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Lucani Insigni 2012, Padre Ferdinando Castriotti
27 maggio 2013, 16:12
Il sacerdote venosino, inviato in Honduras come missionario diocesano, si è prodigato in favore dei più poveri e, in particolare, della comunità di El Paraìso dove è riuscito a for sorgere diverse strutture socio-assistenziali
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(ACR) - Se il “Sud” del mondo non va più inteso in senso strettamente cartografico ma anche come una periferia dell’anima, se non addirittura come “destino”, quello del lucano Don Ferdinando Castriotti (foto 1, 2, 3, 4) esemplifica una vera e propria scelta di vita maturata nella quotidianità del suo vissuto sia culturale che sociale. Al di là di un viaggio su mappe che la globalizzazione ha reso senza frontiere, quello del prete lucano rappresenta un percorso di avvicinamento verso quei mondi marginali, ma solo dal punto di vista della percezione eurocentrica del mondo. Da uomo meridionale in mezzo agli uomini, prima ancora che da ambasciatore della Cristianità universale, ha tramutato quello che si definirebbe uno stato individuale dell’anima, da dimensione filosofico-antropologica (si può far riferimento al concetto di “soggetto migrante” così come nasce negli anni ’60 a partire dalle teorie di Deleuze e Guattari) a modello di fattiva operosità nei confronti dell’umanità, intesa senza diversificazioni di cultura, possibilità economiche, orientamento religioso. Nell’attuale Babele postmoderna, dove il “Sud” pare inevitabilmente dissolversi e disgiungersi da qualsiasi geo-politica, il prete lucano si è concretamente “fatto Sud”, cercandolo e ritrovandolo negli uomini che incarnano la presenza di Dio nel Tempo, nella Storia e nello Spazio, privo di qualsiasi limite: al Nord come al Mezzogiorno, ad Occidente come ad Oriente, nel Continente sud-africano come in quello latino-americano. Lì dove è essenziale contribuire più con atti di solidarietà che con la pur indispensabile testimonianza della Parola evangelica, Don Ferdinando ha portato un’occasione concreta con la realizzazione di strutture come ospedali, case di accoglienza, istituti scolastici per la diffusione della cultura: centri nelle periferie delle società “minori” come quelle hondureñe, abbandonate tra la polvere e la miseria che sono divenuti un’opportunità di crescita, di accoglienza, di salvezza morale e materiale. Oltre che strumenti privilegiati della preparatio evangelica, ciò che nella “Dominus Jesus” del 2000 l’allora cardinale tedesco e poi Papa, Joseph Ratzinger indicò come non tutto ciò che si trova nelle religioni, ma soltanto “quanto lo Spirito opera” (nota).
Biografia: un giovane alla ricerca di Dio
Nato il 3 Marzo del 1969 nel Comune che diede i natali al poeta Orazio, Don Ferdinando è cresciuto nella semplicità e nel conforto di un’educazione dai saldi principi. Il padre muratore, la mamma collaboratrice scolastica lo hanno abituato sin da piccolo al confronto, al rispetto e all’accoglienza altrui. A dieci anni, la frequenza della Parrocchia venosina e dei gruppi giovanili diocesani sono diventati fondamentali perché potesse crescere in lui il desiderio di consacrare la sua vita al Signore, ai più negletti e agli indifesi. Terminata la maturità classica presso l’istituto Orazio Flacco di Venosa, Don Ferdinando è entrato a 18 anni nel Seminario Maggiore di Potenza ed è stato ordinato sacerdote il 6 Marzo 1993. All’Università San Tommaso di Napoli ha ottenuto la laurea in Filosofia e Teologia, specializzandosi in Dogmatica e Morale mentre, presso l’Università Alfonsiana di Roma, ha concluso il Dottorato in Bioetica. Incaricato dalla Pastorale Sociale ed il Lavoro presso la Conferenza Episcopale italiana, dal 1999 al 2002 è stato Parroco della Diocesi di Melfi, Lavello e Rapolla oltre che insegnante di religione per gli studenti del Liceo Scientifico Federico II di Melfi. Dal 2002 al 2007 ha insegnato Bioetica presso l’Università Ratisbone di Gerusalemme e, dopo lunghe permanenze presso la Missione Francescana di Baibokum in Ciad, ha iniziato, in Honduras, il suo operato come Missionario Diocesano “Dono della Fede” (Foto 5). Il suo impegno di fede e carità viene riconosciuto dalla stampa locale e dagli stessi hondureñi che gli hanno conferito il titolo di eroe quotidiano hondureño “Armando Paz” (Foto 5). A questo riconoscimento è seguito quello della Fondazione Ambrosini “Angelo della Pace” e quello del Consiglio regionale della Basilicata “Premio lucani insigni 2012”(Foto 6).
