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Pensando al nuovo Consiglio, parla Autilio

27 settembre 2013

“Il nuovo Statuto Regionale resta la bussola del nostro agire quotidiano, diventerà lo strumento essenziale per determinare le nuove condizioni di sviluppo sociale, economico e civile della nostra comunità”

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(ACR) - La crisi economica, ancor più accentuata negli ultimi anni, sta mostrando i limiti del modello sociale italiano in cui la famiglia ha funzionato da ammortizzatore sociale, al punto che, come riferiscono i ricercatori dell’Istat e del Cnel, si è ridotta ulteriormente la già scarsa mobilità sociale. Ed è proprio dall’indicatore del “Bes” (Benessere equo e sostenibile) che si misura il livello di progresso che l'Italia vorrebbe realizzare e con esso il livello di credibilità della classe politica e dirigente ad ogni livello. Di fatti, tra gli indicatori figurano salute, istruzione, lavoro, benessere economico e sociale, partecipazione alla vita politica, sicurezza, servizi, cultura e ambiente, ma anche la percezione soggettiva. Il Rapporto è inoltre impietoso rispetto alla crescente sfiducia trasversale nei partiti, nel Parlamento, nei consigli regionali, provinciali e comunali, nel sistema giudiziario, che attraversa tutti i segmenti della popolazione, tutte le zone del Paese, le diverse classi sociali, sino a segnalare il dato peggiore sul fronte della fiducia dei cittadini verso le istituzioni con riguardo specifico ai partiti politici. In una tale situazione non sorprende che la partecipazione politica sia bassa e in diminuzione. Siamo dunque di fronte - per l’intera classe politica e dirigente della nostra regione e dell’intero Paese - ad una sorta di ultima chiamata a lavorare perché si affrontino le emergenze sociali che abbiamo di fronte praticando il metodo della solidarietà e dell’attenzione rafforzata verso i problemi più acuti che vivono le nostre comunità. 

Sul piano della partecipazione democratica, come del cambiamento da produrre nella gestione amministrativa, il nuovo Statuto Regionale resta la bussola del nostro agire quotidiano.
In questa cornice il lavoro che attende la nuova legislatura regionale, approvando definitivamente lo Statuto regionale già pronto e che non siamo riusciti a varare, è ancora più delicato ed importante in quanto la nuova Carta costituzionale della Basilicata diventerà lo strumento essenziale per determinare le nuove condizioni di sviluppo sociale, economico e civile della nostra comunità, contando principalmente sulle nostre risorse sia naturali che fiscali e finanziarie. Con il nuovo Statuto, inoltre, determineremo il sistema elettorale, chiudendo definitivamente l’esperienza poco edificante sul piano democratico del listino di maggioranza, e mi auguro avviando una riforma elettorale che sia in linea con il processo autenticamente riformatore avviato con la raccolta di firme a sostegno del referendum per abrogare il cosiddetto ‘Porcellum’ e ridare al cittadino la più democratica scelta del deputato e senatore da eleggere.

Ma in tutto questo non partiamo da zero. Nell’esperienza di circa due anni di Presidente della Seconda Commissione ed in precedenza di vice presidente del Consiglio Regionale, ho dato qualche input ulteriore al complesso processo di riforme istituzionali. Un lungo lavoro, sia pure da aggiornare, è stato svolto con la bozza finale dello Statuto, dando pratica attuazione all’obiettivo indicato sin dall’insediamento dell’attuale Consiglio di assegnare un profilo costituente a questa legislatura che sta per concludersi anticipatamente, partendo dalla necessità di una riforma dello Statuto che consenta una rivisitazione o un ridisegno del sistema istituzione della Regione, avvertita e posta in essere come una priorità ineludibile. Tra i temi più rilevanti, segnalo l'esigenza di superare il ruolo subalterno che svolgono le assemblee consiliari rispetto agli esecutivi di governo e per rilanciare l'impegno della revisione degli assetti istituzionali. Riappropriarsi del ruolo di protagonisti dell'iter legislativo deve diventare un obiettivo politico prioritario, da raggiungere anche attraverso la revisione dei regolamenti consiliari e la revisione delle leggi elettorali.

