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Pensando al nuovo Consiglio, parla Romaniello
27 settembre 2013
Lo scenario istituzionale fra riforme e neocentralismo. “Si accentua il distacco fra governati e governanti. Serve una riforma vera dell’intera filiera istituzionale capace di esaltare competenze e potenzialità di un territorio qual è quello lucano”
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(ACR) - La crisi profonda in cui versa il paese da circa 5 anni, la incapacità delle forze politiche di avviare un processo profondo di cambiamento del sistema politico riformando in modo sostanziale il sistema delle regole e della governance, unitamente all’assenza di politiche sociali, industriali e territoriali in grado di contrastare il declino, hanno portato ad una accentuazione del distacco tra governati e governanti, che è sfociato nel voto di protesta con l’affermazione delle liste di Grillo, prima in Sicilia e poi a livello nazionale.
Il tentativo del governo centrista e moderato guidato da Monti e sostenuto dalle due maggiori forze politiche, Pd e Pdl, di arginare il distacco fra istituzioni e paese reale attraverso la cosiddetta strategia di “riduzione dei costi della politica” con il chiaro intento di delegittimare definitivamente il ruolo e le funzioni dei corpi intermedi della società, a partire dai partiti, per me intesi nella accezione novecentesca e non dell’ultimo ventennio, ha portato all’approvazione di un provvedimento che ha ridotto il numero dei consiglieri regionali e i finanziamento dei Gruppi consiliari, senza toccare in alcun modo la condizione di privilegio degli eletti, a partire dai parlamentari e dai Consiglieri regionali.
Una scelta sbagliata per due ordini di motivi: il primo perché si sono in questo modo ridotti gli spazi della partecipazione democratica e tolta rappresentanza ai territori, ed il secondo, perché con il mantenimento (in molti casi l’aumento) delle indennità ai consiglieri per l’attività politica, si sostiene una idea personalistica della politica, senza alcuna forma di rendicontazione a controllo che la norma regionale abolita prevedeva.
L’esempio più eclatante in tal senso riguarda proprio la nostra regione, dove si è del tutto eliminata una norma (art. 11 L.R. 8/98) che regolamentava l’uso delle risorse, e si è incrementato l’importo a disposizione del consigliere senza alcun vincolo di rendicontazione. Sel è stata ed è tuttora per l’abrogazione dei privilegi, il riconoscimento del ruolo dei partiti e il mantenimento di regole e norme vincolanti e trasparenti sull’uso di risorse pubbliche per l’attività politica, contro la riduzione dei luoghi di partecipazione e la privatizzazione del finanziamento della politica.
A parità di costi, quindi riducendo quegli attuali, si poteva mantenere il Consiglio a 30. Un’ipotesi che avrebbe garantito una maggiore rappresentanza dei territori.
Un ragionamento a parte andava fatto sul numero degli assessori: la loro riduzione in funzione di un nuovo e più efficace modello organizzativo dei Dipartimenti è cosa utile, sempre che si collochi in una strategia di superamento del concetto di Regione come ente di gestione, dando piena attuazione ai principi che ne hanno determinato la nascita: ente di programmazione e controllo, soggetto intermedio di governo, indirizzo e coordinamento di un territorio vasto; valorizzatore delle specificità territoriali piuttosto che accentratore di poteri e funzioni personali, come purtroppo è avvenuto. Si tratta quindi di riformare l’intero assetto dell’ente collocando tale processo nel mutato quadro istituzionale nonché economico e sociale della Regione.
Pensare ad una organizzazione dipartimentale capace di rispondere ai nuovi bisogni ed alle nuove opportunità che necessitano ai territori. Tematiche riconducibili all’assetto infrastrutturale non possono non essere messe in sintonia con quelle riguardanti l’ambiente e la tutela del patrimonio, come pure quelle attinenti i nuovi sistemi di mobilità, sviluppo sostenibile e sostegno alle produzioni di qualità.
Riorganizzazione dipartimentale, ruolo degli enti intermedi, funzioni di agenzie ed enti devono far parte di un progetto unico; una idea della Basilicata futura con al centro le persone, l’ambiente, il territorio. Quindi una riforma vera dell’intera filiera istituzionale capace di esaltare competenze, capacità, potenzialità di un territorio qual è quello lucano, dimensionalmente grande, pieno di specificità , ma con una popolazione limitata e distribuita su 131 Comuni di cui circa il 75% con popolazione sotto i 5000 abitanti.
Una terra, la Basilicata, che rischia di perdere la sua identità e soccombere sotto i colpi della logica dei grandi numeri; ma ancor prima sotto l’affermarsi di una cultura politica che tende sempre più a trasformare il modello istituzionale prevalentemente orizzontale, con un equilibrio dei poteri in modello fortemente verticistico ed esaltatore dell’esercizio monocratico delle funzioni di direzione e governo. Un tema, quest’ultimo, che proprio perché attiene ad un modello di governo, quindi agli equilibri dei poteri tra assemblea elettiva e funzione di governo (sistema presidenziale) è di forte attualità proprio perché la crisi del regionalismo, o meglio le negatività prodotte dal neocentralismo regionale sul sistema di relazioni infra-istituzionali con il corpo vivo della società, va affrontato con molta laicità e consapevolezza che solo il rilancio di un modello democratico, partecipativo ed esaltativo dei soggetti intermedi della società e valorizzativo della funzione della municipalità, può contrastare l’idea di chi la crisi del regionalismo l’assume come fattore per rilanciare un nuovo centralismo statale.
Il lavoro prodotto dalla prima commissione sullo Statuto con la predisposizione di bozza che ha raccolto la stragrande maggioranza dei contributi venuti dal mondo dell’associazionismo, del sindacato e delle associazioni professionali rappresenta la sintesi su cui il Consiglio, quello futuro, può sviluppare il confronto ed a divenire alla approvazione. Sel ha lavorato per introdurre nel documento anche l’ipotesi della elezione indiretta del Presidente, su cui continuerà a battersi affinché sulla forma di Governo si opti per l’ipotesi della sola elezione diretta del Consiglio Regionale, con investitura fiduciaria del Presidente e della Giunta in Consiglio; assicurandosi la stabilità attraverso la sfiducia costruttiva.
Punti qualificanti inoltre sono il modello di partecipazione e l’introduzione del referendum (abrogativo, consultivo) e la disciplina più vincolante riguardante l’esame delle proposte di legge di iniziativa popolare. Infine, la norma antidiscriminatoria che prevede massimo il 60% di rappresentanza di un genere. La mancata approvazione dello Statuto a seguito dello scioglimento anticipato del Consiglio sicuramente rappresenta un ritardo imperdonabile per le forze politiche, considerati i profondi mutamenti intervenuti sotto il profilo sociale, economico e del riassetto istituzionale della filiera della rappresentanza che il nuovo Statuto dovrà normare in termini di modalità, principi e regole di partecipazione e rappresentanza.
Giannino Romaniello
Capogruppo di Sinistra Ecologia e Libertà