venerdì, 22 nov 2024 13:00
Che Basilicata sarà? Tre blogger a confronto
25 settembre 2013
Scenari, strumenti e visioni del futuro nelle risposte dei giornalisti ed esperti di social media Sara Lorusso, Donato Mola e Sergio Ragone
(ACR) - A quale futuro va incontro la Basilicata? C'è chi propone possibili smembramenti e relativi accorpamenti fra regioni limitrofe come Campania, Puglia e Calabria, chi prospetta un ridisegno dei confini anche nell'ottica del nuovo sistema di governo del territorio che dovrà necessariamente determinarsi dopo l'abolizione delle Province. D’altra parte, c'è chi confida nella conservazione di quell'autonomia amministrativa ed identitaria attualmente garantita dalla Costituzione. Sono interrogativi che ci si pone con sempre maggiore insistenza, considerando la fine anticipata della legislatura - che porterà alle elezioni regionali il 17 e il 18 novembre 2013 - e il dibattito a livello nazionale sul destino delle regioni. Ne parliamo con tre giornalisti e blogger che si occupano di informazione su carta stampata, tv e web. Sara Lorusso (www.saralorusso.it), giornalista de “Il Quotidiano della Basilicata”, Donato Mola (www.hyperbros.com), giornalista dell’emittente tv Trm di Matera e Sergio Ragone (www.sergioragone.it) giornalista collaboratore di Linkiesta e l’Unità. Tutti e tre sono blogger ed esperti di social media. Ci hanno parlato di coesione territoriale, identità culturale, città intelligenti, qualità della vita, nuove tecnologie, infrastrutture, reti immateriali, open data, start up, piccole imprese, mestieri, professioni, intelligenze, artigianato, tradizione e innovazione, paesaggio e turismo, cervelli in fuga e di ritorno. Ma il discorso non poteva che partire dalla condizione delle piccole regioni, eternamente sospese fra il desiderio di emergere e di affermare la propria autonomia e la possibilità di essere assorbite nel disegno delle macroregioni.
Sara Lorusso - Non credo che l’idea dello smembramento del territorio, già prefigurata dallo studio del 1992 proposto dalla Fondazione Agnelli, sia un’ipotesi di così immediata attuazione. Così come ritengo che il disegno costituzionale relativo all’abolizione delle Province, seppur valido, debba ancora chiarire a quali Enti e strutture andranno affidate competenze, deleghe, servizi, che ad oggi le appartengono. Va considerato che, dal punto di vista orografico, la Basilicata è una regione molto particolare: siamo pochi ma su un territorio esteso e, quindi, il provvedimento potrebbe portare ad un ulteriore spacchettamento del territorio che renderebbe ancora più complessa la sopravvivenza di comunità a volte anche molto piccole.
Donato Mola - Per me l’ipotesi dello smembramento, seppur non vicinissima, rappresenta uno scenario verso il quale siamo proiettati e sono favorevole all’abolizione delle Province. E’ anche vero, però, che la Basilicata ha una grossa difficoltà infrastrutturale, sia verso l’esterno che verso l’interno: non so se ridisegnare i confini amministrativi di questa regione ci aiuterà, in futuro, a migliorare in questa direzione. Su questo, però, sono pessimista. Lo smembramento della regione lo possiamo scongiurare solo in un modo, riappropriandoci delle nostre culture e delle nostre tradizioni e, soprattutto, condividerle, comunicarle e raccontarle. Sono tante e a volte molto diverse tra loro, è vero, ma tutte hanno una radice comune che si chiama Basilicata. Siamo lucani e continueremo ad esserlo anche in caso di smembramento.
