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Pensando al nuovo Consiglio, parla Navazio

27 settembre 2013

“In quarant’anni non siamo stati capaci di rinnovare una istituzione che, al momento, è molto lontana e male percepita dai cittadini La Regione deve ritornare all’attività legislativa e di programmazione. La decima legislatura è un punto di snodo”

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(ACR) - La decima legislatura è alle porte. Con il suo carico di novità. Un’assemblea legislativa ridotta (venti consiglieri). Un esecutivo ridotto (quattro assessori, oltre il Presidente). Una organizzazione dipartimentale apparentemente ridotta. Nel mezzo la Basilicata di sempre. Con i suoi problemi.

L’avvio della nona legislatura. partita con le celebrazione dei quarant’anni della Regione, “con l’ambizione di trovare nella vicenda collettiva di un popolo le ragioni per consolidare la democrazia regionale, per rendere moderno e attuale il patto fondativo che le istituzioni lucane hanno scritto nel 1970” si è conclusa con l’abdicazione della politica che ha ceduto sempre più quote di sovranità.

Basti pensare alla richiesta dell’intervento del legislatore statale di legiferare al posto delle assemblee legislative. Senza una capacità di reazione, ci siamo trovati un ridimensionamento della rappresentanza dei territori per la futura assemblea regionale. Avremo una regione policentrica, concentrata non diffusa.
Ma incombe un’altra minaccia.

Spesso si rilancia lo studio della fondazione Agnelli. Presentato, per la verità, nel lontano e freddo 1992 con il quale è stata ridisegnata la nostra carta geografica. Si riduce il numero delle regioni a 12 secondo criteri legati al “residuo fiscale pro capite”. Ovvero secondo l’autosufficienza delle regioni.

Facciamo un passo indietro. Vediamo quel 1992. Tra un Bossi che lavorava per la disunità del Paese ed uno Spadolini che ne difendeva l’Unità. Occorreva una risposta. Soprattutto nei confronti della “furia disgregatrice delle leghe”. E lo studio sceglie una terza via. “Tre regioni. Nord, Centro e Sud sono troppo poche, venti sono troppe!” Sulla base di un semplice calcolo (prendendo i flussi di entrata e di uscita del bilancio pubblico, anche nell’ipotesi di azzeramento del disavanzo primario, suddividendoli su base regionale), sulla base di alcune giustificazioni sociali (la Padania non è un’area omogenea, il mezzogiorno non è più il regno unitario come ai tempi dei Borboni) e con un occhio al mitico Cavour (regionalismo ed autogoverno) scopre “i parassiti”. Che stanno nel ricco Nord (le regioni e le province a Statuto speciale) e nel “solito” Sud (Basilicata, Calabria, Molise). Ed ecco il numero magico : 12 regioni. Ovvero le dodici Italie.

Oggi occorrerebbe rifare l’analisi, attualizzandola e soprattutto agganciandola non solo ai flussi finanziari di bilancio ma anche al paniere che determina tali flussi! Altro che dodici Italie!

La soluzione è più complessa. Attiene alla vasta e molteplice partita dell’ adeguata e condivisa ripartizione delle competenze tra centro e periferia. Attiene al recupero del concetto di responsabilità. Attiene alla sovrapposizione delle competenze legislative. Termini sui cui impostare un rinnovato dibattito politico scevro dalle spinte ragionieristiche e da quelle che hanno unicamente il sapore della protesta, della voglia di cambiamento ad ogni costo. Facili da strumentalizzare.

La Regione deve ritornare ai compiti per i quali è stata creata: attività legislativa e di programmazione. Abbandonare la gestione che ormai pervade ogni singola azione assessorile.
Nessuno di noi ha intenzione di annullare la propria identità, né tantomeno di consegnare la nostra storia alle élite dirigenziali che hanno attraversato, indenni e al riparo, governi di vario colore politico.

La stesura del nuovo Statuto regionale dovrà, quindi, occuparsi soprattutto del tema della rappresentanza.

