Sassi di Matera e la civiltà mediterrane, Bollati Boringhieri, Torino