Sergio Ragone - Io non credo molto all’ipotesi dello smembramento territoriale. Temo il vero smembramento che la Basilicata sta vivendo e che rischia di aggravarsi, cioè quello identitario e culturale. La Basilicata ha un suo valore potenziale stupendo che la rende una parte positiva del Mezzogiorno, seppure al netto di tutte le contraddizioni e le debolezze che effettivamente ci sono. Dovremo diventare più comunità, che vuol dire aggregarsi non solo ad una grande storia ma anche a grandi progetti e a grandi momenti. Dobbiamo recuperare un’ identità e costruire una storia nuova che sia fatta di innovazione e che guardi al futuro. Più che una disgregazione fisica, che secondo me non ha una reale consistenza, quella che io temo è la disgregazione sociale e culturale.
Emerge, in definitiva, una visione della Basilicata che, riappropriandosi della propria tradizione, deve proiettarsi con maggiore forza e decisione verso il futuro. Si parla molto di città intelligenti e della necessità di creare degli ambienti urbani in grado di migliorare la qualità della vita dei cittadini attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie. Pensando alla conformazione del territorio lucano, qual è l’idea di smart city che è possibile attuare? E, soprattutto, come si può mettere in campo questa nuova visione in un territorio costituito in gran parte da piccole comunità?
Donato Mola - Il concetto di spazio, e di spazi, per me è fondamentale e le difficoltà legate al sistema delle infrastrutture limita fortemente l’aggregazione tra culture differenti e tra territori anche relativamente vicini tra loro. Fino a qualche tempo fa avrei risposto che la tecnologia rappresenta il modo più efficace per colmare il gap che noi lucani scontiamo rispetto alla complessità di interazione e di comunicazione, sia con l’interno che con l’esterno. Oggi dico che questo è vero solo in parte perché la comunicazione attraverso la rete è ormai diffusa tra tutti. Sono le infrastrutture quello di cui la Basilicata ha realmente bisogno, di una rete di collegamento che consenta al territorio materano, ad esempio, di avere più vicina la fascia jonica – ad oggi trascurata dai nostri amministratori -, di raggiungere con più facilità i territori dell’entro terra e città come Potenza, Melfi, Latronico. Questo si può fare solo attraverso una buona rete viaria. Un altro grande tema è quello della ferrovia a Matera: non basta dire che l’aeroporto di Bari sia a 60 chilometri. Quello che occorre, quindi, è un sistema di infrastrutturazione che colleghi i territori e i lucani tra di loro e verso l’esterno.
Sara Lorusso - Di certo la tecnologia serve, a maggior ragione in Basilicata dove ci sono territori in cui le reti, materiali e immateriali, sono ancora un piccolo miraggio. Il punto è che il concetto di smart city non riguarda, secondo me, solo la tecnologia. Le città intelligenti di cui abbiamo bisogno sono città in cui c’è circolazione di idee e più questa è aperta all’esterno più c’è crescita culturale. Credo che smart city significhi servizi e riguardi un’idea di comunità che viene messa in condizione di migliorare con piccole cose la qualità della vita. Per far questo, certamente, c’è bisogno della tecnologia e, ovviamente, servono le infrastrutture.
Sergio Ragone - Le infrastrutture devono essere la priorità della Basilicata. Abbiamo un territorio vastissimo ma con pochi abitanti. La logica delle smart city sta forse proprio in questa contraddizione: cercare di trovare un algoritmo per leggere e per declinare questo tema su un’area così complessa. Hanno ragione Sara e Donato. La tecnologia è utile e ciò che serve alla Basilicata, innanzitutto, è unire i territori, è la cultura, il sapere. Se per smart city intendiamo le comunità intelligenti, forse dobbiamo rileggere e descrivere le policy dei territori e, quindi, immaginare come mettere in campo oggi quelli che un tempo erano chiamati patti formativi locali. In questo modo si potrebbe puntare sulla formazione delle nuove generazioni e creare delle comunità intelligenti partendo dai punti qualificanti dei singoli territori. I lucani dovrebbero cominciare ad essere più orgogliosi della propria identità, in modo da cambiare la narrazione della Basilicata. Smart city per me vuol dire, innanzitutto, creare le infrastrutture viarie che possano unire la Basilicata. C’è un vecchio progetto, forse diventato un sogno nel cassetto, relativo ad una strada di collegamento che univa Lauria con Candela, in modo da offrire la possibilità di raggiungere i nodi più importanti della comunicazione stradale italiana. Smart city vuol dire imparare a cogliere le sfide e le opportunità che i tempi della modernità ci impongono e ci offrono. Io punterei molto sulla formazione e sul digitale, in questo percorso, diventa fondamentale. Può essere la Basilicata la terra dell’innovazione? Io dico di si. Ce n’è molta in Basilicata e credo che sia necessario cominciare a farla esplodere.