La rappresentanza non è esclusivamente quella politico-istituzionale: è anche quella territoriale e dei soggetti sociali e funzionali. Ma occorre riflettere con attenzione alle fenomenologie attuali: la natura della composizione sociale del paese è profondamente cambiata negli ultimi decenni.
Sono cambiate le forme di lavoro e i rapporti con il lavoro; sono mutati i meccanismi e i contenuti dei processi di acculturazione, socializzazione, riconoscimento; e le tante trasformazioni intervenute richiedono uno sforzo di conoscenza e interpretazione, specialmente riguardo a:
• l’evoluzione delle forme di condensazione sociale (la famiglia, i localismi, i soggetti di socializzazione di rappresentanza);
• la riattivazione di processi di coesione (contro le nuove forme di emarginazione e i conflitti generazionali ed etnici);
• la riconfigurazione delle identità territoriali;
• i percorsi dell’atipicità e della flessibilità del lavoro;
• i comportamenti elettorali (in particolare l’astensionismo cresciuto in modo significativo negli ultimi anni).
Si tratta di acquisire una nuova consapevolezza di queste complessità e di ricercare gli strumenti che consentano agli attori territoriali una lettura costante delle loro evoluzioni.
Si impone subito, con particolare intensità, bilanciare il primato della decisionalità con le esigenze della rappresentanza.

La ricerca di nuovi equilibri fra decisionalità e rappresentanza emerge soprattutto nelle nostre realtà caratterizzate da disomogeneità significative nelle diverse componenti socio-economiche e socio-politiche. Entro tale scenario l’introduzione di un bicameralismo regionale (una seconda assemblea composta da rappresentanti degli Enti Locali) può sembrare una risposta possibile all’esigenza di maggiore rappresentatività e pluralità nei processi decisionali

Il Consiglio delle Autonomie locali può assumere rilevanza ed incidenza in varie forme:
• nella sua forma forte, una seconda camera con poteri e funzioni diverse da quelle dei Consigli Regionali, sul modello tedesco o del Senato americano;
• nella sua forma intermedia chiamato ad entrare nei processi di governo e nel procedimento legislativo attraverso pareri obbligatori e quindi vincolanti;
• nella sua forma debole come mero ruolo consultivo che potrebbe assomigliare ad una sorta di Conferenza Stato-Regioni.

Il rapporto tra Regioni ed Autonomie locali apre un grande spazio di inventiva statutaria, se le Regioni vogliono davvero diventare quello che a parole dichiarano di voler essere: non più un Ente autoreferenziale, mimetico e riproduttivo dei vizi del centralismo statale, ma uno strumento di organizzazione dei territori, ovvero una federazione di autonomie, come si dice in uno slogan facile da esprimere, ma difficile da realizzare.

Da una parte ha un senso se la Regione può svolgere un potere di auto organizzazione e autodefinizione dei livelli territoriali di governo e quindi attribuendole questo potere, acquista poi significato l’idea di istituire un organo di rappresentanza degli enti locali a livello regionale, cui assegnare veri e propri poteri condeterminativi verso i consigli regionali sulle materie di interesse della autonomie locali.

Certamente l’attribuzione di un mero ruolo consultivo rappresenta quella meno adatta a fare fronte alle nuove esigenze di rappresentanza emergenti e quindi è necessario ed importante un assetto ad architettura poliarchico, non calato dall’alto, ma costruito a partire dalle realtà e dai bisogni locali.

Bisogna orientarsi verso un nuovo modello di governance territoriale.

Dalle Regioni soggetto alle Regioni funzione, potere federato capace di valorizzare le autonomie ordinando ed accompagnando il protagonismo delle tante soggettività locali.

Importante è sottolineare il modello di approccio : scegliere la governance in contrapposizione al government è un indicatore di radicale cambiamento.

Il superamento dei modelli dirigisti della gestione politica, pone una programmazione nella quale il mercato, la comunità e quindi la partecipazione dei cittadini che ora sono in grado di controllare la qualità delle azioni poste in essere diventano attori.

Ciò che serve e che i cittadini chiedono è una politica che li rappresenti!

Quarant’anni fa, pur se a ventidue anni di distanza dalla originaria previsione costituzionale, si completava l’articolazione territoriale della Repubblica prevista dai padri costituenti. In quarant’anni non siamo stati capaci di rinnovare una istituzione che, al momento, è molto lontana e male percepita dai cittadini. La decima legislatura può ben rappresentare un punto di snodo. Ma, senza capacità di reazione non si va da nessuna parte.

Alfonso Ernesto Navazio
Consigliere regionale del Gruppo Misto 

Redazione Consiglio Informa

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