Quanto al processo di federalismo, soprattutto alla luce dei tagli disposti dai Governi che si sono succeduti, c'è bisogno di riprendere l'iniziativa unitaria delle Regioni del sud per ottenere piena garanzia sulla perequazione dei settori più delicati dell'attività amministrativa regionale, quali la sanità, il trasporto locale, la scuola, l'assistenza dei ceti sociali più deboli.

Si tratta, inoltre, di lavorare tutti insieme per accompagnare il federalismo fiscale ad un federalismo totale, che riconosca le ricchezze del Mezzogiorno e che porti ad una semplificazione, ad un ammodernamento della gestione dello Stato, attraverso l'istituzione del Senato federale, con riduzione drastica del numero dei parlamentari e la redazione della Carta delle Autonomie.

Di qui le proposte che ho presentato per rimuovere ogni ostacolo che impedisca la parità fra uomo e donna, a partire dai candidati eletti e dal numero adeguato di donne Assessore; sostenere la piena difesa dell'occupazione e dello stato sociale, l'istituzione di organismi di controllo e di vigilanza degli atti nella pubblica amministrazione; favorire l'integrazione e l'uguaglianza fra i cittadini. Nuovi strumenti, quindi, snelli e di facile impiego, di partecipazione democratica per la presentazione di proposte di leggi di iniziativa popolare e referendum consultivi o abrogativi, una rete degli organismi di consultazione permanente, per esempio, sulle questioni giovanili, sulle questioni relative alla cultura, allo spettacolo, allo sport, eccetera.

Vorrei richiamare un aspetto specifico, specie nella nostra Regione caratterizzata da tre quarti dei Comuni classificati montani: la questione prioritaria da affrontare è come colmare il differenziale strutturale. E' l'antica questione delle aree interne che sicuramente dovrà avere un ruolo importante nella redazione di questa nuova carta costituzionale. Nutriamo viva preoccupazione per lo stato dei servizi essenziali sul territorio, fra cui la scuola e il trasporto pubblico; di qui la necessità di individuare un unico livello sovracomunale e di completare il processo di riforma avviato con le aree di programma che hanno preso il posto delle Comunità Montane, ribadendo la nostra posizione coerente per il superamento delle Province.

Ma attenzione: non dobbiamo cadere nella trappola di chi vuole spingerci in una trincea a difesa della Regione e a difesa del Palazzo da movimenti dell’antipolitica, piuttosto accettiamo la sfida del federalismo che per noi può diventare una soluzione importante ai problemi di sviluppo e di occupazione. E’ ancor più indispensabile, in questa fase, fare chiarezza sui costi della politica, come abbiamo già fatto con l’abolizione dei vitalizi, la riduzione delle indennità di carica, l’eliminazione di indennità di altro genere consapevoli che la riduzione dei costi della politica passa soprattutto attraverso il ridimensionamento del numero delle strutture di enti, agenzie, società sub regionali e pubbliche.

È evidente, però che al federalismo non si possono attribuire virtù salvifiche o miracolistiche, si tratta, al contrario, di un processo complesso, perché da noi occorre passare da un sistema fortemente centralizzato ad uno stato federale.

Come sostiene il Presidente della Repubblica, è un esperimento unico, una ‘torsione non da poco’ e affrontando questa sfida la nostra piccola Regione può diventare un modello virtuoso di Governo del territorio che come nei casi della soppressione dei cosiddetti piccoli Tribunali di Melfi e di Pisticci e di 17 uffici postali, oltre alla riduzione dell'attività di una cinquantina di altri uffici, difende i diritti delle Comunità locali e non certamente privilegi di pochi e tanto meno casi e situazioni di spreco di denaro pubblico. Oggi viviamo un tempo particolare perché sembravamo essere alla vigilia del federalismo, ma ormai pare che, da quello che ormai viene fuori dalle dichiarazioni di numerosi governatori, sia di centro sinistra che di centro destra, che le manovre finanziarie dei Governi degli ultimi cinque anni hanno ucciso definitivamente il federalismo, soprattutto quello fiscale, nel senso che avendo costretto le Regioni a sopportare il maggior peso dei tagli, mi sembra evidente che si va a cascata a ridurre quelli che sono i servizi essenziali e contemporaneamente i servizi più importanti e necessari che i tributi e le imposte regionali non potranno mai far fronte concretamente.