Una città smart, quindi, ha bisogno non solo di nodi ma anche di canali di collegamento, fisici e tecnologici. In particolare, quelle immateriali possono essere utili per rafforzare i sistemi di dialogo tra le pubbliche amministrazioni, i cittadini e le imprese. Lo scorso 18 giugno i leader del G8 hanno sottoscritto la Carta dei dati aperti, con l’ottica di implementare la qualità e la quantità dei dati a disposizione dei cittadini. In che modo la Basilicata può utilizzare gli open data come opportunità di trasparenza e di miglioramento dei servizi pubblici a vantaggio del cittadino?
Sara Lorusso - Da questo punto di vista gli open data sono fondamentali. Il punto è non limitarsi a parlare di dati aperti o, finalmente, a renderli fruibili. Il vero nodo della questione è mettere i cittadini nelle condizioni di saper leggere e analizzare le informazioni che vengono rese pubbliche. E’ solo così che può esserci trasparenza.
Il rilascio dei dati non solo è finalizzato ad una migliore governance del territorio ma anche all’innovazione e allo sviluppo di imprese. Come potrebbero essere di utilità sui processi di innovazione delle imprese?
Sergio Ragone - Diventano fondamentali. Se pensiamo a quello che è il tessuto imprenditoriale della Basilicata, la possibilità di poter accedere ai dati e di conoscere le attività della pubblica amministrazione rappresenta la chiave di svolta per un’impresa. Pensiamo alla grande questione dell’accesso al credito o, ad esempio, al Patto di stabilità che ha bloccato il credito della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese. La possibilità di poter leggere lo stato di avanzamento di una pratica in maniera aperta e trasparente può consentire di non perdere la possibilità di ricevere il credito. Gli open data sono anche questo e diventano, quindi, fondamentali nel rapporto con il cittadino. Probabilmente, attraverso gli open data e l’open government si potrebbe ridurre lo spread che si è creato tra la possibilità di accedere al credito e la mancata erogazione da parte della pubblica amministrazione. Imprese e pubblica amministrazione devono tornare a interloquire. Per me la Basilicata è come quell’immagine famosa dello specchio rotto, raccontata dal fondatore di Repubblica, in cui ognuno guarda la propria immagina riflessa in un segmento. Aprire i dati della pubblica amministrazione significa dare una visione di insieme di una comunità e costruire un’identità, oltre alla trasparenza amministrativa che non è una tendenza ma un passo fondamentale per vivere la modernità.
Quello degli open data è, quindi, un settore di frontiera per le imprese e per chi vuole fare innovazione. Dati piuttosto recenti dimostrano che delle 453 aziende iscritte al registro delle imprese innovative, solo una ha sede in Basilicata. La Basilicata può diventare una terra per startupper?
Sergio Ragone - Sembra di si, se stiamo alle competition messe in campo negli ultimi mesi. Occorre, però, chiarire cosa si intende per start up: non solo un’idea innovativa ma creare le condizioni e dare un modello di business ad un’idea per poi trasformarla in un’impresa. La start up, quindi, è un percorso. La Basilicata deve inevitabilmente approcciarsi in maniera molto più concreta a questo settore che non riguarda solo il digitale e il web ma tutte quelle idee concretamente innovative. Io sono convinto che la Basilicata, che non è certo la terra di grandi imprese, possa diventare la terra di quelle piccole e innovative.