Honduras: la terra della “profondità”
Hondura è un termine che deriva dallo spagnolo e significa “profondità delle acque”. Per quello che è economicamente il più povero di risorse e di tecnologie tra gli stati dell’America Centrale, la depressione
maggiore non riguarda semplicemente la geografia fisica del suo territorio. Piuttosto, è la deficienza della rete delle comunicazioni (solo 950 km di ferrovia e 2200 km di strade asfaltate servono più di 112 mila km quadrati di territorio) unita al più basso indice di Pil pro capite di 1.842 $ Usa e l’alto tasso di criminalità legata al traffico di cocaina a penalizzare queste zone, tra le più indigenti dell’area istmica. L’attuale arretratezza, retaggio del periodo coloniale, non è migliorata nemmeno al momento del conseguimento dell’indipendenza dalla Spagna (15 settembre 1821) e della proclamazione dell’Honduras (Foto 7) come Repubblica democratica (1995). Anzi, le ingerenze di alcune società estere (l’United Brands introdusse nel XX sec. piantagioni commerciali di banane, caffè, canna da zucchero, tabacco e piante da frutto senza permettere il potenziamento dell’agricoltura per consumi interni) hanno costretto il Paese a ricorrere all’importazione di gran parte dei generi alimentari. L’agricoltura, infatti, pur occupando il 56% della popolazione attiva, sfrutta solo una scarsa parte degli immensi suoli a disposizione: dal 1975, il governo ha cercato di distribuire 600 mila ettari di terra a 100 mila famiglie contadine. Ma la pressione dei latifondisti e delle multinazionali statunitensi ha bloccato l’iniziativa statale quando solo un terzo dei terreni era stato già espropriato, interrompendo la pur esigua crescita del pil avvenuta negli anni Ottanta. Negli anni successivi l’Honduras ha fatto i conti anche con la fluttuazione dei prezzi internazionali dei beni d’esportazione, con l’incremento demografico, con la crescita del debito estero e con diverse catastrofi naturali che hanno contribuito al formarsi di forti tensioni sociali. Solo nel 2004 e dopo che il governo ha cominciato a ridurre le spese statali per tentare di portare il Paese fuori dalla recessione, un accordo è stato raggiunto con il Fondo Monetario Internazionale e, l’anno successivo, cancellato il debito estero di oltre 4000 ml di dollari. Ciò nonostante perdurano situazioni di disagio economico e morale: la disoccupazione è altissima e riguarda la metà della popolazione attiva; il livello di corruzione e il ricorso alle droghe è prassi consolidata.
Don Ferdinando e l’arcivescovo Maradiaga: insieme per El Paraìso
La miseria non esclude nemmeno una cittadina dal nome tanto evocativo e suggestivo come El Paraìso. Qui, al suo arrivo, Don Ferdinando non ha trovato assolutamente nulla che si avvicinasse a ciò che contraddistingue le civiltà industrializzate dell’Occidente. Piuttosto, ha colto immediatamente solo i problemi (l’analfabetismo, la violazione dei diritti umani, la criminalità) lasciati in eredità dai regimi dittatoriali e da quelli dell’inizio del nuovo millennio (la diffusione dell’Hiv ha fatto registrare un considerevole aumento nei tassi di mortalità e, in particolare, di quella infantile). Senza considerare, poi, le difficoltà provocate da una orografia impervia, in alcuni casi, inaccessibile, complicata dall’assenza di vie di comunicazione appropriate e dalla particolare posizione geografica che espone, in particolare la costa caraibica, ai cicloni (nel 1998 l’uragano Mitch spazzò via intere città, rimanendo 2 milioni senzatetto e provocando oltre 14 mila vittime). Gran parte della popolazione si è così rigettata verso l’interno e nella città di Tegucigalpa che supera i 900 mila abitanti e costituisce l’unico centro politico, storico-culturale e produttivo più avanzato. Un’oasi nel deserto di aree sconquassate, dove l’estrazione mineraria (argento, oro, piombo e, nella Mosquitia, petrolio), la coltivazione dei chicchi “neri” e l’esportazione di gamberoni frutta solo a pochi, il missionario lucano ha portato la speranza di un futuro migliore per molti. Come “fidei donum” Don Ferdinando ha affiancato il cardinale Oscar Andrés Rodriguez Maradiaga (foto 8, 9), arcivescovo di Tegucigalpa, primo cardinale nella storia dell’Honduras e, dal 13 aprile scorso eletto, da Papa Francesco, coordinatore del gruppo dei cardinali chiamati a proporre un nuovo progetto di revisione della Curia Romana. Sotto la sua guida, Don Ferdinando ha amministrato, dal 2008 al 2012, la parrocchia di San Juan Bautista che rientra nella diocesi dell’Honduras, eretta nel 1527 da Papa Clemente VII. La parrocchia è diventata così punto di riferimento per la comunità che, al di fuori del suo capoluogo, Yuscarán, comprende altri 19 comuni ed è composta, per gran parte, da cattolici (nel 2010 l’arcidiocesi di Tegucigalpa contava 1.550.000 battezzati su 1.801.000 abitanti) ma anche da gruppi appartenenti a sette evangeliche: le comunità degli anglofoni nel litorale nordico e i gruppi del Garifuna in quello settentrionale. Nonostante ciò, il prete lucano non si è arreso e, confortato dalla fede ha continuato la sua missione, in una terra generosa ma martoriata che ha vissuto, nel 2009, il primo colpo di Stato riuscito del XXI secolo, in netta contrapposizione con le posizioni della comunità internazionale, la Chiesa hondureña sostenne, per evitare una guerra civile, il nuovo presidente golpista ad interim, Roberto Micheletti pronunciandosi contro il ritorno in patria di Manuel Zelaya).