Noi ci salviamo rispetto ad altre Regioni, perché abbiamo una risorsa strategica, e sono il più convinto sostenitore del rispetto di una legge regionale (la n.40) e che le royalties dovrebbero essere finalizzate allo sviluppo dell'area che produce il petrolio, anche se non bisogna dimenticare quelli che sono invece le destinazioni di quelle risorse che non vanno tralasciate. Come è noto, la percentuale di royalties sull’estrazione e produzione di idrocarburi, riconosciute alla Regione Basilicata e ai Comuni lucani dove sono localizzati pozzi ed impianti, è pari sostanzialmente al 7% ( aumentate a 10% di cui il 3% attraverso la card carburanti). Una percentuale che è una delle più basse praticate nei Paesi e nelle regioni del mondo dove si estrae petrolio (in Russia e Norvegia l’80%, in Alaska 60% e in Canada 50%, per arrivare all’ 85% in Libia ed Indonesia). Ebbene, la battaglia dell’adeguamento delle royalties va sostenuta a 360 gradi e richiede il massimo della concertazione istituzionale di tutti i soggetti istituzionali, non solo quindi i sindaci ma l’intera classe dirigente della Val d’Agri che si compone di amministratori provinciali e regionali.

Quanto agli attacchi all'autonomia regionalistica, ancora più marcata con il tentativo del Governo di dare via libera alle compagnie per la ricerca nel nostro territorio di idrocarburi, essi non ci devono spaventare; dobbiamo intensificare il lavoro che abbiamo avviato con la riforma dello statuto per adeguarlo ai bisogni della popolazione più periferiche, promuovendo l'esercizio della cittadinanza attiva, accrescere gli strumenti di partecipazione e trasparenza, completare il riordino degli Enti locali, la cosiddetta governance, dopo l'individuazione delle aree programma, a far sì che le aree programma possano diventare qualche cosa di più consistente, favorendo iniziative consortili dei Comuni nella gestione dei servizi essenziali ai cittadini e precedendo alla riforma degli Enti subregionali per dimostrare nei fatti che si possono fare risparmi senza intaccare servizi”. E per i principi ispiratori dell'attività amministrativa che sono stati contenuti nella nuova Carta Statutaria (efficacia, trasparenza, efficienza, economicità, eticità ed equità) io che ho avuto una breve esperienza nell'esecutivo di questa regione, ho verificato di persona che uno dei problemi più significativi dell'accelerazione della macchina regionale è rappresentato dalla burocrazia. Ritengo che bisogna intervenire decisamente, perché molte volte la politica è pronta a fare quello che deve fare e molte altre volte la macchina burocratica rallenta i percorsi attuativi ed il risultato di quello che la politica fa.

In conclusione, nel quadro di un riassetto delle autonomie regionali, mi sembra particolarmente nefasto prevedere l’ipotesi di accorpamento, sia pure su base volontaria, delle Regioni di piccole dimensioni, nonostante l’obiettivo ampiamente condivisibile di garantire un governo piu' efficiente. Non vorrei che riprendesse fiato un’iniziativa, di qualche decennio fa, che per noi è dannosa e che non porta alcun risultato in termini di governance territoriale, confondendo i costi della politica con i bisogni di governo dei problemi e quindi delle comunità locali. Pertanto i nostri parlamentari, come quelli delle cosiddette Regioni di piccole dimensioni, farebbero bene a tenere gli occhi ben aperti e a contrastare vecchi e nuovi disegni che, tra l’altro, troverebbero terreno fertile tra i nuovi amministratori regionali del Nord, come dimostra l’ultima trovata leghista di nominare “Ministro” delle Regioni del Nord l’assessore all’agricoltura con il “mandato” di trattare direttamente con l’Unione Europea e non con il Ministro per le Politiche Agricole e Alimentari del Governo Italiano. Senza volerci chiudere a riccio in una difesa localistica, se vogliamo realizzare il riordino delle autonomie regionali senza privare territori regionali della propria istituzione più rappresentativa si potrebbe rovesciare il ragionamento e riprendere i progetti, come quello della “Grande Lucania”, per ridefinire i confini geografico-amministrativi, tenuto conto del nostro modello di piccola regione virtuosa nella spesa pubblica che dimostra che piccolo non significa sprechi.

Antonio Autilio
Capogruppo dell’Idv in Consiglio regionale 

Redazione Consiglio Informa

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