La Basilicata è un territorio prevalentemente agricolo e fare impresa in settori come l’agricoltura e l’artigianato è sicuramente una scommessa. Quali sono le azioni e le politiche da mettere in campo
per far diventare questi settori dei punti di forza?
Donato Mola - Di certo la Basilicata è naturalmente vocata ad essere terra di piccole imprese. Io credo che vada riattualizzato ciò che siamo stati perché è ciò che potremmo tornare ad essere. Prendiamo, ad esempio, la questione relativa alle estrazioni di petrolio. Le grandi imprese che sono venute sui nostri territori hanno dato lavoro per molto tempo, è vero, ma sono andate via o stanno per farlo, senza aver occupato – se non in alcuni casi - lavoratori lucani. Se fosse politicamente facile, io azzererei tutto per tornare ad attualizzare i mestieri, le professioni, le intelligenze, le grandi idee che il territorio lucano ha espresso nei secoli. Sono possibili nuovi modelli di agricoltura e di artigianato, come anche di turismo. Da questo punto di vista di start up ne ho viste tante a Matera ma anche a Potenza, non solo nell’ambito del digitale ma anche in quello dell’artigianato. Posso portare l’esempio di un amico ingegnere che, tornato in Basilicata, ha avviato un’attività di produzione e commercializzazione di prodotti di artigianato artistico in legno. Utilizzando le competenze informatiche acquisite nel suo percorso di studi, ha quindi realizzato un sito di e-commerce che consente a chiunque di acquistare i suoi prodotti da qualsiasi parte del mondo. Un esempio di come sia possibile coniugare tradizione e innovazione. Le politiche dovrebbero aiutare a creare e valorizzare le community di lucani che sono riusciti a realizzare imprese, anche piccole, di questo genere.
Negli ultimi anni la Basilicata ha investito molto sul turismo e i dati sono comunque positivi, nonostante il trend generale sia in sofferenza. Punti di forza, punti di debolezza e proposte.
Sara Lorusso - Il paesaggio, inteso come complessità degli spazi della Basilicata, sicuramente rappresenta un punto di forza. Lo sono anche alcune idee molto interessanti su come vivere il territorio mescolando cultura, agriturismo, produzioni locali. I collegamenti costituiscono un indubbio punto di debolezza. Raggiungere la Basilicata è sicuramente complicato, soprattutto per i turisti che vengono da fuori, ed è una condizione che viviamo tutti sulla nostra pelle se pensiamo a quanto impiegano i treni per percorrere una tratta come quella della Potenza - Foggia. Di certo il nostro turismo potrebbe guadagnare molto dall’utilizzo del digitale. E’ un po’ quello che già sta accadendo, sia per iniziativa dei privati che dell’Agenzia di promozione territoriale. La promozione attraverso il digitale può consentire una nuova forma di narrazione del territorio per raccontare la Basilicata come una terra di grande cultura, paesaggi, tradizione, ma anche capace di accogliere, di essere inclusiva, di proporre momenti di spettacolo e di incontro di alta qualità. Penso agli attrattori, ad esempio lo spettacolo della Grancia o il volo dell’angelo da Castelmezzano a Pietrapertosa: alcuni hanno funzionato molto ma credo che dopo qualche anno vadano ripensati, aggiornati e modernizzati. Di certo non bisogna concentrarsi solo su queste iniziative che hanno una stagionalità breve. Io penserei ad un turismo diffuso e di qualità della formazione che punti a grandi appuntamenti da realizzarsi per tutto l’anno.