Da Venosa a El Paraìso: il Vangelo di solidarietà in calce e cemento
Dal Vulture-Melfese con le sue distese di vigneti alle terre sconfinate del Centro- America, ricche di banane, mais e caffé. A El Paraìso, dove tutt’oggi non esistono fognature, né acquedotti, grazie a Don Ferdinando ed ai gruppi di volontariato, esistono strutture in calce e cemento che esemplificano, “mattone per mattone”, il Vangelo di solidarietà di cui si fa portatore. Tutto inizia nel 1998 quando il prete venosino fa sorgere la “Casa Ave Maria” (finanziata in parte da un’Associazione pignolese) che, oltre ad un asilo, è servita ad accogliere coloro che avevano perso la casa dopo il passaggio dell’uragano Mitch. Poi, dal 2008 al 2009 è stata la volta del “Centro di carità Maria Teresa di Calcutta”(comprendente tre cliniche, una farmacia e un centro di accoglienza per stranieri) e della “Casa di riposo Don Dante Casorelli” dove trovano cura oltre 50 anziani. Ma è per gli adolescenti che Don Castriotti fa il “miracolo” realizzando l’Istituto “Oscar Andreas Rodriguez”, una scuola a tutto campo dove, ogni 15 giorni, i giovani possono seguire lezioni a distanza attraverso un canale televisivo e uno radiofonico dedicato. Per i più piccoli, invece, dà vita al “Comedor infantil” che ospita oltre 40 tra bambini e bambine, molte delle quali hanno trovato anche nella Casa Gran Arbol – sorta nel 2011 in sinergia con Famiglia Cristiana – un rifugio dopo anni di soprusi e violenze. Mentre, in stretta collaborazione con la Fondazione Exodus di Don Mazzi, si fa promotore del centro di recupero “Juan Pablo Segundo” per le tossicodipendenze da alcool e droghe. Gli indifesi, gli ultimi degli ultimi, i malati diventano i destinatari privilegiati della sua missione – cinque anni brevi ma intensi – a El Paìs, tra i Municipi a est dell’Honduras dove il sistema sanitario locale è estremamente carente. Ed è pensando alle difficoltà delle popolazioni locali ad essere curate adeguatamente o anche semplicemente ad ottenere medicine altrove facilmente reperibili e di uso comune che il missionario lucano apre “Casa Alivio del Sufrimiento” (Foto 10, 11). Finanziato dalla Giunta regionale della Basilicata nell’ambito della L.R. n.26 del ’96 che prevede interventi regionali per la diffusione della pace e la cooperazione tra i popoli, l’ospedale intitolato a San Pio di Pietralcina è ormai attivo. Distribuito su 10 mila metri quadri è attrezzato con un moderno laboratorio, dove la comunità può effettuare semplici ma vitali analisi e, grazie alla solidarietà di Don Ferdinando e dei tanti medici, sperare in una qualità di vita migliore. (L. L.)
Fonti
- Deleuze, Gilles, F. Guattari, Nomadology: The War Machine, New York, Semiotexte, 1986
- http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20000806_dominus-iesus_it.html
- Bolla Ad supremum catholicae, in Raffaele de Martinis, Iuris pontificii de propaganda fide. Pars prima, Tomo III, Romae 1890, p. 122
- Eugenio Fizzotti, Il coraggio di prendere il largo, discorsi, O. A. Rodriguez Maradiaga, Libreria Editrice Vaticana, 2008.
- Gennaro Carotenuto, Colpo di Stato in Honduras: il presidente Manuel Zelaya con al fianco i movimenti sociali resiste. Latinoamerica, 26 giugno 2009.