Donato Mola - La Basilicata è un luogo magnetico, nonostante le difficoltà per raggiungerla. E’ vero che è merito anche dei grandi attrattori, idee originali che riescono a coniugare sostenibilità ambientale, valorizzazione del territorio e sano divertimento. Gli appuntamenti di qualità ci sono: se lasciamo libere le energie di proporre eventi piccoli e grandi ci accorgiamo che sappiamo farlo in maniera sempre più qualificata. Molto va riconosciuto anche alle associazioni culturali presenti nei territori che per prime rappresentano, per il lavoro che svolgono, dei grandi attrattori. Turismo e cultura devono viaggiare assieme: occorre produrre più cultura, agevolare quanti realizzano produzioni di artigianato, di dipingere, di fare musica e mettere tutta questa produzione in rete. Le Istituzioni dovrebbero occuparsi di fare promozione e di utilizzare i canali istituzionali per portare fuori bagaglio ricco e variegato. Ci sono state iniziative capofila in tutta Italia e forse anche in Europa come l’operazione “Can’t forget It {aly}” che prevede la realizzazione di una serie di eventi sul nostro territorio. Il modello Basilicata dovrebbe essere sempre più questo. In più, dovrebbe aumentare il dialogo tra i vari settori della cultura. Da questo punto di vista è la politica che deve decidere i percorsi, anche di promozione, e aiutare a trovare le sponsorizzazione per gli eventi. Accanto ai grandi attrattori occorre favorire e facilitare sempre più anche le piccole iniziative come le sagre organizzate nei nostri paesi. Non possiamo trascurare il fatto che la Basilicata è anche fatta anche di questo.
La Basilicata sta puntando sul settore cinematografico per valorizzare il territorio e supportare i flussi turistici. L’ultima azione, in ordine di tempo, è un bando pubblicato dalla Regione Basilicata, per la concessione di aiuti alle piccole e medie imprese per la produzione di cortometraggi e lungometraggi. Il cinema può rappresentare uno strumento per la comunicazione e la valorizzazione del territorio o è un settore di sviluppo economico per la Basilicata?
Sergio Ragone - Il cinema è entrambe le cose. I luoghi, i set della Basilicata e la loro bellezza, sono i veri grandi attrattori, al netto del grande lavoro fatto dalle amministrazioni. Certo è difficile poter dare sbocco alla tanta creatività che emerge. Da questo punto vista, quello della cinematografia non è un aspetto nuovo. Di certo, però, il bando predisposto dalla Regione è una misura importante che consentirà, attraverso un finanziamento di due milioni di euro, di creare lavoro in questo settore. In più, diventa un’occasione straordinaria per far conoscere e scoprire la Basilicata. Il digital diary di cui parlava Donato rappresenta una straordinaria intuizione: non sappiamo quanti turisti siano arrivati sul nostro territorio grazie a questa iniziativa ma di certo ci ha aiutato. Non dimentichiamo, però, che la più grande operazione di promozione turistica, ad oggi, è stato il film “Basilicata coast to coast” e non è un caso che il film sia alla sesta settimana di programmazione nei cinema francesi. Cinema e turismo sono indubbiamente uniti e rappresentano un fattore di sviluppo economico nella misura in cui il settore delle imprese, le start up e le idee, creano una domanda e consentono di creare un tessuto produttivo attorno al settore cinematografico e turistico. Oggi c’è molta pubblica amministrazione ma c’è bisogno di fare impresa: questo può rappresentare la chiave di lettura e di svolta dei tempi che verranno.
Un tema di cui si parla molto in Basilicata è quello dei giovani. Cervelli in fuga e cervelli di rientro: Basilicata solo andata o Basilicata andata e ritorno?
Sara Lorusso - A mio avviso, quello dei cervelli in fuga è un falso problema e la politica l’ha spesso utilizzato come slogan. Non credo si debba avere paura dei cervelli in fuga: le persone brave hanno tutto il diritto di fare esperienza all’estero e di farsi conoscere altrove. La vera questione, piuttosto, è fare in modo che la Basilicata possa offrire opportunità alle persone preparate e che riesca a mettere nelle condizioni di poter realizzare le proprie aspettative tutti quelli che decidono di tentare la propria avventura lavorativa o di studio sul nostro territorio. Usare i cervelli in fuga come un dato negativo credo che sia fuori luogo. Siamo capaci, attraverso la rete e i mezzi fisici, di arrivare in ogni punto del mondo: non vedo perché portare le proprie capacità e la propria intelligenza fuori debba essere un problema. Si pensi, piuttosto, a far in modo che Basilicata diventi una sede ambito per chi vuole fare ricerca o sviluppare tecnologia in specifici settori, per chi vuole puntare su un’agricoltura di grandissima qualità, e a rendere la stessa Università della Basilicata un attrattore di cervelli esteri.
Sergio Ragone - La Basilicata è al centro del Mezzogiorno e del Mediterraneo. Poter immaginare l’Università della Basilicata come un polo di eccellenza euro mediterraneo vuol dire concepire che giovani algerini, tunisini, egiziani, possano venire a studiare qui e decidere di vivere in questa terra. La semplificazione politica e giornalistica dei cervelli in fuga fa sorridere: in alcuni casi a preoccupare sono i cervelli che rimangono. Ognuno deve avere la possibilità di giocare le proprie carte fuori dalla Basilicata e noi dovremmo essere contenti se ci sono giovani lucani che hanno studiato qui e che poi hanno avuto successo in Europa e nel Mondo. Un esempio su tutti è quello di un giovane amico di Rivello che insegna all’Università dei mormoni negli Stati Uniti e che, quindi, ha saputo vincere la sfida della complessità dei tempi moderni. Proviamo a dare ai giovani lucani la possibilità di essere competitivi fuori dalla Basilicata. E’ questo il terreno su cui si può giocare la sfida. Avere la pretesa di far rimanere qui i giovani vuol dire mortificare quei cervelli e impedire loro di giocarsi la propria chance fuori. Iniziamo a rompere questo muro di banalità sul tema generazionale, ad ammodernare tutto il sistema Basilicata, da quello della pubblica amministrazione a quello produttivo fino a quello relativo all’informazione e alla comunicazione. Puntare sul tema generazionale vuol dire dare una concretezza alla parola futuro per la nostra regione. O si mette in campo una strategia di lungo respiro o si faranno piani per cinque anni in attesa delle prossime elezioni.
Altra questione è la capacità di incidenza dei cervelli sui processi decisionali e sulle scelte. A questo proposito, un tema molto discusso è stato, e continua ad essere, quello del ricambio generazionale: è solo una questione di ricambio o piuttosto di indipendenza, visione e responsabilità?
Donato Mola - Le Istituzioni sono sempre meno al servizio del cittadino e le amministrazioni non riescono a gestire l’ordinario. E’ da questo che bisogna ripartire. Miglioriamo le nostre città e i nostri territori partendo dalle periferie: solo così si può riuscire ad amministrare bene e a far vivere nel bello i cittadini. Vedremo che così sarà più facile creare le condizioni affinché non solo i giovani cervelli possano decidere serenamente se rimanere o andare via ma anche le giovani braccia. C’è poi da considerare anche la generazione dei quarantenni alla quale nessuno pensa, fatta di persone che non sono tanto giovani da essere appetibili per il mercato del lavoro ma neanche tanto vecchi da poter andare in pensione. Come fare? Se creiamo le condizioni per uno sviluppo sostenibile occorre pensare a tutti i cittadini dei nostri territori. Le amministrazioni devono diventare virtuose, migliorare le condizioni di vita di tutti semplicemente gestendo meglio l’ordinario. Sarà così più facile per gli stessi cittadini contribuire alla salvaguardia delle città e lavorare in sinergia e anche i nostri territori potranno diventare più appetibili per gli investitori esterni. (Va. Col.)
Fonti
- Intervista realizzata il 14 settembre 2013
- www.saralorusso.it
- www.hyperbros.com
- www.sergioragone.it